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Precisa la Cassazione, con sentenza 17 dicembre 2010 n. 25634, che in tema di obbligazioni pecuniarie, a seguito di condanna al pagamento di una somma di denaro oltre agli interessi legali da una certa data a quella del pagamento, non è consentito al creditore pretendere il pagamento di interessi composti, nel senso che quelli maturati in ciascun anno siano aggiunti alla somma dovuta per capitale e che gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorata degli interessi maturati nell’anno precedente. E ciò in quanto l’anatocismo, ex art. 1283 c.c., consente bensì che gli interessi scaduti possano produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale (o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza), purchè sia formulata una specifica domanda in tal senso e purchè il giudice abbia conformemente disposto in sentenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 349/2001 del tribunale di Roma, con ateo di precetto notificato il 25.2.2002 C.L. intimò a G.P. e P.G. il pagamento della somma di Euro 337.547,80, di cui 147.391,00 a titolo di interessi legali dal gennaio 1993 al giorno del pagamento.
I debitori si opposero, sostenendo che in atto di precetto gli interessi erano stati impropriamente calcolati e negarono che fosse dovuta la somma, anch’essa richiesta, di Euro 8.857,60 per la registrazione della sentenza, avendo la stessa disposto la compensazione delle spese di giudizio.
Il C. resistette: affermò che solo per mero errore materiale nell’atto di precetto s’era fatto riferimento alla rivalutazione degli interessi, in realtà richiesti senza alcuna rivalutazione e sostenne e ne la somma dovuta per la registrazione era dovuta, in quanto estranea alla disposta compensazione delle spese processuali, come tali anteriori alla sentenza. Il tribunale respinse l’opposizione con con sentenza 92/04
2.- La corte d’appello di Roma, investita del gravame dei debitori G. e P., ha sostanzialmente respinto l’appello, limitandosi a determinare in Euro 337.018,27 (in luogo di Euro 337.547,80, domandate in precetto per errore materiale di calcolo) la somma dagli stessi dovuta. Ha ritenuto la corte territoriale che infondatamente gli appellanti s’erano doluti che gli interessi sul capitale di Euro 180.778,99 fossero stati domandati nella misura di Euro 147.391,00, in luogo di quella sia formulata una specifica domanda in tal senso e purchè il giudice abbia codi Euro 111.909,61 a loro avviso dovuta. Tanto perchè il C. s’era limitato – come risultava dalla tabella riportata in sentenza – a conteggiare i cd. interessi composti, ma senza rivalutarli. L’errore dei debitori appellanti era invece consistito nell’aver calcolato “ogni anno gli interessi soltanto sulla sorte, senza procedere ad addizionare di anno in anno gli interessi maturati nell’anno precedente”. 3.- Avverso la sentenza ricorrono per cassazione G.P. e P.G., affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso C.L..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1224, 1283 e 1458 c.c. per avere la corte ritenuto corretto l’atto di precetto laddove erano stati richiesti gli interessi composti.
1.1.- Il motivo è fondato.
A seguito di condanna al pagamento di una somma di denaro oltre agli interessi legali da una certa data a quella del pagamento, senza ulteriori statuizioni, non è consentito al creditore pretendere il pagamento di interessi composti, nel senso che quelli maturati in ciascun anno siano aggiunti alla somma dovuta per capitale e che gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorata degli interessi maturati nell’anno precedente. Tanto realizza infatti l’anatocismo, che ex art. 1283 c.c. consente bensì che gli interessi scaduti possano produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale (o per effetto di convenzione posteriore alla scadenza), ma purchè nformemente disposto in sentenza.
Non è nella specie controverso che così non fosse.
2.- Col secondo motivo i ricorrenti in sostanza si dolgono che la corte d’appello abbia lasciato a loro intero carico la somma di Euro 8.857,00 richiesta in precetto dal C. per la registrazione della sentenza costituente il titolo esecutivo. Assumono che essa fosse dovuta per la metà, considerato che le spese di lite erano state compensate.
2.1.- La corte d’appello ha affermato che, aggiungendo alla somma Euro 328.151,27 per capitale ed interessi (somma secondo la corte derivante da un conteggio esatto, ma in realtà erroneo per le ragioni sopra esposte nello scrutinio del primo motivo di ricorso), quella di “Euro 8.857,00 per spese di esecuzione, registrazione della sentenza, spese e diritti di precetto si giunge ad un totale di Euro 337.018,27, inferiore a quello di Euro 337.547,80 indicato nell’intimato atto di precetto”.
Ha in tal modo dato per scontato che le spese di registrazione fossero dovute per intero, in linea con quanto ritenuto dal primo giudice, secondo il quale tanto costituiva conseguenza del fatto che il creditore aveva dovuto procedere alla registrazione per agire coattivamente contro i debitori.
La conclusione sarebbe corretta se alla registrazione dovesse farsi luogo, e le relative spese dovessero essere affrontate dal creditore, vincitore in giudizio, solo per il caso che egli debba mettere in esecuzione il titolo. Esse costituirebbero allora conseguenza del persistente inadempimento del debitore soccombente per non avere, pagando, spontaneamente dato esecuzione alla sentenza. Ma così non è, giacchè la registrazione costituisce un’obbligazione tributaria indipendente dall’esecuzione del titolo (tanto che il suo inadempimento non può comunque precludere la tutela giurisdizionale in via esecutiva: Corte costituzionale, sentenza n. 522 del 2002); rappresenta invece una conseguenza ineludibile della sentenza, che ingenera un’obbligazione solidale delle parti verso il fisco, con conseguente ripartizione in sede di regresso, indipendentemente dal fatto che la sentenza sìa o non sia posta in esecuzione (ex plurimis, Cass., nn. 16212/08, 2500/01, 11324/96, 5707/91, sez. un. 8533/1990). Il problema sarebbe, se mai, quello di stabilire se le spese di registrazione di una sentenza debbano sempre ripartirsi in parti uguali fra le parti solidalmente obbligate verso il fisco, o se, in sede di regresso, debbano essere sopportate secondo lo stesso criterio seguito dal giudice per la regolazione delle spese processuali col provvedimento che chiude il processo innanzi a lui, conferendo a tale criterio la valenza di cui all’art. 1298 c.c., ultima parte comma 2: nel senso che esse si ripartiscono in modo uguale se non risulti diversamente, e che diversamente risulta quando il giudice le abbia appunto addossate in tutto o in parte alla parte soccombente che, avendo leso il diritto altrui, la lite ha provocato (criterio implicitamente seguito da Cass., n. 5707/91). Ma si tratta di un problema che nella specie non si pone, giacchè le spese erano state compensate, sicchè non sussistevano i presupposti perchè la parte che le aveva anticipate potesse richiederle per intero con l’atto di precetto, neppure attribuendo alla liquidazione giudiziale il valore di un titolo destinato a regolare quelle non ancora affrontate e tuttavia inevitabili in relazione al fatto stesso che sia stata pronunciata una sentenza.Il motivo è dunque fondato. 3.- In conclusione, accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. con la declaratoria di inefficacia nel precetto nella parte in cui sono stati richiesti interessi sugli interessi annualmente maturati e l’intero importo delle spese di registrazione della sentenza, in luogo della metà.
Alla soccombenza consegue la condanna del C. alle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento dell’appello di G.P. e P.G., dichiara l’inefficacia del precetto nella parte in cui sono stati richiesti interessi sugli interessi annualmente maturati e l’intero importo delle spese di registrazione della sentenza, in luogo della metà; condanna C.L. a rimborsare ai ricorrenti le spese dell’intero processo, che per il primo grado liquida in Euro 1.400 di cui 100 per spese, per il secondo grado in Euro 1.800 di cui 60 per spese, per il giudizio di cassazione in Euro 3.000 di cui 200 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge per ciascuna liquidazione.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010. Depositato in cancelleria il 17 dicembre 2010

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Attenzione ad utilizzare, in sede di precisazione delle conclusioni, la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta”

E questo perché, ad avviso della seconda sezione della Corte di Cassazione, sentenza 16 marzo 2010, n. 6350:

– la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo non può considerarsi di per sè una clausola meramente di stile quando vi sia la ragionevole incertezza sull’ammontare del danno da liquidarsi in concreto, di guisa che l’uso di tale formula ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni.

– Tale principio non può invece operare nel caso in cui, come nel caos in esame, l’ammontare dell’importo preteso sia risultato – all’esito della istruttoria compiuta nel corso del giudizio (espletamento della consulenza tecnica d’ufficio) – maggiore di quello originariamente chiesto e la parte, nelle conclusioni definitive, si sia limitata a riportarsi a quelle rassegnate con la comparsa di risposta in cui si era chiesto l’importo indicato in fattura o “quell’altro maggiore o minore che dovesse risultare in causa”: la mancata indicazione del maggiore importo accertato dal consulente in corso di causa e il mero richiamo invece delle richieste originariamente formulate con la comparsa di costituzione evidenziano come la locuzione in questa contenuta è da considerarsi – come correttamente ritenuto dalla sentenza della Corte di Appello impugnata e ribadito dalla Cassazione – meramente di stile, perchè priva di alcun riferimento al caso concreto, cioè alle vicende del processo, e non poteva essere giustificata da una ragionevole incertezza in ordine all’ammontare delle somme dovute.

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In tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per la risoluzione del contratto, contesti che il locatore abbia sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuata una corretta ripartizione, è onere del locatore stesso, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto.Così si sono espressi i giudici della sesta sezione civile del Tribunale di Roma nella sentenza 2914/2010 spiegando, inoltre che detti fatti non si esauriscono nell’avere indirizzato la richiesta prevista dall’art. 9 della legge n. 392 del 1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l’esistenza, l’ammontare ed i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (Cass. I. 12.87, n. 8938).

Trattandosi poi di immobile compreso in uno stabile condominiale, la prova dell’ammontare del credito, di regola, va data mediante la produzione dei consuntivi di spesa e delle relative tabelle di riparto predisposte dall’amministratore ed approvate dall’assemblea. Si è al riguardo chiarito che il locatore il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali ex art. 9 L. 27 luglio 1978, n. 392 adempie il proprio onere probatorio producendo i rendiconti dell’amministratore approvati dai condomini (Cass. 4.6.98, n. 5485).
E, una volta prodotta tele documentazione il meccanismo di riparto dell’onere probatorio si modifica, giacché il conduttore deve effettuare specifiche contestazioni. Difatti, in tema di locazione di immobili urbani, di fronte alla richiesta del locatore relativa al pagamento degli oneri accessori sulla base di estratti conti condominiali, la contestazione del conduttore non può fondarsi sulla generica impugnazione dell’ammontare delle spese, dovendosi invece basare su specifiche deduzioni concernenti l’entità delle singole partite conteggiate a carico di ciascuno (Cass. 15.1.82, n. 246; Cass. 4.6.98, n. 5485).
Cassazione Civile, Sezione III, 9 marzo 2010, n. 5666 sul punto chiarisce:
– nell’ipotesi di locatore – che sia unico proprietario dell’intero edificio e abbia la gestione delle spese per la fornitura dei servizi accessori a favore delle singole unita’ abitative locate, il termine prescrizionale del diritto al rimborso degli oneri accessori posti a carico dei conduttori, decorre dalla chiusura della gestione secondo la cadenza in cui questa in concreto si svolge;
– nella diversa ipotesi di unico proprietario e locatore delle singole unità immobiliari che compongono l’edificio, la data della decorrenza della prescrizione biennale del diritto al rimborso degli oneri accessori posti (per legge o per contratto) a carico dei conduttori, deve essere individuata in relazione a quella di chiusura della gestione annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza con cui questa in concreto si svolge nell’ambito del rapporto di locazione, e non può tenersi conto delle eventuali norme che dispongano l’approvazione dei consuntivi in epoca successiva a quella di chiusura della gestione annuale, le quali non sono idonee ad incidere sul rapporto privatistico di locazione dal quale nasce il credito per gli oneri accessori (Cass. 7184/2003).

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