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Risultati immagini per immagine bambina infeliceAlcuni addetti comunali ai servizi sociali, basandosi esclusivamente sulle dichiarazione di una maestra d’asilo, che aveva ritenuto di ravvisare il sospetto di molestie sessuali parte del padre sulla figlia minore ottengono dal Sindaco un provvedimento di allontanamento della bambina dalla casa familiare e di affidamento al Comune, provvedimento successivamente revocato dal Tribunale dei Minori per insussistenza dei fatti ascritti al padre.

I genitori, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui due figli (la minore coinvolta e il fratello) convenivano in giudizio il Comune per ottenerne la sua condanna al risarcimento dei danni ex art. 2049 c.c., in relazione al grave comportamento degli addetti ai servizi sociali.

Dopo la condanna del Comune al risarcimento dei danni sia in primo che in secondo grado, il Comune ha proposto ricorso per cassazione.

Chiarisce la Corte di Cassazione, terza sezione, con sentenza 16 ottobre 2015 2015, n. 20928, che non rileva l’adozione del provvedimento, quanto l’imperizia e negligenza del personale del Comune. E’ il carattere gravemente colposo delle condotte commissive ed omissive degli assistenti sociali, determinanti l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare in assenza di ragioni tali da giustificare un tale provvedimento, a configurare la responsabilità dell’Amministrazione comunale per fatto dei propri dipendenti e l’obbligo della stessa di risarcire i genitori del minore che abbiano subito la lesione della integrità e della serenità del loro nucleo familiare.

In ipotesi siffatte, dunque, il Comune è chiamato a rispondere ex art. 2049 c.c. sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente, per effetto della condotta colposa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle loro specifiche funzioni e non anche ex art. 2043 c.c. per la illiceità del provvedimento di allontanamento di cui all’art. 403 c.c..

Precisa altresì la Corte che ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria non assume rilievo l’omessa prova degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c., né la circostanza che il provvedimento non sia stato fatto oggetto di annullamento, come nel caso in esame.

Nel caso in esame il danno biologico da patologia psichica, valutato equitativamente dal giudice di merito, rappresenta un equilibrato e ragionevole compromesso fra l’esigenza di assicurare un ristoro effettivo della sofferenza cagionata ai bambini da un trauma affettivo che potrebbe segnare l’intera loro vita e la necessità di evitare che l’azione risarcitoria possa essere strumentalizzata allo scopo di trame un ingiustificato profitto.

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