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La Suprema Corte, con la sentenza in commento, chiarisce che la differenza di tonalità di colore del bene acquistato non integra la fattispecie della vendita aliud pro alio, bensì un difetto di conformità di lieve entità, con conseguente diritto per il consumatore di richiedere, senza spese, il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero una riduzione adeguata del prezzo (ai sensi dell’art. 130 del Codice del Consumo) ma non la risoluzione del contratto.

Il caso

Un consumatore ricorreva vittoriosamente al Giudice di Pace di Milano lamentando la consegna di un divano con caratteristiche – tessuto e tonalità di colore – diverse rispetto a quelle richieste, chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa venduta.

Il Tribunale di Milano, in sede di gravame, riformava tuttavia la decisione:

  • ritenendo che il compratore avesse accettato la diversa stoffa;
  • ritenendo che la differenza di tonalità di colore costituisse una difformità di lieve entità, a sensi dell’ultimo comma dell’art. 130 cod. cons., dovendosi pertanto escludere il rimedio, eccessivamente gravoso, della risoluzione;
  • rilevando che l’acquirente non aveva chiesto “…la sostituzione del divano, né la restituzione ed avendo proceduto all’alienazione del bene, l’unico rimedio esperibile era la riduzione del prezzo ma, il Pr., costituendosi nel giudizio d’appello, non aveva riproposto tale richiesta, che si intendeva, pertanto, rinunciata”.

Il ricorso per cassazione

Il consumatore decideva di ricorrere sino in Cassazione:

  • ritenendo che la differenza di tonalità un vizio integrasse un’ipotesi di vendita aliud pro alio;
  • affermando di avere, in realtà, richiesto la sostituzione del divano già al momento della consegna “…si da rendere superflua un’ulteriore richiesta di sostituzione”.

Gli Ermellini, tuttavia, rigettano il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:

  • L’ipotesi di vendita “alitici pro alio” ricorre quando il bene consegnato è completamente diverso da quello venduto, perché appartenente ad un genere differente oppure con difetti che gli impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti” (Cassazione civile sez. II, 24/04/2018, n. 10045)
  • “…la consegna di un divano dello stesso colore ma di tonalità diversa da quella pattuita non costituisce un vizio tale da impedire l’utilizzo del bene secondo la sua destinazione”, bensì un difetto di conformità ex art. 130 cod. cons., con conseguente “…diritto del consumatore a chiedere, senza spese, il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto
  • Qualora, però, il difetto di conformità di lieve entità e non sia possibile, o sia eccessivamente oneroso, esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, l’art. 130, ultimo comma, prevede che non sia possibile chiedere la risoluzione del contratto”.

Nel caso di esame, la Suprema Corte ha condiviso la valutazione operata dal Tribunale circa la lieve entità del predetto difetto, basata:

  • sia su un criterio oggettivo, “…in quanto si trattava di diversa tonalità dello stesso colore”;
  • sia sul comportamento del compratore, “…che aveva inviato, subito dopo la consegna, i suoi dati per l’emissione della fattura senza svolgere alcuna contestazione”.

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downloadCon sentenza n°23/2019 – del 21 giugno 2018, pubblicata il 23 aprile 2019 – il Consiglio Nazionale Forense ha offerto importanti chiarimenti sull’illiceità della pratica, aimè sempre più diffusa, di pubblicità online con cui alcuni colleghi, in spregio dei basilari principi deontologici che dovrebbero sorreggere la nostra professione, tentano di accaparrarsi clientela a suon di slogan pubblicitari e prestazioni gratuite.

Il caso in esame

La sentenza in esame trae origine dal ricorso presentato da un collega pescarese, avverso la sentenza con cui il proprio COA lo aveva condannato alla sanzione edittale della censura a seguito della pubblicità presente su un sito internet denominato “risarcimento danni medici”, contenente link di rimando alla pagina personale del collega, in cui venivano promesse prestazioni professionali “…senza anticipi, senza spese, senza rischi e, soprattutto, in tempi brevissimi…” e di definizione “…entro 240 giorni invece di attendere i soliti 4-5-6 anni…”, nonché la previsione di pagamento del compenso solo nel caso di raggiungimento del risultato.

La decisione del CNF

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza in oggetto, conferma la condanna del collega, alla luce delle seguenti condivisibili argomentazioni.

Preliminarmente, il Consiglio chiarisce che “…tanto il precedente Codice Deontologico (art. 17 e 19), quanto quello attualmente vigente (art. 17, 35 e 37), (prevedevano e) prevedono: A) da un lato che le informazioni pubblicitarie sull’attività professionale, per essere lecite e corrette, debbano essere caratterizzate da trasparenza, correttezza, non equivocità, non ingannevoli, non comparative, né suggestive od elogiative, e ciò anche per un evidente scopo di tutela di affidamento della collettività; B) dall’altro il divieto per l’avvocato di acquisire rapporti di clientela con modi non conformi a correttezza e decoro”.

A ciò non può che conseguire a costituire illecito disciplinare non è stata in sé lo svolgere pubblicità professionale “…sicuramente legittimo nel suo aspetto informativo e promozionale – ma le modalità ed il contenuto di un messaggio caratterizzato dalle evidenti sottolineature del dato economico e dalla marcata natura commerciale dell’informativa”.

In particolare, a violare i dettami deontologici è certamente la promessa pubblicitaria di definire la “…vertenza entro 240 giorni”, poiché:

  • “si pone in contrasto con i precetti di correttezza e veridicità, atteso che, come è evidente, nessuna garanzia e/o certezza può esservi circa il fatto che una qualsiasi pratica contenziosa possa sicuramente definirsi entro il termine pubblicizzato”;
  • ha una chiara natura elogiativa e comparativa, “…laddove la promessa di definizione entro 240 giorni è posta a confronto con i termini di 4-5-6 anni normalmente occorrenti (secondo il messaggio implicito, ma chiaro, contenuto nella brochure) agli altri avvocati”;
  • …i riferimenti a detti termini di durata rimangono del tutto privi di una qualche giustificazione…”, con conseguente violazione dei criteri di correttezza e trasparenza.

Parimenti, le espressioni “senza anticipi, senza spese, senza rischi … pagamento del compenso legato al risultato ottenuto, senza alcun obbligo di corrispettivo in caso di mancato ottenimento del risultato” integrano chiaramente l’offerta di una prestazione gratuita, tesa a suggestionare “…la potenziale clientela con evidenti sottolineature esclusivamente del dato economico”.

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