Assegno di mantenimento e prova presuntiva – Cass. Sez. 1 16 luglio 2010, n. 16763
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L’art. 156 c.c. prevede al comma primo che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale può disporre (a determinate condizioni indicate nella norma) l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente all’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha redditi adeguati.
A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha precisato:
– che detta disciplina costituisce una deroga al principio generale dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.. (Cass. 21 marzo 1992, n. 3529 e 3 luglio 1996, n. 6087);
– che le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell’istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate.
– che, tuttavia non viene meno il principio della disponibilità della prova in capo alle parti, giacché l’espletamento di indagini da parte della Finanza è previsto, quale che sia la documentazione dalla quale emerga il reddito, solo in caso di contestazione e per tale debba intendersi non la mera negazione, ma la contestazione stessa allorché rivesta sufficiente ragionevolezza (Cass. 23 gennaio 1996, n. 496).
La prova del reddito può essere data, oltre che con la documentazione prevista dalla norma stessa, con qualsiasi mezzo, compresi la presunzione, il ricorso alle nozioni di comune esperienza, nonché, secondo la recente modifica dell’art. 115 c.p.c., anche i fatti non espressamente contestati dalla parte costituita.
Il Giudice non è vincolato a disporre prove d’ufficio, ogni volta che sia contestato un reddito, essendo principio generale per cui l’autorità giudiziaria ha facoltà di ammettere i mezzi di prova dedotti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d’ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza.
Per tali motivi la giurisprudenza ha concluso che le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia concernente l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie.
Inoltre, con riferimento ai poteri istruttori d’ufficio, l’esercizio dei medesimi rientra nella discrezionalità del giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche.
Quanto, invece, alla prova presuntiva le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. La suprema Corte ha mantenuto sempre un atteggiamento ad essa favorevole, sulla base dell’assunto generale per cui il relativo accertamento per presunzioni non è censurabile in cassazione. Non spetta, infatti, ai giudici di legittimità valutare l’opportunità di fondare la decisione su tale mezzo di prova, nonché la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, purché -e questo limite è, invece, sindacabile nel giudizio di legittimità- l’accertamento del giudice di merito sia sorretto da motivazione immune da vizi logici (v. Cass. Civ. 14 maggio 2005, n. 10135).
Nel caso della sentenza in esame, Cass. Sez. 1 16 luglio 2010, n. 16763, i giudici della prima sezione hanno ritenuto immune da vizi logici e giuridici la valutazione di merito dei giudici di appello in ordine alla capacità patrimoniale e reddituale rilevante del marito, commerciante di preziosi, certamente superiore a quella della moglie, insegnante elementare con reddito di circa euro 20.000,00 all’anno, ed idonea quindi a consentirgli l’esborso mensile deciso in sede di merito
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