Tag Archivio per: Cass. civ. Sez. I

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imagesLa Suprema Corte, con ordinanza n°5372 del 27 febbraio 2020, ha chiarito che è ricevibile il ricorso introduttivo depositato telematicamente, ancorché privo della produzione della marca da bollo, e ciò in quanto ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 170, art. 16 bis, comma 7, conv. con modifiche in L. 17 dicembre 2012, n. 221, “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia”.  

Il caso

La pronuncia de quo trae origine dall’impugnazione di un provvedimento con cui la Commissione territoriale aveva negato la protezione internazionale ad un cittadino, dichiarando inammissibile il suo ricorso e dichiarato inaccoglibile la successiva istanza di remissione in termini “…in quanto, anzitutto, l’inosservanza del suddetto termine era imputabile al ricorrente perché quest’ultimo aveva iscritto a ruolo il ricorso telematicamente, una prima volta, senza la coeva produzione della marca da bollo, determinandone l’irricevibilità, in conformità del t.u. n. 115 del 2002, art. 285 norma applicabile anche successivamente all’introduzione della procedura telematica di deposito del ricorso che era comunque oggetto della verifica del cancelliere in ordine all’osservanza delle norme tributarie”.

Il ricorso per cassazione

Avverso il predetto provvedimento, ricorreva per cassazione il sig. XXX, eccependo l’inapplicabilità alla fattispecie in esame della previsione di cui all’art. 285, comma 4 del  T.U. n°115 del 2002 – rubricato “Modalità di pagamento del diritto di copia, del diritto di certificato e delle spese per le notificazioni a richiesta d’ufficio nel processo civile” – che, come, noto, dispone “Il funzionario addetto all’ufficio annulla mediante il timbro a secco dell’ufficio le marche, attesta l’avvenuto pagamento sulla copia o sul certificato, rifiuta di ricevere gli atti, di rilasciare la copia o il certificato se le marche mancano o sono di importo inferiore a quello stabilito”.

La decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte, accoglie il ricorso, rilevando che:

  • la previsione di cui all’art. 285 T.U. sia stata adottata “…allorché era previsto il solo deposito cartaceo degli atti, sia esclusa dalle sopravvenute modalità telematiche per l’introduzione del processo”;
  • lo stesso Ministero della Giustizia – Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Direzione generale della Giustizia Civile, con nota del 4 settembre 2017, n. 164259, si era pronunciato sulla questione escludendo l’applicabilità della predetta sanzione al deposito telematico dell’atto introduttivo del processo;
  • la predetta indicazione ministeriale, ancorché non vincolante per il giudice, era certamente da condividersi alla luce del chiaro disposto del D.L. 18 ottobre 2012, n. 170, art. 16 bis, comma 7, conv. con modifiche in  17 dicembre 2012, n. 221 (“il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia“).

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separazione-e-soldi_smallI fatti di cui è causa

In pendenza del giudizio di divorzio, la Corte d’Appello di Cagliari accoglieva il gravame proposto dalla moglie avverso la sentenza di separazione, aumentando il mantenimento per sé e per i figli sino al mese precedente all’adozione dell’ordinanza presidenziale da parte del giudice del divorzio; ciò in considerazione dell’aumento dei predetti assegni disposto dal giudice del divorzio in sede presidenziale.

Ricorreva avverso detto provvedimento il marito, sostenendo che la Corte d’Appello, quale giudice della separazione, “…avrebbe indebitamente sovrapposto la propria valutazione sulle statuizioni economiche conseguenti alla separazione a quella adottata dal giudice nel parallelo giudizio di divorzio”, non potendo rideterminare il predetto contributo essendo già stati adottati i provvedimenti presidenziali nel giudizio di divorzio.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini, tuttavia, reputano infondato il ricorso del marito richiamando, preliminarmente il noto principio secondo cui: “…il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio, a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria (Cass. n. 27205 del 2019), i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza” (in senso conforme (Cass. n. 27205/2019; Cass. n. 5510/2017; Cass. n. 17825/2013; Cass. n. 5062/2017; Cass. n. 1779/2012).

La Suprema Corte, ha ritenuto pertanto correttamente applicato il predetto principio dal giudice della separazione in quanto:

  • i provvedimenti economici adottati nel giudizio di separazione anteriormente iniziato sono destinati ad una perdurante vigenza fino all’introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto delle statuizioni (definitive o provvisorie) rese in sede divorzile (Cass. n. 1779 del 2012)”.
  • la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporti la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione) iniziato anteriormente e ancora pendente, ove esista l’interesse di una delle parti all’operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali (tra le tante Cass. n. 5510 e 5062 del 2017)”;
  • Nella specie, il giudice della separazione con la sentenza impugnata non è intervenuto impropriamente a modificare le statuizioni economiche rese in sede di divorzio (cfr. Cass. n. 17825 del 2013), ma ha fissato la decorrenza del contributo di mantenimento a carico del M. fino al mese di settembre 2015, senza dunque interferire con le statuizioni economiche emesse in sede divorzile a decorrere dal mese di (OMISSIS)”.

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A seguito della novella apportata dal D.lgs. n°154 del 28 dicembre 2013 e all’introduzione nel Titolo IX (“Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”) del Libro Primo, del capo II – rubricato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimento relativi ai figli nati fuori del matrimonio” – è stato attribuito al giudice il potere di adottare, ai sensi dell’art. 337 ter c.c. “…ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di  temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare”.

In particolare, nei casi caratterizzati da una elevata conflittualità tra i coniugi e da un serio rischio di compromissione del rapporto tra il minore e il genitore con esso non convivente, sempre più frequentemente alcuni Tribunali stanno ricorrendo all’affido del minore presso i servizi sociali, riconoscendo a questi ultimi, come sottolineato dalla Suprema Corte, “…un ruolo di supplenza e di garanzia e intese a far iniziare ai genitori un percorso terapeutico finalizzato al superamento del conflitto e alla corretta instaurazione di una relazione basata sul rispetto reciproco nella relazione con il figlio”.

Di recente, La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°28998/18 del 12 novembre 2018, si è trovata a pronunciarsi sulla legittimità di un decreto con cui la Corte d’Appello di Venezia, in sede di reclamo, aveva disposto, al fine di precostituire “…le condizioni per il ripristino di una condivisa bigenitorialità tutelando da subito nel modo più penetrante il minore…”, l’affidamento dei minori ai servizi sociali, con collocamento presso la madre, nonché “…un progressivo incremento del diritto di visita del padre, secondo un calendario da predisporsi dai Servizi Sociali, con pernottamento del minore presso il padre ed introduzione di periodi alternati tra i genitori di permanenza del minore in occasione delle festività”, senza tuttavia determinarne modalità e durata.

La Corte, investita della questione, preliminarmente conferma l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto di Corte di Appello in quanto, citando alcuni precedenti “Il decreto della corte di appello, contenente provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile ‘rebus sic stantibus’ a quella del giudicato” (Cass. 6132 del 2015 cui è seguita 18194 del 2015; Cass. n. 3192/2017).

La Corte invece reputa infondata la censura operata dalla ricorrente relativa alla “…violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, art. 4 commi 3 e 4, avendo la Corte confermato l’affidamento del minore ai Servizi Sociali senza determinare le modalità e la durata dell’incarico”. Ad avviso degli Ermellini, infatti, il provvedimento adottato dalla Corte veneziana risultava “…sufficientemente dettagliato e corretto” in quanto la necessaria indicazione della presumibile durata dell’affidamento e delle modalità di esercizio dei poteri degli affidatari, sono condizioni richieste solo per l’affidamento familiare previsto dall’art. 4, commi 3 e 4 della legge n°184/83, non già per il provvedimento di affidamento familiare di cui all’art. 337 ter c.c. bensì dell’affidamento.

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