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consegna immobileLa III^ Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2506 del 9 febbraio 2016  è tornata a trattare il tema del comodato sorto per esigenze familiari. Riprendendo quanto già affermato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nella pronuncia 20448/2014, è stato sostenuto come debba essere compiuta, con riferimento alla fattispecie concreta, in primo luogo una distinzione in ragione al tipo di comodato stipulato tra le parti. Difatti, qualora si tratti di un comodato destinato a soddisfare le esigenze di cui si è detto, esso dovrà protrarsi fino al perdurare di dette esigenze familiari, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 1809 c.c. In tale ipotesi non è ammissibile, da parte del comodante, far valere il proprio diritto di recesso, fatta salva l’eventualità dell’estinzione dei bisogni de quo. Al contrario, quando si versa nell’ipotesi di comodato sorto senza l’apposizione di un termine, neppure implicito, ovvero senza l’esplicita destinazione del bene a casa familiare, la disciplina applicabile sarà quella indicata dall’art. 1810 c.c., il quale consente il c.d. recesso ad nutum del comodante.

In particolar modo questi principi devono essere applicati con cautela e rigore in caso di separazione dei coniugi. La Suprema Corte precisa che: «le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che
“il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno del coniugi (. ..) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (..) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile”».

Nel caso di specie il contratto veniva stipulato tra l’attrice e il fratello affinché quest’ultimo potesse vivere nell’appartamento insieme alla moglie dalla quale, tuttavia, si separava qualche anno dopo. Il tribunale assegnava, quindi, la casa coniugale alla moglie giacché questa diveniva affidataria dei tre figli minori. Sulla scorta di quanto detto in precedenza, la Corte di Cassazione, rilevando la provvisorietà della concessione in godimento dell’immobile e il conseguente errore in cui la Corte territoriale è incorsa applicando l’art. 1809 c.c., ha cassato la sentenza con rinvio disponendo espressamente l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1810 c.c.. Infatti, parte attrice aveva stipulato il contratto di comodato con il fratello e la moglie al fine di permettere a questi di poter vivere nell’appartamento esclusivamente per il tempo necessario a trovare una sistemazione definitiva.

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