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Our RightsNei giudizi relative all’affido e al mantenimento del minore, e non solo, è sempre più frequente che il giudice disponga l’ascolto del bambino.

Perchè, con quali finalità, in quali casi, in quali modi?

Proviamo a dare una risposta a queste domande, partendo dall’individuazione del quadro normativo per poi muoverci al contenuto di questo diritto/dovere.

L’audizione del minore come espressione del suo superiore interesse

L’audizione del minore è un vero e proprio diritto riconosciuto al bambino, espressione processuale del superiore interesse del minore a cui devono essere improntate tutte le controversie che lo concernano. Al fine di fare emergere dal processo il superiore interesse del minore, fondamentale appare infatti la sua audizione da parte dello stesso organo giudicante, eventualmente anche a mezzo di esperti, al fine di vagliare la volontà e la maturità con cui questa è stata espressa.

Quadro normativo internazionale e italiano

Il diritto del bambino a essere ascoltato è stato codificato per la prima volta nel 1989 dall’art.12 della Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo, che riconosce “(…) al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”.

Questo principio è stato successivamente riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sullo esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata in Italia con la legge n°77 del 2003, nonché, più di recente, nell’Unione europea dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che, all’art. 24, espressamente prevede che “…Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.

Il superiore interesse del minore e il suo diritto ad essere ascoltato sono stati recepiti, con qualche ritardo, nell’ordinamento italiano, attraverso le modifiche al codice civile, introdotte dapprima con legge n°54/06 e, più di recente, con la legge n°219/12. In particolare, attraverso quest’ultimo provvedimento, è stato inserito all’art. 315 bis c.c. che:

  • ai commi 1 e 2 individuano i diritti del fanciullo a essere “mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” nonché “… a crescere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti”;
  • al comma 3 afferma che: “Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Tramite l’art. 315 bis c.c. il Legislatore riconosce, pertanto, il diritto del bambino a fare sentire la propria voce ed esprimere i propri desideri in tutte le procedure, siano esse giudiziarie o amministrative, che lo concernano, anche solo indirettamente.

Tale esigenza, come capirete, si manifesta sovente nella cause volte a regolamentare l’affido, il collocamento e il mantenimento di figli nati indifferentemente dentro o fuori dal matrimonio.

A quale età sono ascoltati i minori?

L’ascolto del minore non avviene sempre e comunque. Esso è soggetto a un duplice limite, dipendente dalla sua età e/o dalla sua capacità di discernimento.

Il legislatore italiano, così come quello internazionale, afferma, infatti, che vi è un vero e proprio dovere di ascoltare il bambino solo dopo che abbia compiuto i dodici anni di età.

Eccezionalmente, tuttavia, sarà possibile procedere all’ascolto di un bambino anche al di sotto dei 12 anni purché risulti capace di discernimento, attraverso un giudizio prognostico e discrezionale riservato al giudicante.

Occorre, tuttavia, rilevare che in Italia, assai spesso, le Corti tendono a considerare unicamente il fattore anagrafico, senza spingersi in opportune indagini circa la sua effettiva capacità di discernimento. A riguardo, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, in più di un’occasione, ha manifestato una forte preoccupazione nei confronti della prassi invalsa presso le Corti italiane di restringere il diritto d’audizione sulla base della sola età. Ad avviso degli esperti infatti, i bambini, anche in tenera età, sono capaci di esprimere il loro punto di vista, anche attraverso comunicazioni non verbali, non dovendosi richiedere al bambino una conoscenza completa di tutti gli aspetti della questione processuale che lo riguarda.

Il giudice può negare l’audizione del minore che ha più di dodici anni o capace di discernimento?

Come chiarito dal Tribunale dei Minori dell’Emilia Romagna, con sentenza 7 maggio 2009, e ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 21 ottobre 2009, n°22238 “(…) l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sullo esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge n°77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n°9094 e 18 marzo 2006 n°6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (la citata Cass. n°16753 del 2007)”.

In altri termini, in via del tutto eccezionale, il giudice può negare l’audizione del minore quando questa possa causare un pregiudizio e/o un danno grave al bambino.

La volontà del minore è vincolante per il giudice?

Anche se il giudice ha il dovere, entro i suddetti limiti, di procedere all’ascolto del bambino, lo stesso non deve e non può essere vincolato tout court dalla sola volontà espressa dal bambino.

Spesso, infatti, i bambini, anche se cresciuti, possono non essere in grado di identificare il loro reale interesse; altre volte, non meno infrequenti, il volere dei bambini può essere alterato e viziato dal comportamento del genitore, specie se con loro convivente, come riscontrato nei casi sempre più comuni di c.d. Sindrome da Alienazione Parentale (o PAS).

Il giudicante sarà dunque incaricato di valutare l’indipendenza e la maturità del giudizio espresso dal minore e attribuirgli il giusto peso nella determinazione del suo superiore interesse. Ciò comporterà la necessità per il giudice di procedere a ulteriori accertamenti quando risulti dubbia l’effettiva corrispondenza del volere espresso con il reale interesse del bambino.

Questo aspetto, di fondamentale importanza, è stato chiarito qualche anno fa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con la celebre sentenza del 13 luglio 2010, Elsholz c. Germania in cui la Corte ha censurato la decisione dell’Autorità nazionale tedesca che aveva negato il diritto del padre ad intrattenere regolari frequentazioni con il figlio, sulla scorta della mera volontà espressa da quest’ultimo e senza disporre alcuna delle ulteriori indagini richieste ripetutamente dal padre al fine di valutarne l’effettiva corrispondenza del volere espresso dal bambino al superiore interesse dello stesso.

In quali modi si procede all’ascolto del minore?

Le normative internazionali in materia lasciano liberi i giudici nel determinare i mezzi e le modalità attraverso cui procedere all’audizione del minore, tra quelli messi a disposizione tanto dal loro diritto nazionale quanto, in ambito europeo, dal regolamento n°1206/2001.

Qualora, poi, si debba procedere all’ascolto di bambini in tenera età, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo suggerisce l’utilizzo privilegiato di forme di comunicazione non verbali, quali il gioco, il linguaggio del corpo, le espressioni facciali, il disegno, la pittura.

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downloadLa Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 5 luglio 2016 n°23324, pubblicata il 16 novembre 2016, si è pronunciata sul ricorso presentato da una moglie avverso la sentenza di separazione con cui il Tribunale di La Spezia prima e la Corte d’Appello di Genova poi avevano disposto l’affidamento condiviso del figlio minore con suo collocamento, a partire dall’inizio del successivo anno scolastico, presso il padre, ufficiale della M.M. trasferitosi a Roma, ponendo altresì a carico di quest’ultimo un assegno separatizio di € 500,00 a favore della ricorrente.

In particolare, la giovane madre si duole del fatto che i giudici di merito non avrebbero dato il giusto rilievo alla volontà manifestata dal figlio durante la C.T.U. di primo grado di restare a vivere con la madre, illegittimamente negando il suo ascolto diretto nel giudizio d’Appello, nonostante il sopravvenuto trasferimento del padre a Roma, lontano dunque dalla scuola, dai parenti e dalle amicizie del bambino.

Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, l’operato dei giudici di I^ e II^ grado è esente da censure alla luce delle seguenti condivisibili osservazioni:

  • il sopravvenuto trasferimento per lavoro del padre è circostanza inidonea ad incidere di per sé sul regime di affidamento del minore, assumendo “…rilievo solo con riguardo alle modalità di collocazione abitativa del minore e di sua frequentazione con il coniuge non collocatario”, con conseguente non necessarietà di una nuova audizione del minore;
  • la sentenza impugnata aveva dato atto del desiderio espresso dal figlio di restare a vivere con la madre, condividendo tuttavia la necessità, evidenziata nella C.T.U., di disporre il collocamento dello stesso presso il padre “…al fine di garantire un suo equilibrato sviluppo, ovvero per allentare il rapporto ‘quasi simbiotico e di eccessiva dipendenza’ che lo lega alla madre e per evitare il diradamento degli incontri con il padre in un momento in cui ha invece bisogno di rafforzare ed identificare il rapporto con tale figura genitoriale”.

La Suprema Corte conferma, pertanto, il provvedimento impugnato, ritenendo prevalente l’interesse del minore al trasferimento, nonostante la volontà contraria del figlio e della madre.

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