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Il caso

Una coppia conveniva in sede di separazione consensuale di vendere a terzi l’ex casa familiare, dagli stessi acquistata meno di cinque anni prima beneficiando delle agevolazioni “prima casa”.

A seguito della revoca delle agevolazioni prima casa da parte dell’Agenzia delle Entrate, la coppia ricorreva vittoriosamente alla Commissione tributaria provinciale di Perugia. In sede di appello, tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, ribaltava la decisione evidenziando che “…la revoca del beneficio fiscale non contrasta l’intassabilità’ delle disposizioni cui i coniugi pervengono in occasione della separazione, sia perché’ la cessione dell’immobile non avviene attraverso l’omologazione della separazione, sia perché’ non vi è qui tassazione in atto occasionata dalla crisi coniugale, bensì la revoca di un precedente beneficio fiscale”.

Il ricorso per cassazione

La coppia, lungi dal darsi per vinta, ricorre per cassazione lamentando “…la violazione e/o falsa applicazione della L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 19, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che il regime di esenzione previsto dalla menzionata norma è esteso, per effetto di Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 154, anche a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale tra i coniugi e, quindi, anche al trasferimento di immobili in comunione nei confronti dei terzi”.

La Suprema Corte, accogliendo il predetto motivo di appello, offre i seguenti condivisibili chiarimenti:

  • “…secondo giurisprudenza da ultimo consolidatasi, che ha innovato rispetto ad un precedente e diverso orientamento (cfr., ad es., Cass. n. 2263 del 03/02/2014), ‘l’agevolazione di cui alla L. n. 74 del 1987, articolo 19, nel testo conseguente alla declaratoria di incostituzionalità (Corte Cost., sentenza n. 154 del 1999), spetta per gli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi in esito alla separazione personale o allo scioglimento del matrimonio, atteso il carattere di “negoziazione globale” attribuito alla liquidazione del rapporto coniugale per il tramite di contratti tipici in funzione di definizione non contenziosa, i quali, nell’ambito della nuova cornice normativa (da ultimo culminata nella disciplina di cui al Decreto Legge n. 132 del 2014, articoli 6 e 12, conv. con modif. nella L. n. 162 del 2014), rinvengono il loro fondamento nella centralità del consenso dei coniugi” (così Cass. n. 2111 del 03/02/2016);
  • in specifica applicazione del predetto principio, è stato evidenziato che ‘in tema di agevolazioni ‘prima casa’, il trasferimento dell’immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, se effettuato in favore del coniuge in virtu’ di una modifica delle condizioni di separazione, pur non essendo riconducibile alla forza maggiore, non comporta la decadenza dai benefici fiscali, attesa la “ratio” della L. n. 74 del 1987, articolo 19, che è quella di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendo che derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli dagli accordi intervenuti in tale sede’ (cosi’ Cass. n. 8104 del 29/03/2017; conf. Cass. n. 13340 del 28/06/2016; sempre in tema di agevolazioni “prima casa” si veda anche, sotto il diverso profilo della insussistenza dell’intento speculativo, Cass. n. 5156 del 16/03/2016; Cass. n. 22023 del 21/09/2017)”;
  • il suddetto principio, di portata assolutamente generale “… non può non estendersi anche all’ipotesi per cui è causa, nella quale i coniugi si sono determinati, in sede di accordi conseguenti alla separazione personale, a trasferire l’immobile acquistato con le agevolazioni per la prima casa ad un terzo”;
  • l’atto stipulato dai coniugi in sede di separazione personale (o anche di divorzio) e comportante la vendita a terzi di un immobile in comproprietà e la successiva divisione del ricavato, pur non facendo parte delle condizioni essenziali di separazione rientra sicuramente nella negoziazione globale dei rapporti tra i coniugi ed è, pertanto, meritevole di tutela, risiedendo la propria causa contrariamente a quanto ritenuto dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 27/E del 21 giugno 2012 – nello “spirito di sistemazione, in occasione dell’evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali dei coniugi sia pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale” (Cass. n. 16909 del 19/08/2015, in motivazione)”.

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separazione-e-soldi_smallI fatti di cui è causa

All’esito del primo e secondo grado di un giudizio di divorzio, un ex marito veniva condannato a corrispondere all’ex coniuge l’importo di € 400,00 mensili a titolo di assegno divorzile.

Senza darsi per vinto, lo stesso decideva di ricorrere sino in Cassazione, denunciando “la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nonché il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, contestando il diritto dell’ex moglie alla percezione dell’assegno divorzile in considerazione del fatto che quest’ultima:

  • era titolare “…del diritto di usufrutto su di un appartamento donato alla figlia”;
  • era altresì “…proprietaria di un’altra unità immobiliare – ristrutturata ed ampliata fino a sette vani durante il matrimonio”;
  • aveva “…diritto all’assegno sociale INPS”.

La risposta della Suprema Corte

La Suprema Corte, investita della questione, preliminarmente chiarisce, richiamando la celeberrima pronuncia delle SS.UU. n°18287 del 117/2018, che:

  • l’assegno divorzile, secondo la decisione abbia una funzione assistenziale, compensativa e perequativa, per cui debba essere determinato alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto, e che tali criteri vadano tenuti presenti sia nella attribuzione che nella quantificazione dell’assegno”;
  • la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non sia finalizzata, poi, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

Entrando nel merito della questione, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso rilevando come la Corte d’Appello, nel riconoscere in capo all’ex moglie il diritto ad un assegno divorzile e determinarne l’entità:

  • abbia operato una corretta comparazione dei redditi dei coniugi, tenendo in considerazione sia la percezione da parte della moglie di una modesta pensione mensile e la titolarità in capo alla stessa del diritto di usufrutto su un immobile sia i redditi lordi da lavoro percepiti dal marito;
  • abbia tenuto conto “…della durata del matrimonio (più di quarant’anni) e dell’addebitabilità della crisi coniugale – affermata nella decisione di primo grado e non contestata dal P. – al comportamento tenuto dal marito in costanza di matrimonio”;
  • non abbia tenuto di contro in considerazione della ristrutturazione ed ampliamento dell’immobile, di proprietà dell’ex moglie, in cui la stessa viveva, in quanto circostanza né dedotta né comprovata dal ricorrente nei precedenti gradi di giudizio.

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