Affido esclusivo al padre nel caso in cui la madre ostacoli la ricostruzione del rapporto di quest’ultimo con la figlia. PAS? Tribunale Matera 11 febbraio 2010
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«Posto che la convivenza della bambina con la madre rappresenta un insuperabile impedimento al riavvicinamento dell’altra figura genitoriale, stante il comportamento di diretta o indiretta suggestione e di indottrinamento della piccola che ha fatto nascere in lei un pregiudizio negativo circa la figura paterna, si ritiene necessario disporre l’affidamento esclusivo della bambina al padre al fine di ricostruire un normale rapporto padre-figlia».
Questa la motivazione posta a base del provvedimento del Tribunale di Matera in considerazione del fatto:
– che il dovere primario di ogni genitore è quello di aiutare la personalità del bambino a maturare e ad emergere, intervenendo, pur nel rispetto dei suoi bisogni, affinchè vengano plasmati i profili comportamentali abnormi e contrari al suo stesso interesse;
– che il rifiuto della bambina nei confronti del padre è stato rafforzato e incoraggiato dall’atteggiamento della madre che, anziché aiutare la figlia ad elaborare ed accettare la figura paterna, ha favorito il maturare in lei di istanze oppositive e immotivatamente ostili.
Ma è giudizio imporre la coartazione delle relazioni umane, anche se tra padre e figlia?
Può ritenersi rispettoso dei bisogni di un minore essere sradicato dalle braccia della madre per ritrovarsi, di punto in bianco, affidato coattivamente ad un papà che si conosce poco, con il quale il bambino non ha potuto costruire una relazione e verso il quale mostra dichiarato disagio se non addirittura rifiuto?
E’ veramente difficile rispondere, perché per quanto immotivati e indotti possano risultare i sentimenti repulsivi che il bambino esprime verso un genitore, non vi è dubbio che sono pur sempre espressione del suo essere in quel momento e il problema non può certamente risolversi “imponendogli” lo stravolgimento del suo assetto di vita e delle sue abitudini.
Il problema che si pone è quello di saper leggere e interpretare autenticamente la volontà del bambino di fronte a manifestazioni di disagio o addirittura di rifiuto verso un genitore.
Tuttavia è estremamente distinguere il rifiuto motivato e spontaneo del bambino da quello indotto dal genitore che maggiore influenza esercita su di lui? Come riconoscere un vero e motivato rigetto da una PAS (sindrome da alienazione parentale)?
Nota bene:
– i Giudici di Matera (sentenza 11 febbraio 2010) t prima di giungere al provvedimento estremo sopra citato avevano già disposto l’affidamento della bambina al Servizio Sociale del Comune di Matera, affinchè questo monitorasse e gestisse il rapporto padre-figlia, adottando le misure più idonee a favorire l’evoluzione del rapporto e degli incontri fra il genitore e la bambina, con ordine di relazionare al Tribunale semestralmente;
– la misura dell’affidamento al Servizio sociale non aveva però portato alcun miglioramento nella relazione, atteso che la bambina continuava a mostrare un atteggiamento oppositivo e di rifiuto verso il padre e d’altro canto, la mamma risultava essere poco collaborativa ed anzi piuttosto ostile nei confronti dell’altro genitore;
– risulta infatti dagli atti processuali che la madre avrebbe mosso verso il padre l’accusa di essere un soggetto pericoloso per la figlia e inadeguato al ruolo genitoriale, svalutandone qualsiasi competenza e capacità di relazionarsi con la figlia, senza tuttavia riuscire a provare, in corso di causa, con riscontri oggettivi, molti dei comportamenti negativi attribuiti all’ex partner.
Recita l’art. 9, comma 3, della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176, “Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”.
La norma è stata trasposta nella legge 8 febbraio 2006, n. 54, segnatamente con lo statuire il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, in parole semplici, a non essere privato del genitore non affidatario. Il figlio deve crescere unitamente ai due genitori e il principio è ampliato ai casi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio canonico, ancora, al caso di mancata/cessata convivenza dei genitori non coniugati.
Sancisce l’art. 155 c.c., novellato dall’art. 1, l. 8 febbraio 2006, n. 54, che, in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, ricevere cura, educazione, istruzione da entrambi, conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Infatti soltanto il rispetto di una totale par condicio nei confronti del figlio può salvaguardare il diritto del minore a vedere rispettato il migliore rapporto possibile con ciascuno di essi e con i parenti di entrambi i rami.
Per realizzare tale finalità, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori … Certamente questa normativa tende ad attuare l’ottimale realizzazione dell’interesse dei figli con l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori. Se però fosse pregiudizievole, si potrà disporre l’affidamento monogenitoriale od a soggetti diversi dai genitori (ad esempio, in giurisprudenza si è rilevato come il giudice potrebbe anche decidere di affidare al Comune i figli di genitori separati, qualora, nel corso del giudizio di separazione, questi manifestino un alto tasso di litigiosità, che interferisca negativamente sullo sviluppo del minore). E, nel giudizio va motivata compiutamente la scelta non condivisa, esprimente l’eccezione.
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