COME DIVIDERE LA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ TRA PRIMA E SECONDA MOGLIE?

[:it](Corte di Cassazione ordinanza n. 25656/20, depositata il 13 novembre)

La pensione di reversibilità è una prestazione previdenziale erogata ai familiari di un pensionato, in seguito a loro richiesta, dal momento della morte di quest’ultimo.

Tra i soggetti che hanno diritto alla corresponsione di tale pensione la legge annovera anche l’ex coniuge a condizione però a) che il coniuge divorziato non sia passato a nuove nozze; b) che il medesimo sia titolare dell’assegno divorzile; c) che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza (cfr. art. 9 comma 2 legge 898/70).

Ma cosa accade se l’ex coniuge deceduto si era risposato dopo il divorzio?

La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche tenendo in considerazione ulteriori elementi, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale; fra tali elementi, specifico rilievo assumono l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, nonché le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, e in quest’ottica anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata dal Giudice del merito quale elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione delle situazioni

La vicenda esaminata trae origine dal giudizio insorto tra la moglie divorziata e la seconda moglie di un soggetto che era deceduto avente ad oggetto la determinazione della quota di reversibilità a loro spettante.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Sulmona aveva riconosciuto al coniuge divorziato la quota del 35% della pensione di reversibilità, mentre la Corte di Appello de L’Aquila, in riforma della sentenza impugnata, rideterminava la quota aumentandola dal 35% al 40%, riconoscendo, quindi, alla seconda moglie e al figlio minore del defunto la quota del 60%.

Avverso la sentenza della Corte di Appello il coniuge divorziato proponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione degli artt. 5 e 9, comma 3, legge. n. 898/1070.

La sentenza impugnata è stata ritenuta corretta dalla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che la convivenza more-uxorio non ha «una semplice valenza “correttiva” dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale». È stato comunque precisato che la durata della convivenza non deve essere confusa con quella del matrimonio, a cui si riferisce il criterio legale.

Da ultimo gli Ermellini hanno anche sottolineato che l’entità dell’assegno divorzile non deve essere considerata un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, non essendovi alcuna indicazione legislativa in tal senso.

Avv. Claudia Romano

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