Tribunale per i minorenni di Trieste 21 agosto 2013: interruzione dei rapporti del genitore detenuto con il figlio; diritto al risarcimento dei danni

Il Tribunale per i minorenni di Trieste 21 agosto 2013 afferma i seguenti condivisibili principi:

–     l’Amministrazione penitenziaria deve farsi carico nel governo delle dislocazioni dei detenuti e dei custoditi, di garantire quanto più possibile, salva ogni eventuale contraria disposizione dell’Autorità giudiziaria, l’effettività della frequentazione tra genitori detenuti e figli minori, effettività che attiene al rispetto dei diritti personali e inalienabili di entrambi.

–     E’ preferibile che sia lo stesso minore, che dovrà essere emotivamente sostenuto dai Servizi Sociali, a crearsi nel tempo un proprio giudizio sul genitore detenuto, fondato sulla conoscenza diretta di ogni elemento, piuttosto che derivato da eventuali silenzi e/o da racconti più o meno orientati da parte di terzi.

–     Tanto non potrà realizzarsi senza che sia recuperata la possibilità, a partire da subito, perlomeno di un contatto genitore-figlio ad esempio mediante un’iniziale approccio epistolare o in altra forma protetta, compatibile con lo stato di detenzione e con l’interesse del bambino (in questo caso di soli 5 anni) a non essere esposto all’improvviso e senza preparazione al diretto contatto con l’ambientazione carceraria (si può pensare, sempre a titolo di esempio, a propedeutici contatti via webcam o videotelefono, presenziati dal personale di custodia e/o sociale. In seguito, entro tempi contenuti, il bambino potrà essere accompagnato ad incontrare il genitore in carcere, come già accade per altre migliaia di bambini, in tutto il mondo, quando hanno un genitore in stato di detenzione);

–     Del pari, il bambino, in assenza di specifiche controindicazioni vagliate ed eventualmente esplicitate dall’Autorità giudiziaria, ha diritto a instaurare e mantenere i suoi contatti e i suoi rapporti con i parenti del genitore detenuto.

–     Un’eventuale pronuncia decadenziale non ne sortirebbe alcuna automatica inibizione dei rapporti (né degli incontri) genitore-figlio, atteso il perpetuo favor normativo alla ricostruzione della diade (ciascun) genitore-figlio, evincibile dal combinato disposto delle norme che garantiscono al figlio il diritto alla bigenitorialità e al genitore, sia pur decaduto, quello a chiedere la propria “riabilitazione” genitoriale (artt. 30 e 31 cost.; 155, co. I e 332, cod. civ.);

–     Trattasi di diritti in entrambi i casi afferenti ai diritti della persona (ergo imprescrittibili), ecco perché si è parlato di “perpetuo favor normativo”.

–     E’ stato quindi disposto, in favore del minore, il suo affidamento al servizio sociale per attività di sostegno nel guidarne la ripresa dei contatti col genitore detenuto e per controllo dell’adempimento dell’altro genitore, con onere del detto Servizio di segnalazione alla Procura minorenni competente di ogni condotta genitoriale lesiva dei diritti del minore.

–     Nessuna specie faccia la sovrapposizione lessicale dei due affidamenti, che si tratta di mera coincidenza di lemmi, ma non di concetti: quello esclusivo del genitore affidatario concerne l’esercizio della sua potestà; quello al Servizio sociale – ai limitati fini sopra delineati – attiene alla (modesta) limitazione autoritativa che questo Tribunale (quale provvedimento conveniente ex combinato disposto degli artt. 333 cod. civ. nella denominazione tradizionale derivata dall’art. 25 R. D. n. 1404/1934) commina al genitore il quale, al di fuori di tale limitazione, rimane libero nel determinarsi nelle sue scelte di potestà.

–     Il genitore detenuto ha diritto ad esser tenuto regolarmente al corrente della vita di suo figlio da parte dell’altro, il quale dovrà osservare, a scanso delle sanzioni – anche pecuniarie – di cui all’art. 709 ter, n. 4 cpc, le prescrizioni cogenti stabilite dal Consiglio.

–     Il diritto del genitore detenuto a poter continuare a svolgere un suo ruolo nei confronti del figlio si fondi, nonostante il suo stato di attuale detenzione, sul suo diritto alla genitorialità, di cui all’art. 30, co I, Cost. Tale diritto non deve essere violato dall’altro genitore per decisione unilaterale non giustificata e prima di determinare una qualsiasi interruzione nei rapporti dovrà invece rivolgersi al giudice, sottoponendogli le proprie ragioni.

–     In caso di violazione il conseguente danno non patrimoniale del genitore sarà risarcito secondo determinazione equitativa (artt. 2056 e 1226 cod. civ.).

–     Nella fattispecie in esame, prendendo a base di tale valutazione equitativa il range sanzionatorio di cui al n. 4 dell’art. 709 cit, il Tribunale ha ritenuto che esso, in considerazione del lungo tempo già trascorso (oltre 2 anni e mezzo) di “congelamento” dei diritti genitoriali paterni, il danno debba trovare un ristoro pari al massimo di quel range (€ 5.000,00), da intendersi in moneta attuale.

–     La somma, che potrebbe apparire fin troppo contenuta, sembra invece equa se si tiene conto sia del fatto che lo stato di detenzione avrebbe comunque giocato un suo proprio ruolo nell’affievolimento dei contatti padre-figlio, sia della opinata reversibilità dell’attuale cesura.

–     Ove, viceversa, dovessero malauguratamente verificarsi -quale fatto nuovo- ulteriori ingiustificate condotte interdittive od ostruzionistiche materne che rendessero impossibile la ricostruzione di quel rapporto, si potrebbe configurare un danno nuovo e maggiore (consistente nella irreversibilità del distacco del figlio dal padre), il cui risarcimento andrebbe equitativamente quantificato ex novo, verosimilmente sui parametri assimilabili a quelli comunemente utilizzati per il risarcimento di un genitore dal danno derivante dalla perdita da morte del figlio.

–     Costituisce preciso orientamento di questo Tribunale il confidare nell’effetto self-executing di una pronuncia risarcitoria e, in generale, in quello propiziato dall’opportuna applicazione dall’art. 709 ter cpc, quale mezzo indiretto per indurre le parti alla fattiva attuazione del provvedimento, senza ricorso a mezzi coercitivi diretti, spesso inattuabili, specie nei confronti di minorenni.

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