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[:it]Woman sitting on doorstep using phone

In questi anni è diventata sempre più comune la produzione “disinvolta” nei giudizi di separazione della corrispondenza scambiata dall’ex coniuge con l’amante – ottenuta di solito accedendo abusivamente allo smartphone del marito o della moglie – al fine di comprovare il tradimento e ottenere così l’addebito  nonostante la predetta condotta sia idonea ad integrare il reato di accesso abusivo a sistema informatico (specie se la relazione coniugale era già entrata in crisi, cfr. Cass. pen., sez. V^, sentenza n°2905/2019) e quello di cui all’art. 616 c.p. (violazione o sottrazione della corrispondenza, cfr. Cass. pen., sez. V^, sentenza n°18462/2016).

Il giudice della famiglia, tuttavia, ha dimostrato negli anni di essere sempre più incline a riconoscerne l’utilizzabilità ai fini dell’addebito nei giudizi di separazione.

Il caso

A riguardo, si segnala un recente giudizio di separazione tra coniugi, in cui la moglie ha chiesto al Tribunale civile di Velletri di pronunciare l’addebito della separazione all’ex marito sulla base proprio degli scambi whatsapp con l’amante, rinvenuti dalla moglie sul cellulare del coniuge e prodotti in giudizio.

Il Tribunale, pronunciandosi sull’addebito, ha preliminarmente ricordato:

  • che “….in punto di diritto la pronuncia di addebito della separazione presuppone l’accertamento da parte del giudice non solo, ovviamente, del comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi ai doveri coniugali, ma anche che tale violazione abbia causato la crisi matrimoniale e che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione presupposta per la pronuncia di separazione” (cfr. Cass. sez. 1, n. 279 del 12/01/2000; n. 23071 del 16/11/2005; n. 9877 del 28/04/2006; n. 18074 del 20/08/2014; sez. 6-1, ord. n. 3923 del 19/02/2018);
  • che “La pronuncia di addebito postula, quindi, in ogni caso, l’accertamento che il comportamento contrario ai doveri coniugali abbia causato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (Cass. Sez. I, 20/08/2014, n. 18074) mentre non può operare nei casi in cui emerga che il rapporto sia già compromesso per incompatibilità caratteriale o altre cause, poiché in questo caso la condotta è conseguenza e non causa della crisi coniugale già in atto”.
  • “…corollario di questi principi, e del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., la giurisprudenza è altrettanto consolidata nel ritenere che «grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà»” (così Cass. sez. 6-1, ord. n. 3923 del 19/02/2018; conforme sez. 1, sent. n. 2059 del 14/02/2012).

Passando al merito, il Tribunale ha ritenuto comprovati sia l’anteriorità della relazione adulterina che il nesso di causalità intercorrente con l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza sulla base degli scambi whatsapp prodotti dalla moglie tra il marito e l’amante, la quale, escussa come teste, aveva “…confermato la riconducibilità a sé dei messaggi Whatsapp intercorsi nell’agosto 2016 con [nome amante] in cui riferisce la esistenza della relazione antecedentemente alla convivenza con il  [nome marito] stesso”.

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[:it]Scopre che il marito cerca compagnia femminile sul web e  via di casa.

La decisione della moglie, avviso della prima sezione della Corte di Cassazione, ordinanza 16 aprile 2018 n. 9384,   è comprensibile e legittima.

Va esclusa, di conseguenza, l’ipotesi che la separazione dei coniugi – dopo un solo anno di matrimonio – sia addebitabile alla moglie.
Per quanto concerne invece le ragioni della rottura, l’uomo sostiene che tutto sia cominciato con la decisione della donna di andare a vivere in un altro appartamento, abbandonando il tetto coniugale. Per la Corte, invece, la scelta della moglie è comprensibile, poiché frutto della scoperta di un interesse del marito alla ricerca di compagnie femminili sul web.

In sostanza, il comportamento dell’uomo va letto  come «una violazione degli obblighi di fedeltà», poiché le sue ricerche online erano finalizzate alla concretizzazione di «relazioni extraconiugali». E questo dato è ritenuto sicuramente sufficiente, secondo i giudici, a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale sfociata poi nella separazione.

Alla donna viene anche riconosciuto un assegno di mantenimento di € 600,00 al mese, a fronte degli inequivocabili i diversi rapporti di forza dal punto di vista economico: lui percepisce una pensione da 3.000,00 euro al mese, lei è disoccupata.

 

 

Qui di seguito il testo del provvedimento:

                                                                                               In fatto e in diritto

Rilevato che:
………… ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna, in epigrafe indicata, che aveva confermato la prima decisione in controversia concernente la separazione giudiziale da Fe. Mi.: in primo grado, respinta la domanda di addebito a carico della moglie, il marito era stato onerato di un contributo al di lei mantenimento di Euro.600,00= mensili. ……provvisoriamente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, replica con controricorso. Il ricorso e stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
Considerato che:
1.1. Primo motivo – Violazione e falsa applicazione degli artt. 151, secondo comma, cod. civ. (art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.).

A parere del ricorrente la Corte di appello ha errato nell’escludere la pronuncia di addebito della separazione a carico della moglie per violazione dei doveri di assistenza materiale e di collaborazione dell’interesse della famiglia, sulla ritenuta «assenza di allegazione e prova di un accordo tra essi in ordine alla gestione del ménage familiare da parte della sola moglie», in quanto – a suo dire – il dovere di accudimento non presuppone un accordo, ma consegue agli obblighi nascenti dal matrimonio.

1.2. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi in rito, espressa dalla Corte di appello circa la mancanza di specificità del motivo di appello redatto in violazione dell’art.342 cod. proc. civ rispetto alla statuizione di primo grado.
2.1. Secondo motivo – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.) individuato negli esiti delle investigazioni private dalle quali sarebbe emerso che la moglie aveva preso in affitto altri appartamenti, all’insaputa del marito, ove si sarebbe recata quotidianamente.
2.2. Terzo motivo – Violazione e falsa applicazione degli artt. 151 cod. civ. e 143, secondo comma, cod. civ. (art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.); erronea valutazione dell’obbligo di coabitazione.
Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto giustificato l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale senza preavviso esclusivamente per la scoperta di un interesse del marito alla ricerca di compagnie femminili sul Web: sostiene che tale circostanza non era sufficiente a provare che l’allontanamento fosse dipeso esclusivamente da ciò, in assenza di pregresse tensioni tra i coniugi.

2.3. Sul piano logico/giuridico l’esame del terzo motivo deve precedere quello del secondo.
2.4. Il terzo motivo è inammissibile perché la Corte di appello ha escluso la violazione dell’obbligo di coartazione ravvisando una violazione degli obblighi di fedeltà ex art. 143 cod. civ. da parte del marito, intento alla ricerca di relazioni extraconiugali tramite internet, ritenendo ciò “circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia tra i coniugi e a provocare l’insorgere della crisi matrimoniale all’origine della separazione” (fol.6 della sent.): su tale statuizione, non oggetto di impugnazione in quanto il ricorrente si è limitato a minimizzare la sua condotta, si è formato un giudicato interno incompatibile con la pronuncia di addebito per abbandono del tetto coniugale perché questo è stato ritenuto giustificato, dalla Corte territoriale, proprio dalla violazione degli obblighi di fedeltà.
2.5. All’inammissibilità del terzo motivo consegue l’assorbimento del secondo motivo che, oltre ad essere carente sul piano dell’autosufficienza in ordine al momento in cui tali circostanze -dedotte, peraltro, in modo generico – siano state introdotte nel giudizio, risulta privo di decisività, sia per il contenuto intrinseco -che attiene al libero esercizio del diritto di circolazione della moglie -, sia perché -come già chiarito – l’abbandono della casa coniugale è stato considerato, con statuizione non impugnata, come conseguenza della violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del marito.
3.1. Quarto motivo – omissis …..
4.1. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile
Pi. Be., in ragione della soccombenza, è tenuto alla refusione delle spese del ricorso.
Posto che il difensore della controricorrente ha allegato che l’assistita è stata provvisoriamente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, va statuito ai sensi dell’art. 133 del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115, l’obbligo del soccombente di versare all’Amministrazione Finanziaria dello Stato le spese sostenute dalla parte vittoriosa nel giudizio di legittimità.
Non compete a questa Corte adottare alcun provvedimento di liquidazione, alla stregua della corretta lettura degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R., data dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 22616/2004 – 16986/2006 – 13760/2007 – 11028/2009 -23007/2010 – Sez. U. n. 22792/2012), tal liquidazione spettando al giudice del merito che ha emesso la pronuncia passata in giudicato per effetto della presente sentenza. Si dà atto, – ai sensi 13, comma 1 quater del D.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma dell’art.52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso;
– Condanna il ricorrente a corrispondere le spese del giudizio di legittimità all’Amministrazione Finanziaria dello Stato;
– Dà atto, ai sensi 13, comma 1 quater del D.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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separazione-e-soldi_smallI matrimoni di comodo sono una realtà mai passata. Di recente, la Suprema Corte è stata investita di una rocambolesca vicenda che ha visto come protagonisti due novelli sposi, convolati a nozze per questioni economiche. Lui, alto ufficiale statunitense, aveva beneficiato di importanti gratifiche economiche riconosciutegli a seguito del matrimonio, mentre la moglie, durante il matrimonio, si era fatta consegnare dal marito oltre 110.000,00 dollari e vari assegni post datati.

Dopo appena 28 giorni di matrimonio, i due decidono di promuovere dinnanzi al Tribunale civile di Genova ricorso per separazione giudiziale con reciproca richiesta di addebito.

Il giudice di primo grado, investito della questione, pur pronunciando la separazione, respingeva sia le richieste di addebito che la domanda di assegno di mantenimento presentata dalla moglie.

Detta ultima statuizione veniva altresì confermata dalla Corte d’Appello di Genova, che, in particolare, rigettava della domanda di assegno alla luce della brevissima durata del matrimonio, di appena 28 giorni, e la conseguente mancata instaurazione di una reale comunione materiale e morale tra i coniugi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’ex moglie, tuttavia, ricorreva avverso detta pronuncia dinnanzi alla Suprema Corte deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., sostenendo che la breve durata del matrimonio, così come la mancata instaurazione di una convivenza sarebbero irrilevanti al fine di escludere il suo diritto all’assegno di mantenimento. A sostegno di detta tesi, la ricorrente cita la recente sentenza n°1162 dell’8 gennaio 2017 con cui la Suprema Corte avrebbe statuito che “…alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti mentre, alla durata del matrimonio può essere attribuito rilievo ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento”.

Di diverso avviso si rivelano gli Ermellini, ad avviso dei quali la Corte d’Appello avrebbe correttamente rilevato l’esistenza di un’ipotesi eccezionale di esclusione del diritto all’assegno di mantenimento: la mancata realizzazione, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

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imagesA distanza di qualche mese dalla rivoluzionaria sentenza del Tribunale civile di Milano – sez. IX^ civile, del 7 luglio 2016, pubblicata il 6 settembre 2016, Presidente estensore dott.ssa Laura Maria Cosmari – anche il Tribunale di Mantova, di recente, ha deciso di ricorrere alla neonata figura del coordinatore genitoriale al fine di vigilare e risolvere le problematiche di gestione dei figli in una coppia separata, caratterizzata da un’elevata conflittualità tra coniugi.

La vicenda trae origine da un giudizio di separazione personale in cui ambedue i coniugi avevano chiesto la pronuncia della separazione con addebito all’ex coniuge. In particolare, ad avviso del ricorrente, il fallimento del matrimonio sarebbe da addebitarsi all’anaffettività e agli atteggiamenti offensivi che la moglie aveva tenuto tanto nei suoi confronti quanto nei confronti della cerchia parentale. Il marito, inoltre, si lamentava dei comportamenti tenuti dalla moglie, dopo il suo allontanamento volontario da casa, tesi ad ostacolare i rapporti padre-figli, chiedendo, nonostante l’affido condiviso con collocamento prevalente dei figli presso la madre, la condanna di quest’ultima ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c.. La resistente, costituitasi in giudizio, chiedeva a sua volta l’addebito al marito, affermando che l’intollerabilità della convivenza era dipesa unicamente dall’esistenza di una relazione adulterina, nonché l’affido congiunto dei figli con collocamento prevalente presso di lei.

All’esito della fase istruttoria, il Tribunale accoglieva la richiesta di addebito della moglie ritenendo comprovata l’ascrivibilità del fallimento del matrimonio al tradimento del marito non solo dalla perizia investigativa depositata quanto dalla stessa ammissione da parte del ricorrente durante l’udienza presidenziale. Il Tribunale decideva, altresì, di accogliere la domanda di condanna della madre ex art. 709 ter c.p.c. “…atteso che dagli atti emerge come, in più occasioni, la resistente abbia ingiustificatamente frapposto ostacoli alla regolare frequentazione fra il padre e i figli…”.

Passando alla regolamentazione dell’affidamento dei figli, il Tribunale osserva preliminarmente come tanto i Servizi sociali quanto la C.T.U. esperita nel giudizio abbiano evidenziato “…che entrambi i genitori sono in grado di gestire singolarmente i figli e che le difficoltà nelle relazioni (in particolare del padre) dipendono esclusivamente dalla mai sopita conflittualità (presente anche durante la convivenza) fra gli adulti…”.

Il Tribunale decide, tuttavia, che la sola conflittualità tra i coniugi non sia sufficiente per disporre l’affido esclusivo degli stessi a l’uno o all’altro genitore – dando peraltro atto che ambedue i coniugi avevano richiesto l’affido condiviso dei figli – ritenendo non “…positivamente dimostrata l’inidoneità educativa ovvero la manifesta carenza del ricorrente…”, disponendo pertanto l’affido condiviso degli stessi con collocamento prevalente presso la madre “…avendo i figli instaurato un più solido legame affettivo con essa ed essendo costei in grado di offrire maggiore stabilità e sicurezza psicologica, come chiaramente emerge dalla consulenza tecnica”. D

A causa della comprovata ed elevata conflittualità tra i genitori e dei comportamenti posti in essere dalla madre e tesi ad ostacolare i rapporti dei ragazzi con il padre, il Tribunale decide, tuttavia, di nominare una figura esterna, il c.d. coordinatore genitoriale o educatore professionale, al fine di monitorare l’andamento dei rapporti familiari, incaricandolo all’uopo di:

  1. di monitorare l’andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori, intervenendo a sostegno di essi in funzione di mediazione;
  2. di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il padre ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell’interesse dei figli) in caso di disaccordo;
  • di redigere relazione informativa sull’attività svolta, da trasmettere al Giudice Tutelare…”.

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downloadCon ordinanza n°22677 del 1° luglio 2016, pubblicata in data 8 novembre 2016, la VI^-1 sezione della Suprema Corte di Cassazione ribadisce con fermezza l’inutilizzabilità nel giudizio civile “…del materiale probatorio acquisito mediante sottrazione fraudolenta alla parte processuale che ne era in possesso”.

La vicenda de quo trae origine da una feroce disputa in sede separatizia tra ex coniugi, avente ad oggetto l’addebito della separazione e l’affido della prole. All’esito del secondo grado di giudizio, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale modifica di quanto disposto dal Tribunale di Pistoia, aveva respinto le reciproche domande di addebito presentate dai due coniugi, disponendo altresì l’affidamento esclusivo dei figli al padre e degli incontri protetti madre-figli.

Ricorreva avverso detta sentenza la madre, lamentandosi, inter alia, dell’omessa valutazione di alcuni file audio, di proprietà del marito, sottratti da ignoti ed inviati anonimamente al difensore della ricorrente. Ad avviso della moglie, infatti, la circostanza che detto materiale probatorio fosse stato raccolto fraudolentemente non incideva sulla sua utilizzabilità in sede civile.

Di diverso avviso sono, tuttavia, gli Ermellini che confermano l’inutizzabilità del predetto materiale probatorio raccolto illecitamente, rigettando il ricorso.

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[:it]Risultati immagini per immagine tradimentoLa moglie confessa al marito di essere venuta meno al dovere di fedeltà, soltanto per ferirlo, umiliandolo e gettandolo nello sconforto, rendendo così intollerabile la convivenza e minando irrimediabilmente il rapporto coniugale.

Soltanto nel corso del giudizio di separazione la donna smentiva il tradimento, ma la Suprema Corte reputa tardiva tale affermazione e conclude addebitando alla moglie la frattura del matrimonio, rigettando altresì la richiesta dell’assegno di mantenimento. E ciò in quanto la moglie aveva comunque umiliato e gettato nello sconforto il marito producendo lo stesso effetto pratico che si sarebbe prodotto se l’adulterio fosse stato effettivo, così minando irrimediabilmente il rapporto coniugale.

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