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L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario fatta dal legale rappresentante del minore, senza la successiva redazione dell’inventario, consente al minore stesso di rinunciare all’eredità entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età?

È questo il quesito posto all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 31310/2024 del 22 ottobre 2024, pubblicata il 6 dicembre 2024, hanno risolto un annoso contrasto giurisprudenziale e fornito chiarimenti importanti in punto di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario per conto del minore da parte del genitore esercente la responsabilità genitoriale.

Nel caso di specie, due fratelli proposero dinanzi al Tribunale di Padova opposizione all’esecuzione intrapresa nei loro confronti da un istituto bancario per il pagamento delle rate di mutuo acceso dal loro padre, deceduto quando erano ancora minorenni, eccependo che, avendo rinunciato all’eredità paterna entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età, ai sensi dell’art. 489 c.c., non potevano rispondere del debito.

Il Tribunale respinse l’opposizione, rappresentando che, quando gli attori erano ancora minorenni, la loro madre, aveva accettato, a loro nome e nel loro interesse, l’eredità con beneficio di inventario, sicché la rinuncia da loro fatta successivamente era inefficace.

La Corte di appello di Venezia confermò la decisione di primo grado, affermando che l’eredità devoluta al minore e accettata dal genitore con beneficio di inventario comporta, anche nel caso in cui l’ inventario non sia redatto, l’acquisto della qualità di erede da parte del minore. L’art. 489 c.c., infatti, attribuisce al minore, una volta raggiunta la maggiore età, solo la facoltà di redigere l’inventario nel termine di un anno, non anche di rinunciare all’eredità, come confermato dal fatto che la rinuncia non è sottoposta a forme di pubblicità.

Avverso la suddetta pronuncia è stato proposto ricorso per Cassazione. Con ordinanza interlocutoria n. 34852 del 13 dicembre 2023 la Seconda Sezione civile ha rimesso alle Sezioni unite la decisione del ricorso, per la presenza, con riguardo alla questione giuridica posta dal primo motivo, di soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di questa Corte e reputando comunque la questione di particolare importanza (“il primo motivo di ricorso, nel denunciare la violazione degli artt. 471 e 484 cod. civ. in relazione all’art. 489 c.c., censura la sentenza impugnata rappresentando che il principio da essa affermato si pone in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, espresso con le pronunce n. 9514 del 2017 e n. 4561 del 1988, secondo cui l’accettazione dell’eredità ex art. 484 cod. civ. da parte del legale rappresentante del minore, che non sia seguita dalla redazione dell’ inventario, non comporta nei confronti dello stesso l’acquisto della qualità di erede, con l’effetto che egli, entro l’anno dal conseguimento della maggiore età, può rinunziarvi. Tale conclusione si giustifica alla luce della configurazione dell’accettazione con beneficio di inventario in termini di fattispecie a formazione progressiva, i cui effetti si producono solo con il suo completamento e, quindi, con la redazione dell’inventario”).

In altre parole, le Sezioni Unite della Cassazione furono chiamate a chiarire se il minore acquisti la qualità di erede fin dal momento della dichiarazione formale di accettazione con beneficio di inventario resa dal suo legale rappresentante, quindi anche nel caso in cui questi non provveda a redigere l’ inventario, oppure conservi, in tale eventualità, la posizione di chiamato all’eredità, con conseguente facoltà di rinuncia.

Le Sezioni Unite, richiamando il principio del “semel heres semper heres”, secondo cui chi accetta l’eredità l’acquista in modo definitivo, non essendo la relativa dichiarazione revocabile, hanno risolto il quesito nel senso che la dichiarazione di accettazione di eredità con beneficio di inventario resa dal legale rappresentante del minore, anche se non seguita dalla redazione dell’ inventario, fa acquisire al minore la qualità di erede, rendendo priva di efficacia la rinuncia all’eredità manifestata dallo stesso una volta raggiunta la maggiore età, seguendo il seguente iter argomentativo:

  • il negozio di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario è irretrattabile: deve, pertanto, escludersi che, ad accettazione dell’eredità avvenuta da parte del legale rappresentante del minore, nella forma beneficiata come richiesto dalla legge, il minore stesso possa essere considerato, fino ad un anno dopo il compimento della maggiore età, mero chiamato all’eredità e non erede, e che gli sia concessa la facoltà di rinuncia, come se la dichiarazione di accettazione beneficiata del suo legale rappresentante non fosse mai stata resa, in base ad una non consentita equiparazione tra la dichiarazione di accettazione beneficiata non seguita dall’ inventario e l’accettazione pura e semplice fatta dal legale rappresentante del minore;
  • invero, ai sensi dell’art. 459 c.c., l’eredità si acquista con l’accettazione;
  • tale ultimo principio non risulta derogato dall’art. 489 c.c., norma di carattere speciale, che consente al minore di eseguire l’inventario entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (pena la decadenza dal beneficio di inventario), ma non anche la possibilità di rinunciare all’eredità già accettata, con la conseguenza che se entro tale termine non viene redatto l’inventario il minore divenuto maggiorenne sarà considerato erede puro e semplice;
  • il beneficio di inventario non costituisce una condizione sospensiva dell’efficacia dell’accettazione, né costituisce un requisito del negozio di accettazione.

 

Articolo a cura dell’avv. Gilda Pugliese

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 downloadIl Tribunale civile di Cagliari, con sentenza del 13 luglio 2016, si pronuncia su un’interessante controversia in punto di retratto successorio, avente ad oggetto la vendita della quota ereditaria “ideale” tra coeredi.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un coerede al fine di veder dichiarata l’inefficacia nei suoi confronti della vendita da parte di alcuni coeredi della loro quota ereditaria, effettuata in mancanza di un previo avviso, e il suo conseguente diritto ad esercitare il retratto successorio.

I convenuti, costituitisi in giudizio, chiedevano la condanna in via riconvenzionale dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria e il rigetto della domanda principale eccependo la mancanza di titolarità in capo all’attore del diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c. in quanto:

  • lo stesso competerebbe solo agli eredi “diretti” e non, come nel caso de quo, anche “all’erede dell’erede”;
  • ad agni modo la cessione della quota sarebbe avvenuta in favore di altro coerede in proprio.

Il Tribunale, prendendo le mosse dall’univoca espressione letterale dell’art. 732 c.c. – che parla puntualmente di “alienazione della quota ereditaria (o di parte di essa) a un estraneo” – respinge la domanda attorea sulla base dei seguenti condivisibili principi già espressi dalla Cass. civ., sez. II^, sentenza del 12 marzo 2010, n°6142:

  • la finalità del diritto di prelazione e del diritto di retratto deve essere ricondotta all’esigenza di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori (Cass. 13-7-1983 n. 4777; Cass. 22- 10-1992 n. 11551) e di facilitare tendenzialmente la formazione delle porzioni (Cass. 7-12-2000 n. 15540)”;
  • la nozione di estraneo, “…da intendersi come colui che non è compartecipe della comunione ereditaria” deve pertanto estendersi anche a “…chi sia legato da vincoli di parentela con uno dei coeredi ma non partecipa all’eredità di cui fa parte la quota ceduta (Cass. 11-6-1964 n. 1467; Cass. 28-1-2000 n. 981)”;
  • la volontà del legislatore è dunque limitata a “…scongiurare che nei rapporti tra coeredi(per lo più legati tra loro da vincoli familiari) si inseriscano estranei che rendano più difficoltosi sia la permanenza della comunione ereditaria sia anche il suo eventuale scioglimento secondo le diverse modalità previste dalla legge”.

Il giudice sardo, conferma dunque – alla luce dell’eccezionalità della predetta disposizione, quanto derogatoria del principio di liberà negoziale e di libera disponibilità della quota – la piena efficacia e validità dell’alienazione della quota ereditaria ad altro coerede in quanto la stessa è rimasta “…nell’ambito degli eredi in comunione e, quindi, non si è realizzato l’evento paventato dal legislatore dell’ingresso di estranei nella comunione ereditaria”.

Il Tribunale, da ultimo, esamina la domanda riconvenzionale di risarcimento danni ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., fondata dai convenuti sulle seguenti circostanze:

  • un asserito danno alla salute conseguente alla chiamata in giudizio, comprovato dall’allegazione di un certificato medico;
  • la malafede dell’attore, che avrebbe agito “…allo scopo di intralciare e procrastinare la decisione della causa di divisione ereditaria”;
  • la colpa grave dell’attore, “…stante l’evidente improponibilità dell’azione”.

Analizzando le singole prospettazioni, il Tribunale conclude:

  • ritenendo non adeguatamente provato l’invocato danno alla salute, evidenziando altresì come, differentemente dall’ingiusta chiamata in sede penale, “…la ricezione di un atto di citazione in sede civile non possa determinare un danno risarcibile”, richiamando sul punto Cass. civ. Sez. Unite, sentenza dell’11 novembre 2008, n°26972;
  • ritenendo parimenti sfornito di prova che il giudizio di divisione ereditaria, già pendente da circa 30 anni, “…abbia subito ulteriori ritardi a causa dell’instaurazione del presente giudizio”;
  • accogliendo invece l’ultima doglianza alla luce della mancata considerazione da parte dell’attore “…dello stato della giurisprudenza che avrebbe potuto, con l’esercizio della normale diligenza, consentirgli di non proporre l’azione”, condannandolo al risarcimento del danno per lite temeraria, determinato in via equitativa nel venti per cento delle spese di lite.

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