Avere un figlio e non poterlo vedere, significa rovinarsi la vita: i diritti di visita di un padre riconosciuti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo

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Alessandro Piazzi, riminese, è il padre che è ricorso a Strasburgo e che, alla fine di un lungo calvario, ha visto riconoscere, dall’Europa, i propri diritti.

Questi i fatti.

Dopo il divorzio, il figlio del Piazzi è stato affidato alla madre, con facoltà per il padre Piazzi di vedere il bambino ogni quindi giorni.

Per un po’ le cose sono andate correttamente.

Poi per il padre è stato sempre più difficile vedere il figlio.

E’ così cominciato il lungo peregrinare del Piazzi tra avvocati e ricorsi; un vero e proprio viaggio nella sofferenza.

Il sig. Piazzi si è allora rivolto al Tribunale dei minori di Bologna,  che interessa i servizi sociali emiliano-romagnoli con il compito di assicurare le visite del padre.

A quel punto, però, la situazione si è incancrenita: il bambino (forse vittima di una sindrome da alienazione genitoriale) non ha più voluto avere rapporti con il padre.

Da qui la decisione del Piazzi di ricorrere, come extrema ratio, a Strasburgo.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione al padre, condannando l’Italia.

In motivazione la Corte ha riconosciuto la delicatezza della situazione e le difficoltà incontrate dalle autorità nel far rispettare le proprie decisioni. Tuttavia ha constatato che ‘tutte le autorità coinvolte non hanno agito tempestivamente. Inoltre, i giudici europei hanno sottolineato che le autorità hanno adottato misure ‘automatiche e stereotipate senza adattarle al caso specifico, e che di fatto non hanno assicurato all’uomo di poter effettivamente godere del suo diritto a vedere il figlio.

Ad Alessandro Piazzi sono stati anche riconosciuti 15 mila euro di danni morali che, con la condanna, lo stato italiano dovrà pagare.

P.S. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo è stata istituita nel 1959 a Strasburgo come meccanismo di tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 1950.

L’importanza della Convenzione, entrata in vigore nel 1953, non risiede unicamente nell’entità dei diritti da questa tutelati ma anche nel sistema di controllo introdotto allo scopo di esaminare le presunte violazioni e vigilare sull’osservanza, da parte degli Stati, degli obblighi derivanti dalla Convenzione.

Dalla sua creazione, la Corte ha emesso più di 10 000 sentenze che sono vincolanti per gli Stati condannati e inducono i governi a modificare la propria legislazione o la loro prassi amministrativa in numerosi ambiti. Ogni anno, riceve più di 30 000 nuovi ricorsi.

Negli anni, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi su violazioni gravissime dei diritti umani, su questioni riguardanti l’essenza stessa dello stato di diritto, nonché su numerosi argomenti sociali quali l’aborto, il suicidio assistito, le perquisizioni corporali, la schiavitù domestica, il diritto di una persona la cui identità genitoriale risulta ignota di conoscere le proprie origini, l’indossare il velo islamico negli istituti scolastici, la tutela delle fonti giornalistiche e la discriminazione nei confronti delle minoranze.

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