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a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Il Tribunale di Mantova, con provvedimento del 10 maggio 2018, ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sull’affido e mantenimento di un minore nato fuori dal matrimonio, in favore del giudice del luogo di residenza abituale dello stesso.

Come chiarito infatti nel provvedimento, è territorialmente competente a pronunciarsi su un ricorso ex art. 337 bis c.c. unicamente il giudice del luogo di residenza abituale del minore.

Ad avviso del Tribunale lombardo, infatti, ciò risulta chiaramente alla luce:

  • dell’art. 38 disp. att. c.c., il quale dispone “… che nei procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e segg. c.p.c.”;
  • dell’applicazione, , in mancanza di più specifiche indicazioni normative, del criterio giurisprudenziale che individua il giudice competente “…in quello del luogo in cui ha il domicilio il soggetto della cui situazione giuridica si discute;
  • dell’espressa contemplazione da parte dell’art. 709 ter c.p.c. del criterio della residenza abituale del minore;
  • della conformità del predetto criterio “…al principio di prossimità previsto dalla legislazione comunitaria”, di cui all’art. 15 regolamento CE n. 2201/2003.

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[:it]a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Lo scorso 12 aprile 2018, l’Avvocato Generale (di seguito anche A.G.) presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Maciej Szpunar, ha depositato le proprie conclusioni in vista dell’oramai prossima pronuncia della Corte di Lussemburgo sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Suprema Corte di Cassazione bulgara (causa C-338/17 Neli Valcheva c. Georgios Babanarakis.

Il giudizio a quo

La vicenda trae origine da un’intricata vicenda transfrontaliera familiare e dall’impossibilità per una nonna bulgara di intrattenere rapporti significativi con il nipote a seguito del suo trasferimento in Grecia, conseguente all’affidamento esclusivo dello stesso al padre, cittadino ellenico residente in Grecia, disposto dal giudice ellenico, competente in base al criterio della c.d. residenza abituale.

La nonna, in particolare, non essendo riuscita ad ottenere dalle autorità greche misure atte a garantire detto “contatto significativo” con il nipote, adiva il Tribunale distrettuale bulgaro al fine di veder riconosciuto il proprio diritto di visita e determinate le relative modalità di esercizio.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, ritenendo, tuttavia, applicabile a detta controversia il regolamento Bruxelles II bis, dichiaravano la loro incompetenza ai sensi dell’art. 8 del regolamento medesimo individuando nel giudice ellenico, autorità dello Stato di residenza abituale del minore, l’unico competente a pronunciarsi su siffatta domanda.

La sig.ra Valcheva decideva pertanto di presentare ricorso per Cassazione. La Suprema Corte Bulgara, in qualità di giudice di ultima istanza, nonostante condividesse il pensiero delle Tribunali inferiori, decideva di adire la Corte di Giustizia sottoponendo la seguente questione pregiudiziale: «Se la nozione di “diritto di visita” utilizzata nell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a) e nell’articolo 2, punto 10, del regolamento n. 2201/2003 debba essere interpretata in modo da ricomprendervi non solo la visita del minore da parte dei genitori, bensì anche la visita da parte di altri parenti distinti dai genitori, quali i nonni».

Il ragionamento dell’A.G.

Apprezzabile è il ragionamento tenuto dall’avvocato generale, il quale, preliminarmente, sottolinea l’impossibilità di scorporare la questione “internazionalprivatistica” relativa all’applicabilità o meno del citato regolamento Bruxelles II bis, da un’analisi della questione fondamentale ad essa sottesa: “…l’importanza per un minore di intrattenere rapporti personali con i propri nonni, nei limiti in cui tali contatti non siano contrari al suo interesse”, letta alla luce del primato che il superiore interesse del minore deve sempre ricoprire in qualsivoglia controversia lo riguardi.

L’avvocato Generale, pertanto, opera un’analisi testuale, storica e teleologica del regolamento n°2201/03 al fine di chiarire se esso concerna non solo il diritto di visita dei genitori ma anche degli altri membri della famiglia, anche allargata:

  • partendo dal dato testuale, l’avvocato Szpunar pone in evidenza come l’art. 2, punti 7, 8 e 10 del citato regolamento, utilizzi espressioni e formule volontariamente generiche – quali “i diritti e i doveri”, “qualsiasi persona, “in particolare” – che testimonierebbero “…la volontà del legislatore dell’Unione di optare per una definizione ampia del diritto di cui trattasi” con la conseguenza di poter ritenere che “…il regolamento n. 2201/2003 includa anche un diritto di visita distinto da quello concesso dal diritto nazionale a uno dei due genitori (la madre, nel caso di specie) e se, di conseguenza, l’esercizio di tale diritto possa essere richiesto anche da terzi, come i nonni”;
  • passando ad un’interpretazione teleologica delle disposizioni del regolamento in parola, l’A.G. evidenzia come, nonostante la pacifica l’assenza di disposizioni specifiche relative al diritto di visita di un nonno, non sussista nel regolamento alcuna lacuna normativa in quanto “…dagli obiettivi del regolamento n. 2201/2003 emerge chiaramente che nulla giustifica l’esclusione del diritto di visita dall’ambito di applicazione di tale regolamento qualora il richiedente il diritto di visita sia una persona diversa dai genitori, avente legami familiari di diritto o di fatto con il minore, come nel caso di specie”;
  • detto pensiero risulterebbe poi confermato da un’interpretazione storica delle disposizioni del regolamento, lette alla luce dei lavori preparatori, nonché da un lettura congiunta dello stesso con gli altri strumenti internazionali concernenti le relazioni personali con i minori, quali la Convenzione dell’Aja del 1996;
  • da ultimo, l’avvocato generale pone in evidenza come anche questioni di opportunità e di economia processuale rendano certamente preferibile concentrare la competenza giurisdizionale sul giudice dello Stato di residenza abituale del minore, al fine di evitare provvedimenti conflittuali e contrasti di giurisdizione.

In conclusione, L’A.G. ritiene pertanto che nulla osti a ricomprendere nella nozione di diritto di visita, di cui al regolamento 2201/2003/CE “…persone diverse dai genitori ma aventi legami familiari di diritto o di fatto con il minore (in particolare, sorelle o fratelli, oppure l’ex coniuge o l’ex partner di un genitore). Infatti, tenuto conto delle costanti trasformazioni della nostra società e dell’esistenza di nuove forme di strutture familiari, le possibilità, riguardo alle persone interessate dall’esercizio del diritto di visita ai sensi del regolamento n. 2201/2003, potrebbero essere numerose. Il caso dell’ex partner del genitore titolare della responsabilità genitoriale e, conseguentemente, dei genitori di detto ex partner – considerati dal minore come nonni – o, ancora, il caso di una zia o di uno zio incaricati, nell’assenza temporanea di uno o di entrambi i genitori, di occuparsi del minore sono soltanto alcune illustrazioni con le quali la Corte potrebbe eventualmente confrontarsi nel contesto dell’interpretazione del regolamento in parola”.

L’avvocato della Corte è tuttavia chiaro nell’affermare che, se da un lato è quanto mai essenziale “…disporre di una regola di competenza unica e uniforme, vale a dire quella delle autorità dello Stato membro della residenza abituale del minore, al fine di garantire il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni pronunciate nei vari Stati membri”, dall’altro spetterà solo ed unicamente al legislatore nazionale chiarire “…a chi sarà – o meno – concesso un diritto di visita”.

In conclusione

Le conclusioni testè analizzate senza dubbio rappresentano un passo in avanti verso la tutela del diritto di visita degli ascendenti e/o discendenti nonché dei membri delle sempre più frequenti famiglie allargate; questo non solo per il dato probabilistico dell’allineamento della Corte al pensiero del suo A.G., circostanza questa che statisticamente avviene nella maggioranza assoluta dei casi.

Occorre tuttavia sottolineare l’importante ruolo che conserva il legislatore nazionale nell’individuazione dei familiari a cui tale diritto di visita possa essere riconosciuto con conseguente possibile frustrazione di legittime pretese a fronte della divergente disciplina sostanziale in vigore nello Stato di residenza abituale del minore.

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[:it]downloadLa Suprema Corte di Cassazione, SS.UU., con ordinanza 5 giugno 2017, n. 13912, si è pronunciata sul ricorso ex art. 41 c.p.c. presentato dalla resistente in un ricorso per la modifica della condizioni di separazione.

In particolare, l’ex moglie, costituitasi in giudizio aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano, essendosi la stessa trasferita negli USA da oltre due anni unitamente alla figlia.

Con decreto del 28 ottobre 2015, tuttavia, il presidente del Tribunale adito non aveva condiviso l’eccezione della resistente “perché il provvedimento di modifica delle condizioni della separazione aveva natura “integrativa” di quello di separazione, in relazione al quale la signora (OMISSIS) aveva accettato la giurisdizione del giudice italiano” disponendo pertanto la comparizione personale delle parti.

Di qui la presentazione da parte dell’ex moglie di un ricorso ex art 41 c.p.c. alla Suprema Corte:

  1. deducendo la violazione dell’art. 12 del regolamento UE n°2201/2003 (c.d. Regolamento “Bruxelles II bis, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000), in quanto “l’accettazione della giurisdizione del giudice italiano nel procedimento di separazione sarebbe stato erroneamente riferito – nel corso dello stesso – anche al successivo procedimento di revisione, laddove la norma teste’ richiamata, al n. 2, lettera b), prevede che “la competenza esercitata ai sensi del paragrafo 1 (domande di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio”), cessa non appena la decisione che accoglie o respinge la domanda di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio sia passata in giudicato”;
  2. deducendo l’omesso esame del trasferimento de facto della residenza abituale del marito nel luogo in cui lo stesso esercitava la propria attività commerciale;
  3. censurando l’interpretazione e la legittimità dell’ 37 della l. n°218/1995, attributiva della competenza giurisdizionale italiana “…anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia”, nella parte in cui non riconosce primazia alla residenza abituale del minore, criterio consacrato nei regolamenti internazionalprivatistici dell’Unione europea e in varie convenzioni internazionali.

La Corte, investita della questione, preliminarmente afferma:

  • la ricevibilità del ricorso ex art. 41 c.p.c. in quanto “ … la mera delibazione, in via incidentale, in ordine al tema della giurisdizione, contenuta in un provvedimento che, come chiaramente si desume anche dalla parte dispositiva, ha carattere meramente istruttorio ed è quindi privo di natura decisoria – essendo per altro nella specie ogni pronuncia riservata al collegio e non al presidente del tribunale – non può ritenersi preclusiva della proposizione del ricorso per regolamento di giurisdizione”(sul punto Cass., Sez. U, 20 febbraio 2013, n. 4218; Cass., Sez. U., 27 novembre 2011, n. 22382).
  • l’irrilevanza dei provvedimenti assunti nel giudizio a quo successivamente alla proposizione dell’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, da ritenersi condizionati alla conferma del potere giurisdizionale dell’autorità che li ha pronunciati.

Entrando nel merito, poi, gli Ermellini:

  • ribadiscono l’autonomia esistente tra il giudizio di separazione e il giudizio volto alla modifica delle condizioni ivi determinate;
  • negano conseguentemente che l’accettazione della giurisdizione italiana da parte della ricorrente nel giudizio di separazione personale possa riverberare “…la sua efficacia anche nel giudizio di revisione”;
  • affermano che “…il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla c.d. vicinanza, dettato nell’interesse superiore del minore (Corte giustizia, 5 ottobre 2010, in causa 296/10), assume una pregnanza tale da comportare anche l’esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione” (Cass., Sez. U, 30 dicembre 2011, n. 30646);
  • affermano che, poiché la richiesta di revisione da parte dell’ex marito verteva unicamente sull’affidamento allo stesso della minore, avente doppia cittadinanza italiana e statunitense, detta doppia cittadinanza rende applicabile il principio, già affermato dalle SS.UU. con sentenza del 9 gennaio 2001, n°1, secondo cui “…ai fini del riparto della giurisdizione e della individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta; pertanto quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione della L. 31 maggio 1995, n. 218, articolo 42, il quale rinvia alla Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961. Invero nel caso di minore con doppia cittadinanza non può applicarsi l’articolo 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale”.

Alla luce dei suddetti principi, la Corte conclude affermando il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore del giudice della residenza abituale della minore in quanto:

  • “…sotto il profilo oggettivo, del richiamo della citata L. n. 218 del 1995, articolo 42 all’articolo 1 della richiamata Convenzione dell’Aja, anche con riferimento alle misure relative ai figli minori che vengono adottate in sede di separazione personale o di divorzio dei genitori, trova giustificazione nella circostanza che l’Italia non si è avvalsa della facoltà, prevista dall’articolo 15 della Convenzione stessa, di creare una competenza speciale per le misure attinenti ai minori”.
  • “…il parametro della residenza abituale, posto a salvaguardia della continuità affettivo relazionale del minore, non è in contrasto ma, al contrario, valorizza la preminenza dell’interesse del minore” (Cass. SS.UU, 19 gennaio 2017, n°1310 e Cass., 22 luglio 2014, n°16648).

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