[:it](Cass. Civ., Sez. I, Ord., 11 dicembre 2020, n. 28330)

L’azione di riconoscimento di paternità (articolo 269 c.c.) è un’azione attribuita al figlio naturale nei confronti del presunto genitore, volta ad ottenere un provvedimento giudiziale che produca gli stessi effetti del riconoscimento.

L’oggetto dell’accertamento è il dato biologico della procreazione e la paternità può essere provata con ogni mezzo.

Tale prova sarà, essenzialmente, per presunzioni, essendo in pratica quasi impossibile fornire la diretta dimostrazione di un fatto intimo e riservato come il concepimento ad opera del preteso padre.

Grande importanza, ormai, viene riconosciuta alle prove ematologiche e genetiche, che permettono di individuare la paternità con un’attendibilità superiore al 99,9%.

La parte – che può essere anche un parente (pure collaterale) del preteso genitore ormai defunto – resta libera di sottrarsi ai prelievi necessari per l’esperimento probatorio ma dalle motivazioni di tale rifiuto il giudice potrà trarre un elemento di prova, il quale, sebbene di valore indiziario, quasi sempre supporterà, anche da solo, adeguatamente la dichiarazione di paternità (o maternità) naturale.

In particolare, la Suprema Corte ha più volte ribadito che «nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò nè una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, nè una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personal» (Cass. Sentenza n. 11223 del 21/05/2014).

Da tale premessa, con l’ordinanza in esame che Corte trae l’effetto che il comportamento processuale della parte può costituire anche unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento del giudice e non solo elemento di valutazione delle prove già acquisite al processo.

I giudici di legittimità hanno inoltre, ricordato i principi di diritto applicabili nelle ipotesi di promovimento, da parte del figlio non riconosciuto, dell’azione di dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità, con contestuale richiesta di condanna della parte convenuta al risarcimento del danno da privazione della figura genitoriale.

L’ordinanza infatti precisa che «l’accertamento dello status di figlio naturale costituisce il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi a tale status, perché prima di tale momento non vi è pronuncia sullo status».

Pertanto, la domanda risarcitoria da parte del figlio e quella di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio da parte del genitore coobbligato presuppongono tale accertamento e non sono utilmente azionabili se non dal momento in cui diviene definitiva la sentenza di accertamento della filiazione naturale, che conseguentemente costituisce il dies a quo della decorrenza della ordinaria prescrizione decennale.

Avv. Claudia Romano

 

Man and boy runs on shore[:]

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