Cassazione civile, sez. II^, sentenza del 30 settembre 2015 n°19488 – Va risarcita l’occupazione senza titolo e disposto il rilascio della casa coniugale, di proprietà comune, in favore della comunione
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Un uomo, dopo il divorzio, occupava, insieme alla nuova famiglia, l’ex casa coniugale: l’ex moglie ne chiedeva il rilascio, oltre al pagamento di un’indennità di occupazione.
Il Tribunale prima e, successivamente, la Corte d’appello ordinavano il rilascio del bene nella libera disponibilità di entrambi i partecipanti alla comunione e condannavano l’ex marito al pagamento dell’importo complessivo di € 16.000,00 (pari al 50% del valore locativo dell’immobile dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio alla data della pronuncia).
Contro detta decisione l’uomo ricorreva invano al Giudice di legittimità.
Anche la Corte di Cassazione, con sentenza 30 settembre 2015, n°19488, riteneva che l’ex coniuge avesse abusato dell’alloggio comune, destinandolo a propria abitazione, esclusiva ed abituale, propria e del suo nuovo nucleo familiare, così superando i limiti di cui all’art. 1102 c.c., per aver impedito all’altra comproprietaria di far parimenti uso del bene.
In altri termini «nel caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore, il predetto bene deve essere restituito alla comunione per consentire alla stessa di disporne e, attraverso la sua maggioranza, di esercitare la facoltà di goderne direttamente o indirettamente».
Di qui gli estremi per condannare l’occupante al rilascio del bene in favore della comunione e al pagamento di un risarcimento dovuto all’abusiva detenzione del bene, commisurato al valore locativo dell’immobile.
Si noti bene:
- Il già vigente art. 155-quater c.c., in tema di separazione, l’art. 6, L. n. 898 del 1970, in tema di divorzio, ed ancora il vigente art. 337-sexies c.c., subordinano l’adottabilità del provvedimento di assegnazione della medesima casa familiare alla presenza di figli conviventi con i genitori. In difetto, la casa familiare (sia in comproprietà fra i coniugi sia appartenente in via esclusiva ad un solo coniuge) non può essere oggetto di provvedimento di assegnazione, rimanendo sottratta all’incidenza della sentenza di separazione o divorzio.
- La casa familiare in comproprietà, se non può essere oggetto di assegnazione ad uno dei coniugi, resta soggetta alle norme sulla comunione, al cui regime dovrà farsi riferimento per l’uso e la divisione (Cass., 24 luglio 2007, n. 16398). I rapporti di godimento dell’alloggio tra gli ex coniugi vengono quindi regolamentati nell’art. 1102 c.c.: nessuno dei due ex coniugi comproprietari il diritto di impedire all’altro di partecipare all’uso dell’immobile, trattenendone le chiavi, o rifiutandone la consegna di una copia.
- Si verifica la violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c. in ipotesi di occupazione dell’intera casa familiare ad opera dell’ex coniuge comproprietario e non (più) assegnatario della stessa, con sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, tale da impedire all’altro comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dal bene, con conseguente diritto ad una corrispondente indennità (Cass., 30 marzo 2012, n. 5156).
- Proprio l’applicabilità, nelle relazioni tra i coniugi comproprietari dell’immobile non oggetto di assegnazione, del principio dell’uso della cosa comune di cui all’art. 1102 c.c. – che vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell’orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa – lascia salva l’ammissibilità di un accordo, anche tacito, tra le parti, accordo che stabilisca l’utilizzazione dell’appartamento comune da parte di uno dei coniugi (Cass., 13 febbraio 2006, n. 3030); potendo valere l’assegnazione consensuale dell’abitazione comune al coniuge non affidatario come modalità di soddisfacimento dell’obbligo di mantenimento (Cass., 24 giugno 1989, n. 3100).
- Soltanto all’esito dello scioglimento della comunione legale, ciascun coniuge può domandare la divisione del patrimonio comune, da effettuarsi secondo i criteri stabiliti agli artt. 192 e 194 c.c., e colui che sia rimasto nel possesso esclusivo dei beni fruttiferi già appartenenti alla comunione legale è tenuto (ex art. 820, comma 3, c.c.), al pagamento, in favore dell’altro coniuge, del corrispettivo “pro quota” di tale godimento, quali frutti spettanti “ex lege”, a prescindere da comportamenti leciti o illeciti altrui.
- Da ultimo. A decorrere dal 26 maggio 2015 (art. 191 c.c., II^ comma, inserito dall’art. 2, 1° co., L. 6.5.2015, n. 55 “Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”.
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