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kate-separatedLa rottura del nucleo familiare comporta assai spesso la rideterminazione di equilibri, spazi e ruoli. Questo processo, tuttavia, non sempre avviene armonicamente tra i genitori. Anzi, sin troppo spesso assistiamo nelle aule di Tribunale così come nell’intimità della casa ad ex che, incapaci di elaborare il lutto della fine della propria relazione, tentano in ogni modo di allontanare i figli dai propri ex, screditandoli costantemente ai loro occhi sia come persone che come genitori.

Il Tribunale di Cosenza, di recente, si è occupato dell’ennesimo caso di alienazione parentale, che ha visto coinvolti non solo i genitori e il figlio minore ma anche le rispettive famiglie. La vicenda si snoda all’interno di un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, durato 3 anni, e vede come protagonista il giovane figlio di una coppia divorzianda che manifesta una forte ostilità nei confronti della madre, a cui fa da contrappeso un rapporto para-simbiotico con la figura paterna.

All’esito della ctu disposta, gli specialisti evidenziavano un avanzato processo di alienazione della figura materna, rinvenendone le radici nella costante opera di svilimento operata dal marito e della sua famiglia di origine, il tutto alla presenza dello stesso minore. Quest’ultimo, troppo giovane e troppo attaccato al padre per poter avere una sua visione critica ed autonoma, aveva infatti fatto proprie le costanti critiche rivolte alla madre, finendo col disprezzarla immotivatamente e a non volere avere più contatti con la stessa.

Proprio a causa delle risultanze della C.T.U., il Tribunale, il giudice di prime cure ritiene:

  • di dover rigettare la richiesta di affido esclusivo del bambino al padre, avanzata da quest’ultimo, non essendo la relativa domanda sorretta da “valide motivazioni circa l’idoneità genitoriale della resistente” ed avendo il padre manifestato una grave inidoneità genitoriale, derivante dalla sua incapacità a preservare e garantire “…la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore” (in senso conforme, Corte di Cassazione, sez. I^ Civile, sentenza n°6919/16), tale da rischiare di determinare un’ulteriore marginalizzazione della figura materna agli occhi del minore;
  • di non poter disporre tantomeno l’affido esclusivo del bambino alla madre, peraltro non richiesto dalla stessa, in quanto, non “… pronta, in ragione dei tratti caratteriali e temperamentali ben delineati dalla ctu e dalla oggettiva problematicità dell’attuale dinamica relazionale con il figlio, ad assumersi le correlate responsabilità ….”;
  • di dover escludere altresì la prosecuzione del regime dell’affidamento condiviso, in considerazione dell’assenza di risultati positivi durante i tre anni di giudizio, nonché della “…incapacità dei genitori di gestire il conflitto personale con modalità idonee a preservare l’equilibrio psichico del figlio…”;
  • di non poter disporre l’affido del minore tantomeno ai membri delle rispettive famiglie di origine, non avendo i genitori fornito l’indicazione di “…persone affettivamente vicine al minore in grado di assumere la responsabilità dell’affidamento e di svolgerne i compiti mantenendo una posizione equidistante rispetto alle due figure genitoriali”.

In conclusione, pertanto, il Giudice ritiene percorribile unicamente la via dell’affidamento del bambino ai Servizi Sociali, con collocamento prevalente presso la casa paterna, sulla scorta del seguente ordine di motivi:

  • pur in assenza di un’espressa previsione legislativa, il giudice ha il potere-dovere di disporre tale forma di affidamento, rientrando la stessa nei provvedimenti che il giudice ha il potere-dovere di adottare, ai sensi dell’art. 337-ter, co. 1 c.c. “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”;
  • l’affido ai servizi sociali appare l’unica via percorribile al fine anche di monitorare costantemente i rapporti tra i genitori e con il figlio, favorendo un progressivo riequilibrio degli stessi;
  • nonostante in astratto il rimedio da adottarsi in caso di alienazione parentale consista nell’immediato “allontanamento del minore dal genitore alienante”, purtuttavia, la giovanissima età del minore rende in concreto tale rimedio impercorribile, con conseguente necessità di confermare il prevalente collocamento dello stesso presso la casa paterna.

Da ultimo, il Tribunale decide altresì di ammonire il padre ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. nonché di condannarlo al risarcimento dei danni endofamiliari causati tanto al diritto del figlio alla bigenitorialità quanto al diritto della madre ad intrattenere rapporti continuativi e costanti con quest’ultimo, quantificati in via equitativa in € 5.000,00 cadauno, sulla “della condizione di disagio psichico in cui versa il minore, della durata della emarginazione della figura materna, delle presumibili sofferenze patite dalla (madre) per il distacco fisico ed emotivo dal figlio, e, per altro verso, della già evidenziata concorrente responsabilità di quest’ultima…”.

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download (1)Il Tribunale di Roma, con sentenza n°18799 dell’11 ottobre 2016, si pronuncia sul ricorso per la cessazione civile degli effetti del matrimonio con cui l’ex moglie aveva richiesto altresì l’affidamento esclusivo del figlio minore alla luce dell’acutizzarsi della conflittualità tra i genitori successivamente alla separazione tra gli stessi.

Il Tribunale, pur prendendo atto dell’elevata conflittualità tra i genitori – concretantesi in “…scaramucce di natura ritorsiva, continuativa e certamente reciproca poste in essere dai due coniugi nella gestione della prole…” – ritiene, tuttavia, di confermare il regime di affidamento condiviso già disposto in sede separatizia, alla luce della mancanza di prove circa l’inidoneità genitoriale del padre e, in positivo, del “…radicato attaccamento al padre ed una profonda complicità…”, emersi dall’audizione del minore e dalla CTU espletata.

Ma non è tutto! Il Tribunale procede altresì d’ufficio ex art. 709 ter c.p.c. nei confronti della madre, rea di aver ostacolato “…il funzionamento dell’affido condiviso con gli atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna, tali da avere indirettamente indotto (il minore) a disattendere il calendario degli incontri con il padre…”. Interessante risulta la motivazione a fondamento delle sopramenzionate misure. Se da un lato, infatti, il Tribunale riconosce che l’origine del processo di alienazione del figlio nei confronti della figura paterna non tragga origine dai comportamenti materni e che anzi la madre abbia “…lasciato che i ragazzi frequentassero liberamente l’ex coniuge addirittura e delegato al medesimo, come già sopra osservato, il progetto educativo dei minori (…) ciò nondimeno la sig.ra non può ritenersi esente da responsabilità non avendo posto in essere alcun comportamento propositivo per tentare di riavvicinare (il figlio) al padre risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero necessario alla crescita equilibrata del minore già gravemente a causa della patologia da cui è affetto sin dalla nascita, ma al contrario continuando a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito.”

Di qui la condanna d’ufficio della ricorrente:

  • non solo con un ammonimento formale “…invitandosi la ricorrente ad una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge ed ad astenersi da ogni condotta negativa e denigratoria del medesimo…”;
  • ma anche condannandola al risarcimento del danno nei confronti del resistente, quantificato nell’importo di € 30.000,00, “…al fine di dissuaderla in forma concreta dalla protrazione delle condotte poste in essere”;
  • avvertendola, per giunta, che la persistenza di tale condotta “…potrà peraltro in futuro dare adito a sanzioni ancor più gravi ivi compresa la revisione delle condizioni dell’affido…”.

Di seguito il testo della sentenza:[:]

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