MANTENIMENTO AL FIGLIO QUASI TRENTENNE?

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(Cass. Civ., ordinanza n. 21752/2020)

Quello del mantenimento dei figli maggiorenni è un tema di pregnante attualità che ha notevoli implicazioni sul piano pratico e che continua a tenere impegnate le Corti, chiamate a stabilire, caso per caso, i limiti e le condizioni di un obbligo che trova fondamento in un preciso quadro normativo.

Il dovere al mantenimento dei figli maggiorenni è sancito, in primis, dall’art. 30 della Costituzione e dagli art. 147 e ss. c.c. che impongono ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione ipso facto per via del raggiungimento della maggiore età. L’obbligo è stato rafforzato dalla novella della legge n. 54/2006 che all’art. 155-quinquies ha stabilito che «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico».

Non si tratta, tuttavia, di un obbligo protratto all’infinito.

Il genitore è infatti tenuto a provvedere al mantenimento del figlio maggiorenne sino a che questi non raggiunga l’indipendenza economica (ovvero in presenza di un impiego che gli consenta un reddito corrispondente alla sua professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni), salvo che riesca a comprovare che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un comportamento inerte o di rifiuto ingiustificato del figlio (cfr. Cass. n. 19589/2011).

Lo ha chiarito da ultimo la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 21752/2020 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un padre che, a seguito della separazione con la ex moglie, era stato onerato del pagamento di un contributo di mantenimento nei confronti dei figli, di cui uno minorenne e uno maggiore e non autosufficiente.

La valutazione relativa all’esistenza di una «colpevole inerzia del figlio», precisa il provvedimento, deve essere fondata su un accertamento di fatto che tenga conto dell’età, dell’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, dell’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa, nonché, in particolare, della complessiva condotta personale tenuta da parte dell’avente diritto a partire dal raggiungimento della maggiore età (cfr. Cass. n. 5088/2018).

La mancata prova di tale inerzia, nel caso di specie, ha infatti determinato l’inammissibilità del motivo di ricorso per manifesta infondatezza.

Avv. Claudia Romano[:]

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