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[:it]a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Il primo agosto 2018, nel pieno dell’estate, è giunto in Senato il disegno di legge n°735 del 2018, c.d. DDL “Pillon”, dal nome del suo primo firmatario. Il disegno di legge si pone l’obiettivo di modificare radicalmente il diritto di famiglia, partendo dalla ripartizione paritetica dei tempi di permanenza dei figli, sino alle sue conseguenze in punto di assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare.

Le origini europee del DDL

Nella relazione al DDL Pillon sono presenti diversi richiami alla risoluzione n°2079 del 2015 del Consiglio d’Europa, rubricata “Equality and shared parental responsibility: the role of fathers” (equità e responsabilità genitoriale condivisa: il ruolo dei padri), e che rappresenta la pietra miliare in Europa della necessità di garantire tempi paritetici dei figli con entrambi i genitori.

Detta risoluzione, di cui l’Italia è firmataria, afferma infatti:

  • che la separazione di un genitore dal figlio ha effetti irrimediabili sulla loro relazione e, pertanto, la stessa dovrebbe essere ordinata esclusivamente dall’autorità giudiziaria e solo in casi eccezionali configuranti un rischio grave per l’interesse della prole[1];
  • che una responsabilità parentale condivisa aiuterebbe a superare gli stereotipi di genere relativi ai ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna nella famiglia, riflettendo pertanto i cambiamenti sociologici che hanno preso piede negli ultimi 50 anni[2];
  • contiene infatti l’espresso invito agli Stati membri ad assicurare l’effettiva eguaglianza tra genitori anche attraverso la promozione della c.d. “shared residence”, definita quale “…forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”.

Alla luce delle predette riflessioni, la risoluzione in oggetto, ancorché non vincolante, ha chiamato gli Stati membri ad una serie di adempimenti e novelle legislative, tra le quali:

  • introdurre nei propri ordinamenti il principio della “shared residence” a seguito della separazione, limitando a casi eccezionali di particolare gravità (quali abusi sui minori o violenza domestica), l’adozione di forme alternative[3];
  • incoraggiare e sviluppare la mediazione in tutti i casi concernenti minori[4];
  • incoraggiare accordi tra i genitori al fine di permettere a questi ultimi di determinare essi stessi i principali aspetti relativi alla vita dei figli, consentendo altresì agli stessi minori di poter richiedere una revisione di detti accordi, nella misura in cui abbiano effetti sugli stessi, con particolare riferimento al luogo della loro residenza[5];

Lo scopo

Il DDL in questione, nella visione dei suoi ideatori, mira ad adeguare il diritto di famiglia alle esigenze delle sempre più frequenti famiglie mono o pluri-genitoriali, nate dalle ceneri di precedenti unioni, così come individuate dalla risoluzione n°2079 del 2015 del Consiglio d’Europa.

I firmatari del DDL hanno infatti rilevato come la legge n°54 dell’8 febbraio 2006 e la sua applicazione da parte dei tribunali nazionali abbiano di fatto portato ad un affido “condiviso” solo nella forma e non anche nella sostanza, non potendosi considerare “materialmente” condiviso quello prevedente un collocamento prevalente del minore presso uno dei due genitori con tempi di permanenza presso il genitore non collocatario inferiori al 30%.

Dati alla mano, infatti, emerge che in Italia:

  • la percentuale di affidi di minori c.d. “paritetici” risulti pari ad appena 1-2 %, a fronte di medie superiori al 20% in paesi quali Belgio (20%) e Svezia (28%);
  • quella di affidi “materialmente condivisi” (ovvero con tempi di permanenza presso il genitore non collocatario pari o superiori al 30%), si limiti ad appena il 3-4% dei casi, a fronte di medie superiori al 30% in paesi quali Belgio (30%) e Svezia (40%);
  • quella, di contro, di affidi “materialmente esclusivi”, pari ad oltre il 90%, a fronte di medie inferiori al 50% in paesi quali Belgio (50%) e Svezia (30%).

Le principali novità

Il DDL, in estrema sintesi, mira ad apportare le seguenti significative modifiche al diritto di famiglia così come oggi lo conosciamo.

1) affido condiviso c.d. alternato

Il minore passerà, salvo che non sia contrario al suo interesse, periodi di permanenza pressoché paritetici con ciascuno dei genitori, con conseguente venir meno della figura del genitore collocatario.

2) mantenimento diretto

Quale conseguenza della ripartizione più equilibrata tra i genitori dei compiti genitoriali e del tempo da trascorrere con i figli, cambieranno anche le modalità di mantenimento dei figli. Di fatti, sarà sempre da preferire il c.d. mantenimento diretto al posto della forma indiretta, consistente nel tradizionale assegno da versare al genitore collocatario. È opportuno specificare come il mantenimento diretto riguardi solo le c.d. spese ordinarie, e non già quelle straordinarie, che resteranno ripartite tra i genitori, presumibilmente in misura proporzionale rispetto alle condizioni reddito-patrimoniali dei genitori.

3) venir meno dell’assegnazione della casa familiare

Con la soppressione della figura del genitore collocatario verrà altresì meno l’assegnazione della casa familiare, che resterà nella disponibilità del proprietario. Nei casi, assai frequenti, di case cointestate, si applicherà, pertanto, la disciplina codicistica della comunione di cui agli artt. 1100 e ss. c.c. I minori avranno conseguentemente due residenze, presso le case dei rispettivi genitori.

4) mediatore familiare e coordinazione genitoriale

Viene istituzionalizzata la figura del mediatore familiare, individuandone requisiti, sancendo espressamente l’obbligo di riservatezza, definendo durata e condizioni del procedimento di coordinazione genitoriale, definita come “…processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la valutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni tra genitori e figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionale”.

A riguardo, rimane da chiarire il ruolo che l’avvocato ricoprirà in sede di mediazione, essendo prevista la sola eventualità della sua presenza e la possibilità che il mediatore, su accordo delle parti, possa “chiedere” agli avvocati di non partecipare agli incontri successivi al primo incontro, salvo poi richiederne la presenza al momento della stipulazione dell’eventuale accordo.

5) piano genitoriale

Il DDl mira altresì a introdurre l’istituto del piano genitoriale, al fine di aiutare “… i genitori a evitare contrasti strumentali e a concentrarsi sulla centralità dei figli…”. Detto strumento, definito quale “…autentico strumento di lavoro sul quale padre e madre saranno chiamati a confrontarsi per individuare le concrete esigenze dei figli minori e fornire il loro contributo educativo e progettuale che riguardi i tempi e le attività della prole e i relativi capitoli di spesa”, dovrà essere puntualmente indicato dai genitori nel ricorso introduttivo. In mancanza di accordo tra i genitori, sarà il Tribunale ad approvare eventualmente il piano non condiviso presentato da uno dei genitori, a modificarlo ovvero ad adottarne uno ex novo “…determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi dovrà contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli individuato su base locale alla luce del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, individuando le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa, dando applicazione al protocollo nazionale sulle spese straordinarie”.

6) ascendenti

Il DDL, agli articoli 11 e 17, mira altresì a tutelare i rapporti dei minori con i propri ascendenti:

  • consentendo agli ascendenti di “…far sentire la loro voce…” mediante un intervento “ad adiuvandum”, nelle forme di cui all’art. 105 c.p.c.;
  • prevendendo la possibilità per il giudice, su istanza di parte, di adottare provvedimenti volti a conservare “…rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

7) alienazione genitoriale

Il DDL si pone l’obiettivo di contrastare la c.d. alienazione genitoriale, prescindendo da una sua compiuta definizione e dalle polemiche sorte circa la sua esistenza.

In particolare, all’art. 17 è prevista l’applicabilità, con decreto e su istanza di parte, di uno o più provvedimenti ex art. 342 ter e quater, “nell’esclusivo interesse del minore – anche quando – pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori – il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi”.

I precedenti in Italia

A ben vedere, il Tribunale di Brindisi, già nel 2017, aveva riformato le linee guida della sezione famiglia alla luce proprio dei principi ispiratori del DDL Pillon. Anche il Tribunale pugliese, già un anno fa, aveva fondato dette linee guida sulla presa di coscienza della mai avvenuta applicazione dei principi portanti della riforma introdotta con legge n°54 del 2006, in primis il principio della c.d. bigenitorialità, nonché del pregiudizio che il collocamento prevalente ha non solo sul legame figlio – genitore non collocatario ma anche sulla serena e corretta crescita dei figli.

 Segnali favorevoli all’affidamento alternato si rinvengono anche nel Tribunale di Milano che, già due anni orsono, nella persona del noto magistrato dott. Buffone affermava in un articolo pubblicato sul sito Altalex il 13 luglio 2015 che “…salvo diversi accordi dei genitori, i figli minori hanno diritto a trascorrere pari tempi di permanenza presso l’uno e l’altro genitori a prescindere dalla residenza”.

[1]For a parent and child, being together is an essential part of family life. Parent–child separation has irremediable effects on their relationship. Such separation should only be ordered by a court and only in exceptional circumstances entailing grave risks to the interest of the child”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[2] “…developing shared parental responsibility helps to trascend genter stereotypes about roles supposedly assigned to women and men within the family and is simply a reflection of the sociological changes that have taken place over the past fifty years in terms of how the private and family sphere is organised”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[3] “…introduce into their laws the principle of shared residence following a separation, limiting any exceptions to cases of child abuse or neglect, or domestic violence, with the amount of time for which the child lives with each parent being adjusted according to the child’s needs and interests”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[4] “…encourage and, where appropriate, develop mediation within the framework of judicial proceedings in family cases involving children, in particular by instituting a court-ordered mandatory information session, in order to make the parents aware that shared residence may be an appropriate option in the best interests of the child, and to work towards such a solution, by ensuring that mediators receive appropriate training and by encouraging multidisciplinary co-operation based on the “Cochem model”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[5] “…encourage parenting plans which enable parents to determine the principal aspects of their children’s lives themselves and introduce the possibility for children to request a review of arrangements that directly affect them, in particular their place of residence”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220[:]

[:it]download (1)La PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)

Il fallimento della propria unione è difficile da accettare, ancor di più per i propri figli. È per questo che è importante fare capir loro che l’amore del papà e della mamma non verrà mai meno, perché padre e madre si resta anche dopo una separazione.

Aimè, tuttavia, nelle liti familiari che riempiono i tribunali italiani sta emergendo in modo sempre più preoccupante il fenomeno della c.d. alienazione parentale, definita dal celebre psichiatra americano Richard A. Gardner, come: «Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile».

Nella giurisprudenza degli ultimi anni il riferimento alla PAS sta divenendo sempre più recente, ancorché se l’esistenza e i connotati di questa patologia siano ancora discussi in ambito medico.

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n°21215 del 13 settembre 2017, si è recentemente imbattuta in un caso di alienazione parentale degno di nota, anche per le misure assunte dai giudici nei primi gradi di giudizio al fine di porvi rimedio.

I primi gradi di giudizio.

La vicenda di cui ci si occupa trae origine da una delle tante cause di divorzio in cui, oltre alle statuizioni in ordine all’assegnazione della casa familiare e al mantenimento per il coniuge e i figli, le parti hanno demandato al Tribunale di Napoli di pronunciarsi sul regime di affido e mantenimento di una figlia minore.

All’esito della CTU svoltasi in primo grado, da cui era emersa una forte manipolazione della bambina ad opera della madre –  tale da spingerla a provare risentimento nei confronti del padre sulla base di motivi artificiosi creati ad arte dalla madre e a rifiutarsi di incontrarlo – il Tribunale partenopeo aveva deciso:

  • di affidare la minore per un periodo di 6 mesi alla zia paterna, disciplinando puntualmente gli incontri dei genitori con la bambina
  • di porre a carico di ambedue i genitori un congruo assegno di mantenimento;
  • di rigettare la domanda di assegnazione della casa familiare e di assegno di mantenimento per il coniuge avanzata dalla madre.

La madre, tuttavia, propone ricorso avverso detta sentenza dinnanzi alla Corte d’Appello di Napoli, chiedendo di disporsi l’affido condiviso della figlia con collocamento prevalente presso la stessa.

La Corte di secondo grado, tuttavia non solo rigetta l’appello della madre ma decide – essendosi concluso il periodo di 6 mesi di affidamento della bambina alla zia paterna – di disporre l’affido esclusivo della piccola al padre, ponendo a carico dell’ex moglie un assegno di mantenimento di € 400,00 e disciplinando degli incontri protetti madre – figlia presso i Servizi Sociali.

Le risultanze della C.T.U.

Alla base della decisione, ancora una volta, gli esiti della C.T.U. svoltasi in primo grado che così ha descritto l’ex moglie, la quale:

  • “…mostra un tratto passivo aggressivo, alternando momenti in cui si percepisce vittima a momenti in cui perseguita lei stessa il C…. percepisce pericoli incombenti da cui difendersi e lottare ed è presente una spinta sadomasochistica con tendenza al vittimismo… tende a voler definire lei il ruolo paterno del sig. C., e durante i colloqui mostra un atteggiamento svalutante nei confronti del padre”;
  • “…non le [alla figlia] riconosce il diritto di amare il suo papà e, in maniera consapevole o inconsapevole, agisce con ricatto morale nei confronti della figlia, al fine di realizzare il proprio progetto di vita con il proprio attuale convivente…”;

Ancor più significative, poi, sono le risultanze con riferimento alla figlia, la quale:

  • “…in presenza della madre, si disperava dicendo di non voler andare con il padre ma, non appena la genitrice si allontanava, subito si rasserenava, confortata dall’affettuosità paterna”;
  • “…non esprime mai un proprio reale bisogno, ma solo il piacere di compiacere la madre, nonché una coatta e forzosa ostilità verso il padre… si riscontra una personalità appiattita e fortemente dipendente dalla madre…”.

Ad avviso dell’esperta nominata dal Tribunale, il condizionamento che aveva subito la minore era di tale entità da rendere insussistenti “…le condizioni per intraprendere un favorevole percorso terapeutico, al fine di agevole la ripresa dei contatti della bambina con il padre…” e da escludere altresì “…l’opportunità dell’affidamento della minore alla madre”.

Il giudizio in Cassazione

La madre decideva di ricorrere avverso detta sentenza sino alla Corte di Cassazione, eccependo che la decisione del giudice di secondo grado era fondata sulla diagnosi della sindrome d’alienazione parentale, senza che la Corte avesse provveduto “…alla verifica scientifica della teoria posta alla base della diagnosi”.

La Suprema Corte, tuttavia, rigetta l’appello della donna sulla scorta delle seguenti condivisibili argomentazioni:

  • preliminarmente, “…l’allegazione, nel ricorso per cassazione, di un mero dissenso scientifico, che non attinga un vizio nel processo logico seguito dalla Corte territoriale, si traduce in una inammissibile domanda di revisione nel merito del convincimento del giudice” (tra le molte, cfr. Cass. sez. I^, sent. 9.1.2009, n. 282);
  • la decisione della Corte d’Appello si è basata non solo sulla C.T.U. espletata ma anche sulle risultanze di uno specialista che ha seguito la bambina nel corso del giudizio d’appello, esprimendo le medesime valutazioni della consulente tecnica e alla conclusione dell’inidoneità della madre all’esercizio della responsabilità genitoriale;
  • dirimente per la decisione della corte d’appello non è stata la ricorrenza di una patologia, quale la PAS, bensì ma “…l’adeguatezza di una madre a svolgere il proprio ruolo nei confronti di una figlia minore che si trova in grave difficoltà, avrebbe bisogno del sostegno di entrambi i genitori, ma non riceve la collaborazione di cui ha bisogno dalla madre, in base alle univoche risultanze di causa…”;
  • la Corte d’Appello, infatti, ha correttamente fatto proprie le risultanze della CTU svoltasi in primo grado, dalla quale è emerso che “la P. ha cercato di esautorare il C., padre della piccola A. e di sostituirlo, nello svolgimento del ruolo paterno, con la figura del suo attuale compagno convivente. Infatti la stessa P. dichiarava che la figlia chiamava “papà” il compagno della mamma”.

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kate-separatedLa rottura del nucleo familiare comporta assai spesso la rideterminazione di equilibri, spazi e ruoli. Questo processo, tuttavia, non sempre avviene armonicamente tra i genitori. Anzi, sin troppo spesso assistiamo nelle aule di Tribunale così come nell’intimità della casa ad ex che, incapaci di elaborare il lutto della fine della propria relazione, tentano in ogni modo di allontanare i figli dai propri ex, screditandoli costantemente ai loro occhi sia come persone che come genitori.

Il Tribunale di Cosenza, di recente, si è occupato dell’ennesimo caso di alienazione parentale, che ha visto coinvolti non solo i genitori e il figlio minore ma anche le rispettive famiglie. La vicenda si snoda all’interno di un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, durato 3 anni, e vede come protagonista il giovane figlio di una coppia divorzianda che manifesta una forte ostilità nei confronti della madre, a cui fa da contrappeso un rapporto para-simbiotico con la figura paterna.

All’esito della ctu disposta, gli specialisti evidenziavano un avanzato processo di alienazione della figura materna, rinvenendone le radici nella costante opera di svilimento operata dal marito e della sua famiglia di origine, il tutto alla presenza dello stesso minore. Quest’ultimo, troppo giovane e troppo attaccato al padre per poter avere una sua visione critica ed autonoma, aveva infatti fatto proprie le costanti critiche rivolte alla madre, finendo col disprezzarla immotivatamente e a non volere avere più contatti con la stessa.

Proprio a causa delle risultanze della C.T.U., il Tribunale, il giudice di prime cure ritiene:

  • di dover rigettare la richiesta di affido esclusivo del bambino al padre, avanzata da quest’ultimo, non essendo la relativa domanda sorretta da “valide motivazioni circa l’idoneità genitoriale della resistente” ed avendo il padre manifestato una grave inidoneità genitoriale, derivante dalla sua incapacità a preservare e garantire “…la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore” (in senso conforme, Corte di Cassazione, sez. I^ Civile, sentenza n°6919/16), tale da rischiare di determinare un’ulteriore marginalizzazione della figura materna agli occhi del minore;
  • di non poter disporre tantomeno l’affido esclusivo del bambino alla madre, peraltro non richiesto dalla stessa, in quanto, non “… pronta, in ragione dei tratti caratteriali e temperamentali ben delineati dalla ctu e dalla oggettiva problematicità dell’attuale dinamica relazionale con il figlio, ad assumersi le correlate responsabilità ….”;
  • di dover escludere altresì la prosecuzione del regime dell’affidamento condiviso, in considerazione dell’assenza di risultati positivi durante i tre anni di giudizio, nonché della “…incapacità dei genitori di gestire il conflitto personale con modalità idonee a preservare l’equilibrio psichico del figlio…”;
  • di non poter disporre l’affido del minore tantomeno ai membri delle rispettive famiglie di origine, non avendo i genitori fornito l’indicazione di “…persone affettivamente vicine al minore in grado di assumere la responsabilità dell’affidamento e di svolgerne i compiti mantenendo una posizione equidistante rispetto alle due figure genitoriali”.

In conclusione, pertanto, il Giudice ritiene percorribile unicamente la via dell’affidamento del bambino ai Servizi Sociali, con collocamento prevalente presso la casa paterna, sulla scorta del seguente ordine di motivi:

  • pur in assenza di un’espressa previsione legislativa, il giudice ha il potere-dovere di disporre tale forma di affidamento, rientrando la stessa nei provvedimenti che il giudice ha il potere-dovere di adottare, ai sensi dell’art. 337-ter, co. 1 c.c. “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”;
  • l’affido ai servizi sociali appare l’unica via percorribile al fine anche di monitorare costantemente i rapporti tra i genitori e con il figlio, favorendo un progressivo riequilibrio degli stessi;
  • nonostante in astratto il rimedio da adottarsi in caso di alienazione parentale consista nell’immediato “allontanamento del minore dal genitore alienante”, purtuttavia, la giovanissima età del minore rende in concreto tale rimedio impercorribile, con conseguente necessità di confermare il prevalente collocamento dello stesso presso la casa paterna.

Da ultimo, il Tribunale decide altresì di ammonire il padre ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. nonché di condannarlo al risarcimento dei danni endofamiliari causati tanto al diritto del figlio alla bigenitorialità quanto al diritto della madre ad intrattenere rapporti continuativi e costanti con quest’ultimo, quantificati in via equitativa in € 5.000,00 cadauno, sulla “della condizione di disagio psichico in cui versa il minore, della durata della emarginazione della figura materna, delle presumibili sofferenze patite dalla (madre) per il distacco fisico ed emotivo dal figlio, e, per altro verso, della già evidenziata concorrente responsabilità di quest’ultima…”.

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[:it]Risultati immagini per immagine alienazione parentaleDenigrare la figura del padre e incidere negativamente sul rapporto padre – figlio può costare molto caro, ha recentemente affermato il Tribunale Civile di Roma, con sentenza 11 ottobre 2016 n. 1879.

Il collegio giudicante, accertava che la madre (genitore collocatario) non aveva in alcun modo tentato di riavvicinare il figlio al padre «risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero necessario per la crescita equilibrata del minore ma al contrario aveva continuato a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito» mentre avrebbe dovuto attivarsi per «consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio, che nella tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso postula il necessario superamento delle mutilazioni affettive del minore»; né tanto meno, aveva spinto il figlio verso il padre, invece di prendere tutti i pretesti per sfuggire agli incontri programmati, cercando di recuperare «la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte».

Detta condotta materna aveva ricadute dirette sulla figura dell’altro genitore, svilito nel suo ruolo di educatore e di figura referenziale“.

Conseguentemente il Tribunale ha ordinato alla madre di condurre il figlio da un terapeuta per aiutarlo a riprendere i rapporti ed ha applicato, a carico della donna, sia la sanzione dell’ammonizione, invitandosi la ricorrente ad una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge ed ad astenersi da ogni condotta negativa e denigratoria del medesimo, sia quella del risarcimento del danno (…) nella somma di 30.000 euro ex 709-ter c.p.c. “, “al fine di dissuaderla in forma concreta dalla protrazione delle condotte poste in essere, la cui persistenza potrà peraltro in futuro dare adito a sanzioni ancor più gravi ivi compresa la revisione delle condizioni dell’affido“.

L’obiettivo dichiarato dal Tribunale è stato quindi, in questo caso, anche dissuasivo: evitare il protrarsi delle condotte pregresse, “anticipando” in caso contrario “sanzioni ancor più gravi compresa la revisione delle condizioni dell’affido”.

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