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imagesA dirlo è la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°1162 del 18 gennaio 2017.

La vicenda de quo vede come protagonisti una coppia di ultraquarantenni; il marito, imprenditore con uno strabiliante potere economico; la moglie, avvocato, che durante il breve matrimonio aveva sacrificato la propria professione per la cura della casa e per assistere professionalmente il coniuge.

In primo grado, il Tribunale di Roma negava l’assegno di mantenimento alla moglie, sulla scorta della breve durata della vita matrimoniale, appena due anni. La decisione veniva ribaltata in Appello, dove alla moglie veniva riconosciuto un assegno separatizio di € 1.000,00, a fronte della disparità economica esistente tra i coniugi, della perdita da parte della moglie dell’agiatezza “…che le condizioni economiche del marito le avrebbero assicurato ove non fosse intervenuta una separazione”, nonché della difficoltà che la stessa avrebbe certamente incontrato nell’inserirsi nuovamente nella professione forense.

La vicenda approda infine in Cassazione, dove il marito si duole, inter alia, della falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.c. nonché 156 c.p.c. ritenendo che “…la ridottissima durata del matrimonio e l’età dei coniugi, già ultraquarantenni, ognuno con una propria attività lavorativa incardinata, non consentiva nemmeno ipoteticamente l’accoglimento della richiesta dell’assegno di mantenimento, posta che tale attribuzione si sarebbe tradotta in una ingiusta rendita vitalizia per la moglie”.

Di diverso avviso, tuttavia, sono gli Ermellini, che hanno dichiarato infondato il suddetto motivo alla luce dei seguenti condivisibili principio: “…alla durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all’assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi…”, potendo tuttalpiù “…attribuirsi rilievo ai fini della concreta quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte conferma l’operato dei giudici di secondo grado, riconoscendo all’avvocato il diritto all’assegno separatizio, alla luce della sussistenza degli elementi costitutivi del diritto al mantenimento, “…rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti”.

 

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imagesTra le battaglie giudiziarie che si consumano nelle aule di Tribunale, quella per il diritto a vedersi riconosciuto un congruo assegno separatizio dal proprio ex è certamente tra le più cruente e durature, destinata potenzialmente a non concludersi in un solo giudizio e formare oggetto di una serie di ricorsi volti alla sua rideterminazione alla luce di circostanze sopravvenute. Con il presente articolo proviamo a darvi una risposta ad alcune importanti domande.

Chi ha diritto all’assegno di mantenimento?

Norma fondamentale è l’art. 156 c.c., rubricato “Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra coniugi”, che, al I° comma recita: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri”. Ai sensi dell’art. 156 c.c., dunque, l’assegno separatizio spetta esclusivamente al marito o alla moglie che non abbia causato con il proprio comportamento la separazione e che non disponga di redditi sufficienti per il proprio mantenimento.

Senza dilungarsi sul concetto di “addebito”, ci si limita ad evidenziare come il coniuge a cui sia addebitata la separazione conserva comunque diritto ai c.d. “alimenti”, il cui presupposto tuttavia è limitato alla pressoché totale mancanza di mezzi per sopravvivere e la cui misura è inferiore al “mantenimento”.

Come si quantifica l’assegno di mantenimento?

Il legislatore, sul punto, si limita ad affermare, sempre all’art. 156 c.c. ma al suo II° comma che: “L’entità della somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Sul punto è intervenuta sin da subito la giurisprudenza della Corte di Cassazione chiarendo che: “la misura dell’assegno va determinata non solo valutando i redditi dell’obbligato, ma anche altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti” (Cass. civ. sez. VI-1, ordinanza del 9 febbraio 2015, n°2445). Nella specie, la Suprema Corte ha puntualmente individuato una lunga serie di criteri per la quantificazione dell’assegno, tra i quali, ricordiamo:

  • il tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza;
  • i redditi dell’obbligato in assoluto e in relazione a quelli del coniuge avente diritto al mantenimento;
  • l’assegnazione della casa familiare (di cui il giudice ora deve necessariamente tenere conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c.)
  • le potenzialità lavorative del coniuge richiedente il mantenimento.

È possibile revocare l’assegno di mantenimento o rideterminarne la quantificazione?

È poi certamente possibile ottenere una revoca o una rideterminazione dell’assegno di mantenimento alla luce di nuove circostanze sopravvenute successivamente alla sentenza di separazione.

A riguardo, prendiamo spunto da una recente pronuncia della Corte di Cassazione per analizzare due di queste circostanze: la nascita di un nuovo figlio del coniuge obbligato e la potenzialità lavorativa del coniuge beneficiario.

La vicenda di cui ci occuperemo trae origine da una triste vicenda familiare, comune a tanti genitori single.

Una coppia di giovani sposi decide di separarsi consensualmente concordando che l’ex marito avrebbe versato un assegno di separazione all’ex moglie e si sarebbe fatto carico della quasi totalità delle spese straordinarie per i loro figli.

A distanza di pochi anni, tuttavia, l’ex marito ricorre al Tribunale per veder revocato l’assegno separatizio in favore della moglie, sostenendo di non potervi più far fronte a causa delle rilevanti spese che doveva sostenere a seguito della nascita di un nuovo figlio, avuto dall’attuale compagna. Ad avviso dell’ex marito, inoltre, la moglie non avrebbe più avuto diritto al mantenimento perché, nonostante fosse giovane e con un figlio ormai grande (16 anni) la stessa non si era attivata al fine di cercare un lavoro, impiegando invece il suo tempo a lavorare “gratuitamente” con il fratello.

La Corte territoriale dà parzialmente ragione al marito, ritenendo, in particolare, che il diritto al mantenimento del nuovo figlio dovesse considerarsi prevalente su quello dell’ex moglie e che la donna avesse in astratto tutte le carte in regola per trovarsi un lavoro e non dipendere più dal marito.

La donna decide allora di ricorrere per Cassazione che, investita della questione, si interroga sulla rilevanza da dare alla nascita del nuovo figlio così come alle capacità lavorative della donna.

In particolare, la Corte di Piazza Cavour, chiarisce che la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, può certamente considerarsi una circostanza sopravvenuta idonea a determinare una riduzione dell’assegno di separazione in favore dell’ex coniuge. È infatti innegabile che la costituzione di una nuova famiglia e la nascita di un figlio determinino una crescita significativa delle spese a cui si deve andare incontro. Dall’altro lato, tuttavia, è sempre necessario accertare quanto detta spesa incida sui redditi complessivi del coniuge obbligato. La Corte, inoltre, chiarisce un concetto importantissimo. Non è possibile considerare il diritto al mantenimento del nuovo figlio superiore e prevalente né su quello dei fratelli avuti dalla precedente unione né dell’ex coniuge.

La Corte, da ultimo, si sofferma sull’idoneità delle potenzialità lavorative non sfruttate del coniuge ad incidere sul suo diritto al mantenimento. A riguardo, i giudici, rispondono in senso affermativo, sottolineando tuttavia come il Tribunale debba dare rilevanza unicamente alla concreta ed “effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche” (Cass. civ. sez. I^, sentenza del 13 gennaio 2017, n°789).

Nel caso concreto, la Corte dà ragione pertanto all’ex moglie, l censurando l’operato della corte di merito e le conclusioni dalla stessa raggiunte laddove non fondate “sulla concreta possibilità, da parte dell’istante di svolgere un’attività lavorativa”, incaricando pertanto il giudice del rinvio di procedere ad un nuovo apprezzamento della vicenda.

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