Gli embrioni creati e crioconservati da una coppia che nel frattempo si è separata potranno essere impiantati nella donna anche contro la volontà dell’ex partner.

Lo ha stabilito il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere con l’ordinanza del ordinanza del 27 gennaio 2021 che, per la prima volta in Italia, riconosce il diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge e poi congelati.

La soluzione adottata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere valorizza il consenso al trattamento procreativo prestato dal marito, consenso che diventa irrevocabile dopo che l’embrione si è formato (art. 6, comma 3 l. n. 40/2004).

Per giungere a questa conclusione, i giudici hanno chiamato in causa l’articolo 6, comma 3, della legge 40 del 2004, per cui “la volontà [di diventare genitori attraverso la procreazione medicalmente assistita, ndr] può essere revocata da ciascuno dei soggetti […] fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. Dopo non più.

Il problema, sotto il profilo oggettivo, ha iniziato a esistere con la sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale, che – modificando la legge 40 – ha iniziato a permettere il congelamento degli embrioni. Fino a quel momento, infatti, la norma prevedeva che si potessero fecondare fino a un massimo di tre ovociti, i quali avrebbero dovuto essere simultaneamente impiantati nell’utero della donna. Era infatti questo il principio vigente prima della decisione della Consulta: una volta ottenuto, ogni embrione avrebbe dovuto essere messo nelle condizioni di nascere.

La scelta interpretativa si fonda sulla rilevanza che assume la discendenza biologica, della quale il ricorrente ha specificamente fornito ampia prova, avendo comunque espresso un consenso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ed autorizzando l’utilizzazione del proprio seme precedentemente prelevato e crioconservato, ed il nato.  Ciò premesso, il Tribunale ha ordinato il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati.

Poco più di 20 anni fa, con una pronuncia del 9 maggio 2000, il Tribunale di Bologna aveva deciso un caso simile a quello campano in modo diametralmente opposto. Alla base del ragionamento seguito dai giudizi emiliani c’erano due presupposti: il fatto che “gli ovuli umani fecondati ma non impiantati” sarebbero […] entità ben diversa dagli embrioni già allocati nell’utero materno”, e quello per cui essi non godrebbero in ogni caso “della stessa tutela legale […] della persona nata viva”. Così, sulla scorta di ciò, “considerato […] che il diritto di procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza, sarebbe in netto contrasto con il diritto di non procreare riconosciuto anche al genitore di sesso maschile la concessione alla sola donna di decidere se procedere nell’impianto in utero degli embrioni”.

Avv. Claudia Romano

 

© Copyright - Martignetti e Romano - P.Iva 13187681005 - Design Manà Comunicazione Privacy Policy Cookie Policy