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La Cassazione, con la l’ordinanza 13345/2023 pubblicata il 16 maggio 2023, fornisce un prezioso contributo sulla questione, definendo le condizioni al verificarsi delle quali sorge a carico dei nonni l’obbligo di farsi carico del mantenimento dei nipoti.

I Giudici del Supremo Collegio partono dal presupposto che l’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori.

Tuttavia, se uno dei due genitori non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, “l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui”.

L’obbligo dei nonni di contribuire al mantenimento dei nipoti, quindi, è un obbligo sussidiario rispetto a quello primario dei genitori, per attivare il quale non è tuttavia sufficiente che l’altro genitore non contribuisca al mantenimento dei figli, “se l’altro genitore è in grado di mantenerli” (Cass. n. 10419 del 02/05/2018).

Pertanto gli elementi necessari perché il genitore chieda ed ottenga in giudizio l’ordine agli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori di contribuire al mantenimento dei nipoti sono: – il rifiuto o l’omissione dell’altro genitore agli obblighi di mantenimento dei figli: – l’impossibilità per il richiedente di contribuire da solo a tutte le esigenze economiche dei figli.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità, la madre ha agito in giudizio per richiedere il contributo dei nonni al mantenimento della figlia, precisando:

  • che il padre si era sottratto ad ogni obbligo nei confronti della minore, non solo economico, ma anche di cura ed educativo, avendo cambiato molteplici volte residenza e datore di lavoro, rendendosi irreperibile e impedendo in tal modo alla madre di esperire le azioni a tutela del credito;
  • che la madre era titolare di un reddito bassissimo, insufficiente a far fronte alle molteplici esigenze della minore;
  • che, per di più, dovendosi occupare da sola della figlia, non poteva dedicare maggior tempo per accrescere i propri redditi;
  • che i nonni erano titolari di pensioni e proprietari di diversi immobili.

I nonni si sono opposti all’accoglimento della domanda, ma sia in primo che in secondo grado i Giudici hanno dato ragione alla madre, ponendo a carico degli ascendenti l’obbligo di contribuire al mantenimento dei nipoti nella misura di € 200,00 mensili.

I nonni ricorrono allora in Cassazione, evidenziando che la madre non aveva comprovato di aver esperito tutti i rimedi necessari nei confronti del padre dei figli per recuperare il proprio credito.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso degli ascendenti, sulla base dei principi sopra richiamanti, evidenziato che nel caso di specie, era stata bene esaminata e valutata la situazione economica dei genitori e dei loro comportamenti, segnatamente stigmatizzando il comportamento del padre, del tutto elusivo, di ogni compito di cura, istruzione, educazione ed economico della figlia, che gravano sulla sola madre, capace di una produzione reddituale inadeguata al mantenimento dei minori.

Da ciò consegue” – statuiscono i Giudici di legittimità – “che, in questa situazione, le esigenze di vita della minore non possono essere soddisfatte solo dalla madre, e pertanto i nonni sono tenuti al loro contributo”.

Avv. Marzia Capomagi

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separazione-e-soldi_smallLa corresponsione integrale e puntuale del mantenimento dovuto per i figli da parte del genitore obbligato rappresenta ai giorni d’oggi una vera e propria chimera. Sempre più, infatti, sono i genitori inadempienti, vuoi per una consapevole e deprecabile volontà degli stessi in tal senso vuoi per un’impossibilità oggettiva e materiale a provvedervi.

Il legislatore ha voluto fare fronte all’eventualità in cui ambedue i genitori non possano fare fronte alle esigenze alimentari dei loro figli, disponendo, all’art. 433 c.c., che: “…all’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti nell’ordine: 1) il coniuge; 2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali con precedenza dei germani sugli unilaterali”.

I soggetti individuati dalla norma in oggetto non sono tuttavia tenuti in via solidale al predetto mantenimento, bensì solo ed esclusivamente in via subordinata e sussidiaria, potendosi configurare un tale obbligo in capo agli ascendenti unicamente qualora sia eccepita e comprovata l’impossibilità ad adempiere di ambedue i genitori.

Il caso in esame

Una madre, esasperata dal mancato versamento di alcun mantenimento in favore dei figli da parte del suo ex compagno, presentava ricorso al fine di vedere condannati i nonni paterni al versamento degli alimenti ex art. 433 c.c. in favore dei due nipoti, ottenendo in primo grado una condanna degli stessi al pagamento degli alimenti nella misura mensile di € 300,00, soccombendo tuttavia nel successivo grado di appello, a seguito dell’accoglimento del gravame presentato dai due nonni dinnanzi Corte d’Appello di Catanzaro.

La ricorrente, lungi dal darsi per vinta decideva di ricorrere in Cassazione, deducendo inter alia la “…violazione e falsa applicazione degli artt. 433, 147 e 148 c.c.”.

L’iter motivazionale.

La VI^-1 sezione della Suprema Corte, dichiara tuttavia inammissibile il gravame della madre alla luce dei seguenti condivisibili principi:

  • l’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 cod. civ. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di cosmi”;
  • l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo”.

Ad avviso della Suprema Corte, pertanto, i nonni non potevano ritenersi obbligati in via sussidiaria al versamento di alcunché in favore dei nipoti per il solo fatto che il loro figlio (e padre dei bambini) si fosse reso inadempiente, né potevano ritenersi obbligati nel caso concreto, a seguito della mancata prova da parte della ricorrente circa la sussistenza dei presupposti oggettivi dell’obbligazione alimentare.

In particolare, ad avviso della Suprema Corte, la madre non aveva assolto all’onere sulla stessa posto, di comprovare:

  • l’incapacità di entrambi i genitori a provvedere alle esigenze primarie dei bambini;
  • la propria incapacità, peraltro neppure dedotta dalla ricorrente, “…per condizione professionale o sociale, di incrementare tale reddito”;
  • la capacità economica degli ascendenti “…di far fronte all’obbligazione alimentare, risultando dagli atti che essi vivevano della pensione del sig. X. di Euro 1.500,00 mensili”.

Nei tre gradi di giudizio era invece emerso che la madre poteva in positivo fare fronte alle esigenze alimentari dei minori essendo titolare di un reddito da lavoro di € 700,00 mensili, essendo proprietaria dell’abitazione familiare.

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[:it]a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Lo scorso 12 aprile 2018, l’Avvocato Generale (di seguito anche A.G.) presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Maciej Szpunar, ha depositato le proprie conclusioni in vista dell’oramai prossima pronuncia della Corte di Lussemburgo sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Suprema Corte di Cassazione bulgara (causa C-338/17 Neli Valcheva c. Georgios Babanarakis.

Il giudizio a quo

La vicenda trae origine da un’intricata vicenda transfrontaliera familiare e dall’impossibilità per una nonna bulgara di intrattenere rapporti significativi con il nipote a seguito del suo trasferimento in Grecia, conseguente all’affidamento esclusivo dello stesso al padre, cittadino ellenico residente in Grecia, disposto dal giudice ellenico, competente in base al criterio della c.d. residenza abituale.

La nonna, in particolare, non essendo riuscita ad ottenere dalle autorità greche misure atte a garantire detto “contatto significativo” con il nipote, adiva il Tribunale distrettuale bulgaro al fine di veder riconosciuto il proprio diritto di visita e determinate le relative modalità di esercizio.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, ritenendo, tuttavia, applicabile a detta controversia il regolamento Bruxelles II bis, dichiaravano la loro incompetenza ai sensi dell’art. 8 del regolamento medesimo individuando nel giudice ellenico, autorità dello Stato di residenza abituale del minore, l’unico competente a pronunciarsi su siffatta domanda.

La sig.ra Valcheva decideva pertanto di presentare ricorso per Cassazione. La Suprema Corte Bulgara, in qualità di giudice di ultima istanza, nonostante condividesse il pensiero delle Tribunali inferiori, decideva di adire la Corte di Giustizia sottoponendo la seguente questione pregiudiziale: «Se la nozione di “diritto di visita” utilizzata nell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a) e nell’articolo 2, punto 10, del regolamento n. 2201/2003 debba essere interpretata in modo da ricomprendervi non solo la visita del minore da parte dei genitori, bensì anche la visita da parte di altri parenti distinti dai genitori, quali i nonni».

Il ragionamento dell’A.G.

Apprezzabile è il ragionamento tenuto dall’avvocato generale, il quale, preliminarmente, sottolinea l’impossibilità di scorporare la questione “internazionalprivatistica” relativa all’applicabilità o meno del citato regolamento Bruxelles II bis, da un’analisi della questione fondamentale ad essa sottesa: “…l’importanza per un minore di intrattenere rapporti personali con i propri nonni, nei limiti in cui tali contatti non siano contrari al suo interesse”, letta alla luce del primato che il superiore interesse del minore deve sempre ricoprire in qualsivoglia controversia lo riguardi.

L’avvocato Generale, pertanto, opera un’analisi testuale, storica e teleologica del regolamento n°2201/03 al fine di chiarire se esso concerna non solo il diritto di visita dei genitori ma anche degli altri membri della famiglia, anche allargata:

  • partendo dal dato testuale, l’avvocato Szpunar pone in evidenza come l’art. 2, punti 7, 8 e 10 del citato regolamento, utilizzi espressioni e formule volontariamente generiche – quali “i diritti e i doveri”, “qualsiasi persona, “in particolare” – che testimonierebbero “…la volontà del legislatore dell’Unione di optare per una definizione ampia del diritto di cui trattasi” con la conseguenza di poter ritenere che “…il regolamento n. 2201/2003 includa anche un diritto di visita distinto da quello concesso dal diritto nazionale a uno dei due genitori (la madre, nel caso di specie) e se, di conseguenza, l’esercizio di tale diritto possa essere richiesto anche da terzi, come i nonni”;
  • passando ad un’interpretazione teleologica delle disposizioni del regolamento in parola, l’A.G. evidenzia come, nonostante la pacifica l’assenza di disposizioni specifiche relative al diritto di visita di un nonno, non sussista nel regolamento alcuna lacuna normativa in quanto “…dagli obiettivi del regolamento n. 2201/2003 emerge chiaramente che nulla giustifica l’esclusione del diritto di visita dall’ambito di applicazione di tale regolamento qualora il richiedente il diritto di visita sia una persona diversa dai genitori, avente legami familiari di diritto o di fatto con il minore, come nel caso di specie”;
  • detto pensiero risulterebbe poi confermato da un’interpretazione storica delle disposizioni del regolamento, lette alla luce dei lavori preparatori, nonché da un lettura congiunta dello stesso con gli altri strumenti internazionali concernenti le relazioni personali con i minori, quali la Convenzione dell’Aja del 1996;
  • da ultimo, l’avvocato generale pone in evidenza come anche questioni di opportunità e di economia processuale rendano certamente preferibile concentrare la competenza giurisdizionale sul giudice dello Stato di residenza abituale del minore, al fine di evitare provvedimenti conflittuali e contrasti di giurisdizione.

In conclusione, L’A.G. ritiene pertanto che nulla osti a ricomprendere nella nozione di diritto di visita, di cui al regolamento 2201/2003/CE “…persone diverse dai genitori ma aventi legami familiari di diritto o di fatto con il minore (in particolare, sorelle o fratelli, oppure l’ex coniuge o l’ex partner di un genitore). Infatti, tenuto conto delle costanti trasformazioni della nostra società e dell’esistenza di nuove forme di strutture familiari, le possibilità, riguardo alle persone interessate dall’esercizio del diritto di visita ai sensi del regolamento n. 2201/2003, potrebbero essere numerose. Il caso dell’ex partner del genitore titolare della responsabilità genitoriale e, conseguentemente, dei genitori di detto ex partner – considerati dal minore come nonni – o, ancora, il caso di una zia o di uno zio incaricati, nell’assenza temporanea di uno o di entrambi i genitori, di occuparsi del minore sono soltanto alcune illustrazioni con le quali la Corte potrebbe eventualmente confrontarsi nel contesto dell’interpretazione del regolamento in parola”.

L’avvocato della Corte è tuttavia chiaro nell’affermare che, se da un lato è quanto mai essenziale “…disporre di una regola di competenza unica e uniforme, vale a dire quella delle autorità dello Stato membro della residenza abituale del minore, al fine di garantire il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni pronunciate nei vari Stati membri”, dall’altro spetterà solo ed unicamente al legislatore nazionale chiarire “…a chi sarà – o meno – concesso un diritto di visita”.

In conclusione

Le conclusioni testè analizzate senza dubbio rappresentano un passo in avanti verso la tutela del diritto di visita degli ascendenti e/o discendenti nonché dei membri delle sempre più frequenti famiglie allargate; questo non solo per il dato probabilistico dell’allineamento della Corte al pensiero del suo A.G., circostanza questa che statisticamente avviene nella maggioranza assoluta dei casi.

Occorre tuttavia sottolineare l’importante ruolo che conserva il legislatore nazionale nell’individuazione dei familiari a cui tale diritto di visita possa essere riconosciuto con conseguente possibile frustrazione di legittime pretese a fronte della divergente disciplina sostanziale in vigore nello Stato di residenza abituale del minore.

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