Il padre separato che quando il figlio compie diciott’anni comincia a versare l’assegno di mantenimento a lui direttamente senza la sentenza di un giudice che modifichi le condizioni stabilite in precedenza, rischia di dover ripetere il pagamento. E ciò benché siano d’accordo il figlio e, per ipotesi, anche la madre convivente e l’interessato spenda effettivamente quei soldi per mantenersi.
Lo ha sancito di recente la Suprema Corte, con la recente ordinanza 13 aprile 2021 n. 9700.
Il padre aveva lamentato la violazione degli artt. 155 quinquies e 337 septies c.c., sostenendo che l’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento del figlio, contenuto in una sentenza di separazione, potesse essere modificato per concorde volontà delle parti, senza bisogno di un provvedimento giurisdizionale e che il titolare del credito di mantenimento fosse il figlio, una volta divenuto maggiorenne.
Tale motivo è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte in quanto fondato su un duplice ed erroneo presupposto interpretativo, e cioè che:
- a) sia consentito al creditore ed al debitore dell’assegno di mantenimento modificare le statuizioni contenute nella sentenza di separazione;
- b) tale facoltà sia confermata dalle previsioni dell’art. 337 septies c.c., comma 1.
Ed infatti, secondo la Corte «la determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli, da parte del coniuge separato, risponde ad un superiore interesse di quelli, interesse che non è disponibile dalle parti. Sicchè, una volta stabilito nel provvedimento giudiziale chi debba essere il debitore, e chi il creditore di quella obbligazione, tale provvedimento non è suscettibile di essere posto nel nulla per effetto di un successivo accordo tra i soggetti obbligati».
È vero, in astratto, ci potrebbe essere un’indicazione di pagamento, ma essa non muterebbe la persona del creditore (d’altro canto nel giudizio in esame aveva mai dedotto la violazione dell’art. 1188 c.c., né aveva mai allegato in punto di fatto che la propria ex moglie avesse indicato nel figlio il destinatario del pagamento ai sensi della norma da ultimo citata).
Quanto alla seconda allegazione del ricorrente, la Corte ha rilevato che l’art. 337 septies c.c., comma 1, a differenza di quanto sostenuto dal padre, stabilisce che “il giudice” può disporre il pagamento di un assegno ai figli maggiorenni non indipendenti economicamente, e che in tal caso (cioè quando il giudice lo abbia disposto) l’assegno è versato direttamente all’avente diritto.
La norma dunque non consente dubbi sul fatto che il pagamento dell’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne, invece che al genitore convivente, non è una facoltà dell’obbligato, ma può essere solo il frutto di una decisione giudiziaria.
Sulla base di tali considerazioni la Cassazione ha dunque rigettato il ricorso del padre, e compensando però integramente le spese di lite tra le parti, in considerazione della novità della questione.
Avv. Claudia Romano