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[:it]La VI^ sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1072/2018 chiarisce quando un coniuge in caso di separazione ha diritto alla restituzione della metà delle rate del mutuo che egli ha versato per intero, non ricorrendo la fattispecie dell’accollo interno.

 

La vicenda nasce dalla Corte d’Appello di L’Aquila che accoglieva l’appello proposto da M.A., ex moglie di G.L., contro la sentenza di primo grado che l’aveva condannata a restituire al suo ex marito le rate di un mutuo ipotecario che i coniugi avevano stipulato per l’acquisto della casa familiare.

Nonostante fosse intervenuta la separazione dei coniugi ed il conseguente scioglimento della comunione legale, infatti, l’ex marito aveva continuato a pagare esclusivamente e per intero le rate del mutuo ipotecario.

Per la Corte d’ Appello, il provvedimento presidenziale che aveva stabilito in via provvisoria le condizioni economiche del divorzio, anche se non aveva posto a carico dell’ex marito l’obbligo di pagamento delle rate del mutuo, come misura sostitutiva dell’assegno divorzile, si fondava sulla premessa di un’assunzione volontaria di tale impegno da parte del marito; impegno che veniva qualificato come accollo interno, in base al quale l’ex marito non aveva diritto alla restituzione, non rilevando invece che la sentenza che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio avesse respinto la domanda della moglie volta a ottenere la corresponsione di un assegno divorzile.

L’ex marito, vista la sentenza della Corte d’Appello, propone ricorso per Cassazione, deducendo, in particolare, violazione degli artt. 1273, 1322, 1326, 1362 e 1299 c.c..

Il ricorrente si doleva del fatto che il giudice a quo avesse desunto erroneamente la prova della volontà del ricorrente di accollarsi per intero le rate del mutuo solo dalla premessa del provvedimento presidenziale, rilevando che la manifestazione di tale pretesa volontà non risultava in nessun verbale precedente.

La Suprema Corte, nell’accogliere l’impugnazione dell’ex marito, osserva che la prova dell’accollo non può e non deve desumersi dalle mere premesse di un provvedimento. Ciò ancor di più con riferimento al caso di specie, in cui il provvedimento:

  • era addirittura temporaneo e quindi destinato ad esaurire i suoi effetti col passaggio in giudicato della sentenza di divorzio;
  • non solo conteneva alcuna statuizione a riguardo, ma ometteva addirittura di dare atto delle modalità attraverso le quali il ricorrente avrebbe manifestato l’effettiva volontà di assumere per l’intero l’obbligazione di pagamento.

Gli Ermellini, chiariscono altresì che la motivazione della sentenza impugnata deve considerarsi meramente apparente in quanto:

  • basata solo su un’interpretazione del provvedimento presidenziale, totalmente sganciata dalla valutazione dei fatti;
  • la prova in questione, di contro, avrebbe dovuto essere tratta da elementi documentali.

Articolo redatto dalla dott.ssa Maria della Pietra

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[:it]downloadAncora non è sopito il fragore mediatico sollevato dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha condannato l’ex moglie di Berlusconi a rifondere quanto ottenuto negli anni a titolo di assegno divorzile (sentenza n°4793 del 16 novembre 2017), che la Suprema Corte, con la recente ordinanza n°28326 del 17 ottobre 2017, pubblicata il 28 novembre 2017, ritorna a pronunciarsi sull’annosa questione della debenza dell’assegno divorzile, confermando la necessità di rivedere quelle sentenze basate sul “vecchio” parametro dello stile di vita della famiglia in costanza di matrimonio.

I fatti di causa:

La vicenda trae origine dal ricorso per cassazione presentato da un marito avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Catania aveva riconosciuto all’ex moglie un assegno di mantenimento, parametrandolo altresì al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. In particolare, il ricorrente deduceva, da un lato, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 6 della legge n°898/70 e, dall’altro, l’omesso esame da parte della Giudice di secondo grado, di un fatto decisivo per il giudizio.

Gli Ermellini, accolgono le doglianze dell’ex marito, richiamando preliminarmente i seguenti principi di diritto affermati nella sentenza n°11504 del 10 maggio 2017:

  • Il diritto all’assegno di divorzio è subordinato alla previa verifica giudiziale, distinta in due fasi nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla stessa norma:
  1. la prima fase, avente ad oggetto l’accertamento dell’an debeatur, che si informa “…al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali ‘persone singole’ ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valore dall’ex coniuge richiedente…”;
  2. la seconda fase, a cui si accede solo in caso della conclusione positiva dell’accertamento dell’an, riguarda il quantum debeatur, è invece “…improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso”.
  • Il giudice del divorzio, dovrà pertanto previamente verificare la debenza dell’assegno accertando la sussistenza delle relative condizioni di legge – “mancanza di ‘mezzi adeguati’ o, comunque, impossibilità ‘di procurarseli per ragioni oggettive“…con esclusivo riferimento all’‘indipendenza o autosufficienza economica” del richiedente, essendo irrilevante in tale prima fase “…il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”.
  • L’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente dovrà essere desunta da una serie di indici, quali:
    1. il “…possesso di redditi di qualsiasi specie e/o cespiti mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri latu sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente)…”;
    2. “…(del)la capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo)…”;
    3. “…(del)la stabile disponibilità di una casa di abitazione”.
  • L’onere di dimostrare l’esistenza dell’indipendenza e/o non autosufficienza economica incombe sull’ex coniuge richiedente, “…fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge…”.
  • Nella seconda fase, relativa al quantum debeatur, il giudice dovrà tenere conto “…di tutti gli elementi indicati dalla norma…”, quali:
    1. le condizioni dei coniugi;
    2. le ragioni della decisione;
    3. “…il contributo personale dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune…”;
    4. i redditi di entrambi i coniugi.
  • I suddetti elementi, necessari al giudice per quantificare la misura dell’assegno divorzile, poi, dovranno essere valutati “…anche in rapporto alla durata del matrimonio al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova”.

Alla luce dei suddetti principi, pertanto, la Suprema Corte cassa la sentenza della C.d’A. di Catania, poiché “…aveva valutato il conseguimento dell’assegno, con riguardo all’adeguatezza di vita matrimoniale, in base al criterio indicato dalla pregressa giurisprudenza…” disponendo il rinvio alla medesima Corte, in diversa composizione, al fine di valutare nuovamente l’an della richiesta dell’assegno divorzile sulla base del criterio dell’adeguatezza dei mezzi o della sussistenza di ragioni oggettive che impediscano alla moglie di procurarseli.

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