Anche il contratto a termine segna l’ingresso nel mondo del lavoro

Con la sentenza n. 40282 del 22 settembre 2021  la Cassazione fa chiarezza su una questione su cui si dibatte da tempo: quale contratto devono avere i figli per divenire autonomi?

Anche il contratto a termine segna l’ingresso nel mondo del lavoro.

In altri termini: se la retribuzione è adeguata e l’orizzonte non troppo ristretto, il piede messo nel mondo produttivo da parte dei figli è sufficiente a interrompere l’obbligo da parte del genitore di erogare l’assegno di mantenimento. Questo in quanto un contratto equo e duraturo permette di considerare chi lo sottoscrive come un soggetto autonomo economicamente.

È questa, in  sintesi, la decisione presa dalla Corte di Cassazione attraverso la sentenza numero 40282 del 22 settembre 2021 che pone un nuovo limite alla possibilità dei figli di ricevere l’assegno di mantenimento da parte dai genitori accogliendo il ricorso di un padre contro la decisione della Corte d’Appello di confermare l’assegno di mantenimento in favore dei suoi tre figli, tutti maggiorenni, che contestava, in particolare, il versamento in favore dell’unico tra i ragazzi non più studente, ma vincitore di un concorso come volontario al ministero della Difesa con contratto a tempo determinato e rinnovi superiori ad un anno. Per i giudici di legittimità tanto bastava, a fronte di uno stipendio di circa 1000 euro al mese, per consentire al padre di non versare più l’assegno.

Ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici territoriali hanno sbagliato a confermare il mantenimento, valorizzando solo il carattere temporaneo dell’attività lavorativa, ignorando anche la retribuzione.
Lo svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, anche se prestata nell’ambito di un contratto a tempo determinato, può costituire “un elemento rappresentativo della capacità dell’interessato di procurarsi una adeguata fonte di reddito in maniera indipendente. Ai fini che qui interessano conta, infatti, l’inserimento del figlio in questione nel mondo del lavoro”.

Quanto al rischio che il contratto a tempo determinato non venga rinnovato, si tratta di un pericolo non troppo diverso dalla perdita del lavoro per altre cause che, come si sa, non fa rivivere l’assegno di mantenimento versato dai genitori.
In tale prospettiva – chiariscono gli ermellini – “la possibile cessazione del rapporto lavorativo per la scadenza del termine e il mancato rinnovo del contratto non ha, a ben vedere, un significato diverso dalla perdita dell’occupazione generata da un contratto indeterminato o dal negativo andamento di un’attività intrapresa dal figlio stesso in proprio”. Evenienze che escludono la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.

Avv. Maria Martignetti

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