Depressione da tradimento: quando si può essere risarciti?

Depressione da tradimento, si può essere risarciti?

A chiarire la questione è intervenuta la Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 26383, 19 novembre 2020, che, riportandosi ad un orientamento ormai consolidato, ha affermato come la violazione del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio non debba essere sanzionata soltanto con l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali – anche in assenza di pronuncia di addebito – «sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale».

Alcune riflessioni.

Scoprire l’infedeltà del coniuge, o del compagno legato in un’unione stabile, è una sempre un trauma che può comportare molta sofferenza ed anche serie conseguenze a livello psichico.

Talvolta che è stato tradito cade in depressione: diventa triste, si isola, interrompe le sue frequentazioni, può perdere il lavoro. Così le conseguenze che patisce si allargano ben oltre l’evento e il momento specifico della conclamata infedeltà.

Pesa in modo insopportabile l’amara sensazione di aver gettato al vento una consistente parte della propria vita, con tutti i sentimenti dedicati a chi non li ha meritati. L’ombra del tradimento ricevuto può protrarsi molto a lungo e durare anche dopo la cessazione del rapporto matrimoniale a seguito della separazione dei coniugi. Il trauma, se non viene metabolizzato, può addirittura impedire di rifarsi una vita e di instaurare nuove relazioni sentimentali; pregiudica molto chi lo subisce anche nella normale vita di relazione; dunque gli effetti sono estesi ben al di là delle conseguenze sulla reputazione dell’interessato, quando il tradimento è conclamato.

In questi casi l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, rappresenta una violazione talmente grave da giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile (Cass. 16691/20).

Ma indipendentemente da questo, la violazione di detto obbligo di fedeltà può comportare anche il risarcimento del c.d. danno endofamiliare, dimostrando la lesione di un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente protetti, senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento.

A tal fine non è sufficiente disporre di una certificazione medica che attesti la depressione dopo il tradimento constatato per ottenere il risarcimento. La depressione clinicamente diagnosticata senza dubbio lede il diritto alla salute, ma non basta esserne affetti dopo la scoperta, inaspettata, dell’infedeltà del coniuge. Nè rileva assolutamente se il fallimento del matrimonio sia o meno imputabile all’altro coniuge e in caso affermativo in quale misura o percentuale: non è da ciò che deriva la possibilità di risarcimento del danno, che non ha la funzione di “punire” il responsabile della fine dell’unione.

Occorre qualcosa di più del fatto storico del tradimento. Bisogna dimostrare che c’è stata la lesione di un diritto. E la prova da fornire non è semplice.

E’ necessario che i comportamenti illeciti abbiano leso in modo significativo i diritti fondamentali della persona, come quello alla dignità ed alla reputazione oppure quello della salute, intesa in senso non solo fisico ma anche psichico.

Si tratta evidentemente di danni sia patrimoniali (quali, ad esempio, le spese vive che le cure comportano non patrimoniali) che non patrimoniali, vasta categoria che comprende quelli morali, esistenziali o di lesione dell’immagine, accomunati dal fatto che non nascono come pregiudizio direttamente economico (come nel caso di una somma di denaro non pagata dal creditore) ma solo successivamente al loro insorgere nella sfera del soggetto vengono quantificati e “tradotti” in un ammontare ritenuto corrispondente alla loro entità ed al pregiudizio arrecato nello stato d’animo e nell’integrità psico-fisica di chi li ha subiti.

Pertanto, riconosciuta la natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. dell’illecito endofamiliare, spetterà al coniuge danneggiato dimostrare non solo il nesso causale tra violazione dei doveri coniugali e lesione di diritti costituzionalmente garantiti, ma lo stesso coniuge sarà tenuto a dimostrare, altresì, il comportamento doloso del danneggiante.

Al riguardo, ai fini dell’imputazione della condotta al danneggiante non è richiesto un dolo specifico, ma un semplice dolo generico, inteso come consapevolezza di porre in essere un comportamento dannoso nei confronti dell’altro coniuge.

Le domande possono essere svolte all’interno della causa di separazione, nonostante la diversità dei riti cui sono sottoposte – speciale per la separazione, ordinario per il risarcimento – essendovi connessione in forza dell’art. 40 c.p.c in relazione all’art. 31 c.p.c., innestandosi la domanda risarcitoria sulla causa del danno che può risiedere nella violazione dell’obbligo ridetto, legittimando il simultaneus processus (App. Roma 10 maggio 2010). Secondo un diverso orientamento, la domanda risarcitoria può in ogni modo essere formulata anche separatamente, attraverso un procedimento ordinario. La prassi giurisprudenziale tende tuttavia ad escludere che la domanda risarcitoria possa essere formulata successivamente alla separazione per condotte note in precedenza al coniuge leso, soprattutto quando la separazione abbia determinato condizioni economiche o patrimoniali favorevoli a quest’ultimo. In questo caso, infatti, la previsione di accordi patrimoniali ovvero obblighi di mantenimento a favore del coniuge leso potrebbero essere interpretate come componenti economiche di natura risarcitoria, con la conseguente preclusione di ulteriori decisioni in merito in virtù del principio del ne bis in idem.

Avv. Claudia Romano

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