Corte di Appello di Roma 23 dicembre 2015 – Sì alla stepchild adoption
[:it]Una coppia di donne, che vive a Roma dal 2003, ha avuto una bimba all’estero anni fa con procreazione assistita eterologa per realizzare un progetto di genitorialità condivisa.
Il Tribunale dei Minorenni di Roma aveva accolto il ricorso presentato per ottenere l’adozione della figlia da parte della mamma non biologica, la c.d. “stepchild adoption”, già consentita in altri Paesi.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 23 dicembre 2015 ha confermato la sentenza di primo grado, la prima in Italia che riconosceva la “stepchild adoption”, cioè l’adozione di una bimba da parte della compagna e convivente della madre.
Come già per la decisione sentenza del Tribunale per i Minori di Roma n. 299 del 30 giugno 2014, anche sentenza, che ne conferma il contenuto e con questo respinge il ricorso del pubblico ministero, presenta elementi su cui discutere:
il nocciolo della decisione ruota attorno alla interpretazione da dare all’articolo 44 della legge sulle adozioni, la n. 184 del 1983, che indica le eccezioni alla regola secondo cui i bambini possono essere adottati solo da un uomo e da una donna uniti in matrimonio; e, in particolare, alla lettera d) di tale articolo che permette l’adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di un affidamento preadottivo”.
Per la Corte di appello di Roma, invece, detta impossibilità deve intendersi non solo come “di fatto” (e cioè che per il minore non si sia stato possibile trovare alcun aspirante all’affidamento), ma anche come impossibilità “di diritto”. Cioè a dire, dato che nel caso in esame era “impossibile” l’affidamento preadottivo della bambina perché la legge italiana lo permette solo a coppie coniugate, e quindi non alla convivente della madre biologica, deve ritenersi possibile l’adozione da parte della compagna della madre.
In tal modo viene garantita alla bambina e alla famiglia di questa il pieno esercizio dei diritti conseguenti dall’intreccio dei rapporti familiari esistenti. E ciò non comporta alcuna contrarietà all’ordine pubblico internazionale, dal momento che aggiunge diritti e possibilità alla bambina, soprattutto in materia alimentare, preservando altresì ogni legame con la madre biologica.
Si noti bene:
- la 1^ sezione civile della Cassazione, con sentenza 27 settembre 2013 n°22292, ha ritenuto che la nozione di “impossibilità di affidamento preadottivo” “attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, e non a quella del contrasto con l’interesse del minore (che viene ampiamente richiamato nella pronuncia del TM Roma), essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione”.
- Svariate sentenze della Corte di Cassazione e della Corte europea dei diritti umani hanno, invece, riconosciuto la piena dignità giuridica delle famiglie omogenitoriali, vuoi ricomposte, vuoi originarie; e cioé ove il progetto procreativo è iniziato e si è esaurito in seno alla coppia mediante accesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, o anche di maternità surrogata. Si cita, a titolo esemplificativo: 11 gennaio 2013, n. 601, in tema di asserita dannosità dell’ambiente familiare incentrato su una coppia omossessuale; Corte eur. dir. um., 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11 e 65941/11, risp. Labassee v. France e Mennesson v. France; 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, Paradiso et Campanelli c. Italie.
- L’Italia infatti insieme a Polonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Bulgaria, è uno degli otto Paesi (su ventotto) dell’Unione europea che non riconosce in nessuna forma le coppie gay, né i loro figli.
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