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separazione-e-soldi_smallIl caso:

Un ex marito ricorreva al Tribunale di Campobasso al fine di ottenere una riduzione dell’importo dell’assegno divorzile, dallo stesso versato in favore dell’ex moglie e quantificato concordemente concordato in sede di divorzio congiunto nella somma mensile di € 450,00, in considerazione:

  • della dedotta impossibilità per l’ex marito di continuare a vivere con il modesto importo di € 450,00, residuante dopo il pagamento del mutuo immobiliare contratto e del versamento del predetto assegno divorzile in favore della moglie;
  • del nuovo matrimonio dallo stesso contratto;
  • del mutamento in melius delle condizioni economiche dell’ex moglie, che, prima disoccupata, aveva da poco trovato un’occupazione lavorativa come badante, con una retribuzione mensile di € 500,00, superiore pertanto all’assegno dalla stessa percepito.

A fronte del rigetto del suo ricorso da parte della Corte d’Appello, il ricorrente, lungi dal darsi per vinto, adiva la Suprema Corte dolendosi dell’omessa considerazione da parte del giudice di merito delle dedotte circostanze di fatto da cui risultava evidente la sopravvenuta sproporzione reddituale tra le parti.

Il giudizio della Suprema Corte.

Di diverso avviso gli Ermellini, che dichiarano inammissibile il suo ricorso, evidenziando come il Giudice di secondo grado aveva considerato le circostanze dedotte dal ricorrente, giudicandole tuttavia ininfluenti ,alla luce del seguente principio di diritto enunciato dalle SS.UU. con la celeberrima sentenza n°18287 dell’11 luglio 2018 e recentemente ribadito dalla Suprema Corte, sez. I^, con ordinanza n°21926 del 30 agosto 2019: “L’assegno divorzile ha una imprescindibile funzione assistenziale, ma anche, e in pari misura, compensativa e perequativa. Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Laddove, però, risulti che l’intero patrimonio dell’ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell’altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dello stesso svolto e – tenuto conto della composizione dell’entità e dell’attitudine all’accrescimento di tale patrimonio – sia stato già compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l’esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l’assegno di divorzio”.

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downloadIl caso

Con ricorso depositato il 5 luglio 2012, una signora cagliaritana adiva il Tribunale di Cagliari al fine di ottenere la modifica delle condizioni concordate in sede di separazione consensuale due anni prima, richiedendo un sostanzioso aumento dell’assegno separatizio in suo favore nonché di quello per la figlia alla luce della scomparsa del padre, il quale, sino ad allora, aveva garantito alla figlia e alla nipote un notevole sostegno economico.

Il Giudice di primo grado, accogliendo la domanda della moglie, poneva a carico del marito un assegno divorzile di € 800,00 e un assegno per il mantenimento della figlia minorenne pari ad € 2.000,00, oltre al 70% delle spese straordinarie, in misura peraltro maggiore rispetto a quella richiesta dalla stessa ricorrente.

Il marito proponeva reclamo avverso il predetto decreto, chiedendo di ridurre l’assegno di mantenimento della figlia nella misura di € 300,00, concordata in sede di separazione, revocando altresì l’assegno separatizio in favore della moglie.

La Corte d’Appello, tuttavia, con decreto n°1653/16, rigettava il reclamo rilevando:

  • che la morte del padre della moglie “…aveva determinato un rilevante mutamento delle sue condizioni facendo venir meno il consistente aiuto economico in favore della figlia e della nipote, aiuto che aveva consentito sino ad allora alla ___ di integrare il modesto importo dell’assegno previsto della separazione consensuale”;
  • che, sebbene la moglie avesse in astratto un’abilità lavorativa, essendo laureata e avendo conseguito l’abilitazione all’attività di giornalista, in concreto la “…la sua capacità reddituale è pressoché inesistente non avendo maturato, all’età di 50 anni, alcuna esperienza lavorativa”;
  • che non erano state comprovate dal reclamante né l’acquisto di un immobile da parte della moglie né un’asserita stabile convivenza con il nuovo compagno della stessa;
  • che l’aumento dell’assegno di mantenimento per la figlia – che all’epoca della separazione consensuale aveva 6 anni – poteva ben essere giustificata dalla presunzione di un incremento delle sue esigenze proporzionalmente alla sua età.

 

Il ricorso per cassazione

Il marito, lungi da darsi per vinto, proponeva ricorso per cassazione deducendo, inter alia:

  • che la Corte d’Appello avrebbe “…errato nel ritenere la morte del padre della M un mutamento di fatto tale da giustificare un mutamento delle condizioni economiche concordate in sede di separazione consensuale, trattandosi di un evento non eccezionale né imprevedibile”;
  • che la Corte d’Appello avrebbe violato il principio dispositivo confermando la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto alla moglie una somma addirittura superiore a quella richiesta.

La decisione della Suprema Corte

Di diverso avviso gli Ermellini che, con l’ordinanza in oggetto, rigettavano il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali alla luce della seguente motivazione:

  • l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre e la conseguente morte all’età di 71 annicostituiscono una circostanza sopravvenuta e rilevante ai fini della modifica delle condizioni economiche della separazione per il venire meno dell’importante contributo economico destinato dal padre della M al mantenimento della figlia e della nipote”;
  • il riconoscimento da parte del giudice di prime cure della somma di € 2.000,00 rispetto alla somma di € 1.800,00 richiesta con il ricorso introduttivo, “…ha comportato una elevazione solo per ciò che concerne la misura del contributo riconosciuto al mantenimento della figlia”. Ciò è pienamente legittimo alla luce del principio per cui “…per ciò che concerne la determinazione degli obblighi di mantenimento dei figli minorenni il giudice non è soggetto al principio della domanda”.

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