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(Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 01-09-2020, n. 18156)

Il caso di specie riguarda una lite fra ex coniugi sulla proprietà comune di strumenti finanziari acquistati in costanza del regime di comunione legale e alienati dal solo marito, prima della separazione personale, sul presupposto della natura personale di tali strumenti (in quanto il loro acquisto era stato operato con capitali propri depositati all’estero e rimpatriati grazie al cosiddetto scudo fiscale).

In primo grado,  il Tribunale aveva accolto la domanda di condanna del marito al pagamento diretto della metà del valore dei titoli, avanzata dalla moglie in sede di precisazione delle conclusioni, essendo nel frattempo cessato il regime legale (tale cessazione si è verificato in corso di causa per effetto della modifica dell’art. 191 c.c., ai sensi del quale, nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il tribunale autorizza i coniugi a vivere separati).

La Corte d’Appello, a fronte della censura del marito, ha negato che vi fosse stato mutamento di domanda, argomentando che la richiesta di condanna pro quota costituiva una specificazione della originaria domanda di ricostituzione della comunione per equivalente.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del marito, evidenziando però che i giudici di merito avrebbero dovuto accogliere la domanda originaria della moglie, ciò in quanto, cessato il regime legale  tra i coniugi, rimane comunque intatta la contitolarità dei cespiti fino alla divisione.

Su tale assunto «il compartecipe che abbia chiesto nei confronti di altro compartecipe, di rimettere in proprietà comune un certo importo indebitamente sottratto, non incorre nel divieto di mutamento di domanda se chiede in corso di causa il pagamento diretto della propria quota. Il compartecipe debitore ha diritto di opporsi a tale domanda, non perché sia nuova, ma facendo valere il proprio interesse a ricostituire la comunione in vista della divisione, in modo da regolare in quella sede i rapporti di dare e avere, invece di pagare la quota del compartecipe fuori dalle operazioni divisionali».

 

Avv. Claudia Romano

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Ove uno dei coniugi acquisti in regime di comunione o effettui la costruzione di un edificio su suolo comune ad entrambi, tanto il primo cespite quanto il secondo, diventano, pro quota, di proprietà di entrambi i coniugi.

Il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto deve ritenersi litisconsorte necessario nelle controversie in cui si chiede al giudice una pronuncia destinata ad incidere direttamente e immediatamente sul diritto costituente oggetto del trasferimento, dovendosi, viceversa, ritenere escluso tale litisconsorzio in tutte le vicende processuali volte ad ottenere una decisione che incida direttamente e immediatamente sulla validità o sulla efficacia del negozio traslativo (Cass. S.U. n°9660/2009).

Conseguentemente la domanda di demolizione di opere illegittimamente costruite sul fondo, proposta dal confinante nei confronti del proprietario del fondo contiguo, ha natura reale.

Nel caso in esame, essendo il confinante coniugato in regime di comunione legale sussiste il litisconsorzio necessario con il coniuge, in quanto l’eventuale accoglimento della domanda inciderebbe sul contenuto del diritto di proprietà dell’immobile e sulle facoltà di godimento e di disposizione di esso, di cui sono titolari entrambi i comproprietari del bene, a prescindere dall’autore dell’opera illegittimamente realizzata (v. Cass. n°8441/2008);

Per le suesposte ragioni, la Corte di Cassazione, con sentenza 28 aprile 2016 n°8468, ha accolto il ricorso con rinvio ad altro giudice territoriale.[:]

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