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Il Tribunale civile di Roma, si è recentemente pronunciato su una delle questioni attualmente più dibattute sorte a seguito dell’adozione delle misure di distanziamento sociale per contenere la diffusione della pandemia da Covid-19 (D.L. 18/2020 D.P.C.M. 22 marzo 2020): l’esercizio del diritto di visita del genitore non collocatario.

Come ragionevolmente osservato dal Giudice capitolino, dette misure impongono di bilanciare l’interesse primario dei figli minori e del genitore a veder garantito il pieno diritto alla bigenitorialità, con l’interesse alla tutela della salute pubblica individuale (dei minori e dei genitori) e collettiva (adottando precauzioni che non aumentino il rischio di contagio).

La vicenda in esame

Il caso sottoposto al Tribunale di Roma trae origine dall’istanza con cui un padre denunciava la violazione del suo diritto di visita a causa del comportamento ostativo della madre la quale si trasferiva da Roma a Pejo, in Trentino Alto Adige, portando con se il figlio minore. Lo spostamento veniva comunicato al padre solamente una volta avvenuto.

Il ricorrente evidenziava, inoltre, i notevoli rischi a cui il minore era stato esposto dalla madre: il lungo viaggio dal Lazio al Trentino e, di conseguenza, la stretta vicinanza della prescelta località alle allora zone rosse della Lombardia.

La resistente, nelle proprie difese sottolineava invece come le proprie azioni fossero state intraprese precipuamente allo scopo di migliorare le condizioni di vita e di crescita del figlio. A parere della madre, il minore nell’attuale collocazione avrebbe potuto mantenere oltre agli “impegni scolastici, il contatto con la natura, le passeggiate nei boschi e le prime esperienze in bicicletta” e, dunque, a differenza di Roma, beneficiare di un effetto positivo per la sua crescita.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale romano, investito della questione, preliminarmente, in ossequio a quanto disposto dall’art. 83, comma 3, lett. a) del D.L. 18/2020[1], ha dichiarato l’urgenza dell’istanza avanzata dal ricorrente sulla considerazione dell’“interruzione delle frequentazioni tra il padre e il figlio minore”.

Passando al merito, il giudicante, nell’accogliere le motivazioni prospettate dal ricorrente, ha osservato che la frequentazione padre-figlio non comporta, anche nell’attuale situazione emergenziale, per il minore un rischio ulteriore a quello già esistente e che “la città di Roma appare realtà in sé meno rischiosa rispetto al Trentino Alto Adige, che è regione viciniore alla Lombardia e al Veneto, che sono notoriamente le regioni maggiormente colpite dall’epidemia da COVID-19”.

Il Tribunale capitolino ha pertanto disposto:

  • il rientro a Roma del minore con possibilità per il padre di avere con sé il figlio secondo le prescrizioni di cui all’ordinanza regolante le condizioni di frequentazione “fermi in ogni caso diversi accordi tra le parti che siano dettati nell’interesse prioritario del minore e tengano conto delle sue richieste”;
  • contestualmente ha ammonito la madre a dare esecuzione a quanto disposto nel provvedimento in esame pena l’adozione dei provvedimenti sanzionatori ex 709 ter c.p.c. e fatta salva la possibilità di diversi provvedimenti in tema di affido e di collocamento del minore, “adottando in ogni caso le cautele previste dalla vigente normativa in tema di spostamenti nella città e rispettando le misure di igiene previste nei provvedimenti governativi adottati per l’emergenza COVID-9.

[1]  L’art. 83, comma 3, lett. a) del D.L. n. 18 del 2020, contempla talune precise eccezioni in relazione alle seguenti controversie reputate più “urgenti” dal legislatore e pertanto sottratte alla sospensione dei termini processuali: cause di competenza del Tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio; cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità; procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali  della  persona; procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione nei soli casi in cui viene dedotta una motivata situazione di indifferibilità incompatibile anche con l’adozione di provvedimenti  provvisori e sempre che l’esame diretto della persona del beneficiario, dell’interdicendo e dell’inabilitando non risulti incompatibile con le sue condizioni di età e salute; procedimenti di cui all’articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; procedimenti di cui all’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194; procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari; procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea; procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile e, in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del  presidente del collegio, egualmente non impugnabile.

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classmates-snack-time-1465989-1279x1251La I^ sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6471/2020, ha chiarito che “Il diritto–dovere di visita del figlio minore che spetta al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all’art. 614 bis c.p.c. trattandosi di un potere–funzione che, non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra, ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., una ”grave inadempienza”, è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono, anche, all’interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata”.

Il caso:

La Corte d’Appello di L’Aquila, con decreto, confermava il provvedimento con cui il giudice di prime cure:

  • aveva sanzionato il padre ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. per inadempimento rispetto al diritto/dovere di visita;
  • aveva quantificato in euro 100,00 la somma da versare alla madre per ogni futuro inadempimento di tale obbligo.

Il ricorso per cassazione

Il padre, visto il decreto della Corte d’Appello, propone ricorso per cassazione sostenendo che le statuizioni di coercizione indiretta previste dall’art. 614 bis c.p.c. non sarebbero applicabili agli obblighi di frequentazione della prole, poiché al diritto del minore a ricevere la visita del genitore corrisponderebbe il diritto potestativo non coercibile di quest’ultimo, rimesso alla sua disponibilità e, in ogni caso, non assoggettabile ai provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ed alle sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.c..

La decisione della Suprema Corte:

La I^ sezione, investita della questione, con ordinanza n. 6471/2020, ha accolto il ricorso alla luce delle seguenti condivisibili motivazioni:

  • a differenza del diritto generale delle obbligazioni, caratterizzato per l’apprestamento di un rimedio ordinamentale coercitivo a fronte dell’inadempimento del debitore – nel diritto di famiglia, il diritto–dovere del genitore di far visita al figlio minore, di cui all’art. 316 c.c., si caratterizza per la sua intensa strumentalità rispetto alla realizzazione degli interessi superiori del minore stesso;
  • la predetta posizione giuridica del genitore:
  • in quanto diritto, e quindi nella sua declinazione attiva, è tutelabile ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. rispetto ai comportamenti dell’altro genitore che siano tali da ostacolare l’altrui diritto di visita del figlio;
  • in quanto dovere, e quindi nella sua declinazione passiva, resta fondata sull’autonoma e spontanea osservanza del genitore interessato nell’ambito della propria capacità di autodeterminazione e sempre in vista dell’attuazione del superiore interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata, e, come tale, non è suscettibile né di coercizione indiretta ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. – che presuppone un provvedimento di condanna non compatibile con la posizione giuridica del genitore – né dei rimedi di cui all’art. 709 ter c.p.c. che prevede ipotesi di risarcimento a fronte di un danno già integrato e non una coercizione preventiva e indiretta di un dovere nel caso di una sua inosservanza futura.

La Suprema Corte evidenzia, altresì:

  • che “…l’emanazione di un provvedimento ex art. 614 bis c.p.c. si pone in evidente contrasto con l’interesse del minore il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello alla sua frequentazione”;
  • la non coercibilità del dovere di visita del genitore non collocatario non vale ad escludere che al mancato suo esercizio non conseguano effetti, potendo comportare l’affidamento esclusivo in capo all’altro genitore, la decadenza o l’adozione di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, la responsabilità penale per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiarequando le condotte contestate, con il tradursi di una sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore”.

Di qui, la decisione della Suprema Corte di cassare senza rinvio il provvedimento impugnato.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Terella

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catturaLa predetta norma ha generato in poco tempo notevole confusione, tanto negli operatori della giustizia quanto nei genitori separati, in merito alle conseguenze del predetto divieto sull’esercizio del diritto di visita del genitore non collocatario della prole.

A fronte dei predetti dubbi, il Governo, nelle FAQ diramate sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha opportunamente chiarito, in data 10 marzo 2020, che: gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio“.

L’ordinanza del 22 marzo 2020 del Ministero della Salute

In data 22 marzo 2020, il Ministero della Salute ha adottato un’ordinanza recante “ulteriori misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”, prevedendo all’art. 1 il “…divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.

La predetta misura resterà in vigore sino al 3 aprile 2020, in virtù della proroga espressamente convenuta nel DPCM del 22 marzo 2020.

Il DPCM del 22 marzo 2020

In pari data, è altresì stato emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un ulteriore decreto contenente ulteriori misure urgenti di contenimento sull’intero territorio nazionale, in vigore sino al 3 aprile 2020, cumulative rispetto a quelle già adottate con DPCM dell’11 marzo 2020 e con quelle previste nella sopracitata ordinanza del 22 marzo 2020 del Ministero della Salute.

Il suddetto decreto, all’art. 1, lett. b), conferma il “…divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”, di cui alla sopracitata ordinanza del 22 marzo 2020, specificando altresì la conseguente soppressione della facoltà di spostarsi per fare “rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, di cui all’art. 1, lett. a) del DPCM dell’8 marzo 2020.

Così come per l’art. 1 dell’ordinanza del 22 marzo 2020 del Ministero della Salute, anche il presente decreto non prevede deroghe al suddetto decreto se non per spostamenti dettati da:

  • comprovate esigenze lavorative di assoluta urgenza;
  • motivi di assoluta urgenza;
  • motivi di salute.

I chiarimenti recentemente offerti dal Governo

Il Governo, sul proprio sito istituzionale – http://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa – alla domanda “Sono separato/divorziato, posso andare a trovare i miei figli?”, ha risposto: “Sì, gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”.

 

In conclusione

Da ciò consegue che, l’entrata in vigore del DPCM del 22 marzo 2020, non pone alcuna limitazione ai genitori che si spostino, anche in altro comune, per vedere e/o prendere i figli, all’uopo muniti di autocertificazione e/o provvedimento di separazione e/o divorzio. [:]

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downloadIl legislatore, con legge n°69/2009 ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 614 bis c.p.c., quale deterrente di natura economica agli inadempimenti di obblighi difficilmente coercibili, con il quale il giudice, su istanza di parte, può condannare l’obbligato al pagamento di un somma “…per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento” [1].

Detta misura è stata recentemente invocata da un padre in un giudizio, in cui era stato convenuto e relativo alla modifica delle condizioni di divorzio, al fine di sanzionare la madre ogni qualvolta la stessa non garantisse il diritto del padre di vedere e tenere con sé le figlie.

I fatti di cui è causa

Con ricorso depositato in data 10 gennaio 2017, un’ex moglie, madre di due figlie minori con essa conviventi, adiva il Tribunale di Mantova al fine di veder modificate le statuizioni in punto di mantenimento per le due figlie minori, con un aumento del mantenimento da € 800,00 ad € 900,00 nonché una rideterminazione delle modalità e dei tempi di visita padre-figlie, all’esito dell’accertamento della capacità genitoriali e delle ragioni che avevano spinto le ragazzine a non voler incontrare il padre nell’arco dell’ultimo anno.

Si costituiva in giudizio il padre, chiedendo il rigetto della domanda di controparte relativa all’aumento dell’assegno di mantenimento in favore delle figlie, alla luce di una diminuzione del proprio reddito, chiedendo altresì, all’esito dell’accertamento delle capacità genitoriali, la condanna della stessa “…a pagare ai sensi e per gli effetti dell’art. 614 bis c.p.c., la somma che il Tribunale riterrà di giustizia per ogni violazione o inosservanza dei provvedimenti di cui all’emanando decreto o per ogni ritardo nell’esecuzione di detti provvedimenti”, eccependo come la moglie, dall’epoca della separazione, avesse costantemente ostacolato i rapporti padre-figli.

La decisione

Il Tribunale mantovano, investito della questione, all’esito dell’istruttoria accoglieva in parte la domanda di riduzione del mantenimento avanzata dal padre, alla luce della (parzialmente) comprovata riduzione dei suoi redditi da lavoro, rigettando invece la domanda volta alla condanna del coniuge ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. ritenendola inammissibile – “[P]ur essendo noto il fatto che in alcuni casi la giurisprudenza di merito ha ritenuto applicabile il disposto della norma richiamata, a sanzione di comportamenti ostruzionistici del genitore collocatario all’esercizio del diritto di visita del genitore con il quale il figlio non convive stabilmente, ritiene il Tribunale che tale misura di coercizione indiretta sia inammissibile nei procedimenti aventi ad oggetto l’adozione di provvedimenti ex art. 337 bis e ss. c.c. – alla luce della seguente motivazione:

  • la sanzione di cui all’art. 614 bis c.p. “…può accedere pertanto unicamente a sentenze di condanna ad un obbligo (determinato) di fare o di non fare”;
  • di contro, “…i ‘provvedimenti riguardo ai figli’ che il Tribunale deve adottare ai sensi dell’art. 337 terc., in relazione al regime di affidamento, alla regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, ed alla determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, non comportano alcuna statuizione di “condanna” a carico dell’uno o dell’altro genitore;
  • “…[i]n particolare la determinazione dei periodi di permanenza dei figli presso il genitore con il quale non convivono stabilmente, e quindi le modalità in cui si esplica il diritto/dovere del genitore non collocatario di tenere con sé i figli, non costituisce provvedimento di condanna del genitore collocatario all’esecuzione di obblighi determinati di fare o di non fare”;
  • “[L]a competenza ad accertare inadempimenti ai provvedimenti ex artt. 337 bis e ss. c.c. o comportamenti che comunque ‘arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento’ spetta peraltro esclusivamenteal giudice del procedimento in corso’ o al Tribunale in composizione collegiale, e non certamente al giudice dell’esecuzione (in sede di eventuale opposizione a precetto ex art. 614 bis c.p.c.), come espressamente previsto dall’art. 709 ter c.p.c., che disciplina il procedimento relativo e stabilisce le specifiche sanzioni applicabili, in ipotesi di accertata violazione”;
  • ad ogni modo, le risultanze del giudizio avevano chiarito l’addebitabilità unicamente al padre dei mancati incontri padre-figlie.

In conclusione, ad avviso della parte, la domanda di condanna ex art. 614 bis c.p.c. “…in via preventiva, ed in assenza di qualsiasi statuizione di condanna della ricorrente all’esecuzione di un ‘facere’ o di un ‘non facere’, è quindi inammissibile”.

[1] L’art. 614 bis c.p.c., recita, al 1° comma: “Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento(2). Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”; e al 2° comma: “Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.

Tribunale di Mantova, decreto del 12 luglio 2018

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[:it]a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Lo scorso 12 aprile 2018, l’Avvocato Generale (di seguito anche A.G.) presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea, Maciej Szpunar, ha depositato le proprie conclusioni in vista dell’oramai prossima pronuncia della Corte di Lussemburgo sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Suprema Corte di Cassazione bulgara (causa C-338/17 Neli Valcheva c. Georgios Babanarakis.

Il giudizio a quo

La vicenda trae origine da un’intricata vicenda transfrontaliera familiare e dall’impossibilità per una nonna bulgara di intrattenere rapporti significativi con il nipote a seguito del suo trasferimento in Grecia, conseguente all’affidamento esclusivo dello stesso al padre, cittadino ellenico residente in Grecia, disposto dal giudice ellenico, competente in base al criterio della c.d. residenza abituale.

La nonna, in particolare, non essendo riuscita ad ottenere dalle autorità greche misure atte a garantire detto “contatto significativo” con il nipote, adiva il Tribunale distrettuale bulgaro al fine di veder riconosciuto il proprio diritto di visita e determinate le relative modalità di esercizio.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, ritenendo, tuttavia, applicabile a detta controversia il regolamento Bruxelles II bis, dichiaravano la loro incompetenza ai sensi dell’art. 8 del regolamento medesimo individuando nel giudice ellenico, autorità dello Stato di residenza abituale del minore, l’unico competente a pronunciarsi su siffatta domanda.

La sig.ra Valcheva decideva pertanto di presentare ricorso per Cassazione. La Suprema Corte Bulgara, in qualità di giudice di ultima istanza, nonostante condividesse il pensiero delle Tribunali inferiori, decideva di adire la Corte di Giustizia sottoponendo la seguente questione pregiudiziale: «Se la nozione di “diritto di visita” utilizzata nell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a) e nell’articolo 2, punto 10, del regolamento n. 2201/2003 debba essere interpretata in modo da ricomprendervi non solo la visita del minore da parte dei genitori, bensì anche la visita da parte di altri parenti distinti dai genitori, quali i nonni».

Il ragionamento dell’A.G.

Apprezzabile è il ragionamento tenuto dall’avvocato generale, il quale, preliminarmente, sottolinea l’impossibilità di scorporare la questione “internazionalprivatistica” relativa all’applicabilità o meno del citato regolamento Bruxelles II bis, da un’analisi della questione fondamentale ad essa sottesa: “…l’importanza per un minore di intrattenere rapporti personali con i propri nonni, nei limiti in cui tali contatti non siano contrari al suo interesse”, letta alla luce del primato che il superiore interesse del minore deve sempre ricoprire in qualsivoglia controversia lo riguardi.

L’avvocato Generale, pertanto, opera un’analisi testuale, storica e teleologica del regolamento n°2201/03 al fine di chiarire se esso concerna non solo il diritto di visita dei genitori ma anche degli altri membri della famiglia, anche allargata:

  • partendo dal dato testuale, l’avvocato Szpunar pone in evidenza come l’art. 2, punti 7, 8 e 10 del citato regolamento, utilizzi espressioni e formule volontariamente generiche – quali “i diritti e i doveri”, “qualsiasi persona, “in particolare” – che testimonierebbero “…la volontà del legislatore dell’Unione di optare per una definizione ampia del diritto di cui trattasi” con la conseguenza di poter ritenere che “…il regolamento n. 2201/2003 includa anche un diritto di visita distinto da quello concesso dal diritto nazionale a uno dei due genitori (la madre, nel caso di specie) e se, di conseguenza, l’esercizio di tale diritto possa essere richiesto anche da terzi, come i nonni”;
  • passando ad un’interpretazione teleologica delle disposizioni del regolamento in parola, l’A.G. evidenzia come, nonostante la pacifica l’assenza di disposizioni specifiche relative al diritto di visita di un nonno, non sussista nel regolamento alcuna lacuna normativa in quanto “…dagli obiettivi del regolamento n. 2201/2003 emerge chiaramente che nulla giustifica l’esclusione del diritto di visita dall’ambito di applicazione di tale regolamento qualora il richiedente il diritto di visita sia una persona diversa dai genitori, avente legami familiari di diritto o di fatto con il minore, come nel caso di specie”;
  • detto pensiero risulterebbe poi confermato da un’interpretazione storica delle disposizioni del regolamento, lette alla luce dei lavori preparatori, nonché da un lettura congiunta dello stesso con gli altri strumenti internazionali concernenti le relazioni personali con i minori, quali la Convenzione dell’Aja del 1996;
  • da ultimo, l’avvocato generale pone in evidenza come anche questioni di opportunità e di economia processuale rendano certamente preferibile concentrare la competenza giurisdizionale sul giudice dello Stato di residenza abituale del minore, al fine di evitare provvedimenti conflittuali e contrasti di giurisdizione.

In conclusione, L’A.G. ritiene pertanto che nulla osti a ricomprendere nella nozione di diritto di visita, di cui al regolamento 2201/2003/CE “…persone diverse dai genitori ma aventi legami familiari di diritto o di fatto con il minore (in particolare, sorelle o fratelli, oppure l’ex coniuge o l’ex partner di un genitore). Infatti, tenuto conto delle costanti trasformazioni della nostra società e dell’esistenza di nuove forme di strutture familiari, le possibilità, riguardo alle persone interessate dall’esercizio del diritto di visita ai sensi del regolamento n. 2201/2003, potrebbero essere numerose. Il caso dell’ex partner del genitore titolare della responsabilità genitoriale e, conseguentemente, dei genitori di detto ex partner – considerati dal minore come nonni – o, ancora, il caso di una zia o di uno zio incaricati, nell’assenza temporanea di uno o di entrambi i genitori, di occuparsi del minore sono soltanto alcune illustrazioni con le quali la Corte potrebbe eventualmente confrontarsi nel contesto dell’interpretazione del regolamento in parola”.

L’avvocato della Corte è tuttavia chiaro nell’affermare che, se da un lato è quanto mai essenziale “…disporre di una regola di competenza unica e uniforme, vale a dire quella delle autorità dello Stato membro della residenza abituale del minore, al fine di garantire il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni pronunciate nei vari Stati membri”, dall’altro spetterà solo ed unicamente al legislatore nazionale chiarire “…a chi sarà – o meno – concesso un diritto di visita”.

In conclusione

Le conclusioni testè analizzate senza dubbio rappresentano un passo in avanti verso la tutela del diritto di visita degli ascendenti e/o discendenti nonché dei membri delle sempre più frequenti famiglie allargate; questo non solo per il dato probabilistico dell’allineamento della Corte al pensiero del suo A.G., circostanza questa che statisticamente avviene nella maggioranza assoluta dei casi.

Occorre tuttavia sottolineare l’importante ruolo che conserva il legislatore nazionale nell’individuazione dei familiari a cui tale diritto di visita possa essere riconosciuto con conseguente possibile frustrazione di legittime pretese a fronte della divergente disciplina sostanziale in vigore nello Stato di residenza abituale del minore.

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Stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza 20 giugno 2017 n. 15200, qui allegata che, nonostante si accerti che la madre, ponendo in essere condotte alienanti, abbia contribuito a deteriorare il rapporto del figlio con il padre, tale circostanza non è idonea a privarla dell’affidamento e del collocamento prevalente del minore. Al massimo il giudice può sanzionarla con un versamento alla Cassa delle ammende.

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un padre avverso la decisione della Corte d’Appello di Trieste di non disporre il collocamento prevalente del figlio presso di lui dopo aver accertato che la madre aveva coinvolto il figlio nell’accesa conflittualità tra i genitori, continuando a comportarsi in modo da voler cancellare il padre dalla vita del figlio.

Ad avviso i giudici di legittimità, tenuto conto dello stretto rapporto del figlio adolescente con la madre, la scelta migliore non è quella di allontanarlo da lei, ma bensì quella di favorire il dialogo con il padre incrementando con lui il diritto di visita, nel tentativo di ricondurre il rapporto dell’intero nucleo familiare nei limiti della normalità.

Del resto, se l’adolescente ha un legame fin troppo stretto con la madre, la scelta preferenziale consiste nel cercare di ricondurre il rapporto nei limiti della normalità. Diversamente, imporre d’autorità la trasformazione del rapporto tra la madre e il figlio, costringendo il minore a un radicale mutamento delle proprie abitudini di vita, appare un’iniziativa estremamente rischiosa proprio per il miglior equilibro del figlio, che invece è doveroso tutelare, sia per i genitori che per i giudici.

A fronte delle carenze genitoriali della madre, è stata quindi ritenuta sufficiente la sanzione della condanna al versamento di una somma alla cassa delle ammende ai sensi dell’art. 709 ter c.c..

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Risultati immagini per immagin father son Il Tribunale civile di Milano, IX^ sez. Minori, con decreto del 24 marzo 2017, ha affrontato la delicata questione del riavvicinamento di una padre con sua figlia, con la quale non aveva avuto alcuna forma di relazione sin dalla sua nascita.

In particolare, in attesa dello svolgimento del percorso di mediazione intrapreso dalle parti, del percorso di psicoterapia della madre, del percorso psicologico del padre e del percorso di sostegno alla genitorialità iniziato da entrambi, il Tribunale lombardo ha riconosciuto il diritto del padre ad incontrare la figlia in uno spazio neutro al fine di evitare il rischio di un pregiudizio per la minore.

I Servizi Sociali territorialmente competenti dovranno dunque predisporre gli incontri con iniziale cadenza quindicinale per poi modularne successive modalità e tempistiche all’esito degli sviluppi e degli accertamenti disposti.

Nelle more dell’attivazione degli incontri in spazio neutro da parte dei Servizi Sociali territorialmente competenti, il padre si è visto pertanto riconoscere il diritto ad incontrare la figlia secondo le modalità indicate da un educatore privato, scelto di comune accordo dalle parti e con ripartizione al 50% delle relative spese.

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downloadLa Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente condannato l’Italia per violazione dell’art. 8, sanzionando l’operato dei suoi tribunali, rei di non aver posto in essere misure efficaci e rapide al fine di tutelare il diritto di visita di un padre separato.

L’iter giudiziario italiano

Il ricorso alla Corte di Strasburgo trae le proprie origini da una triste quanto comune vicenda giudiziaria all’italiana. Un uomo, a seguito della decisione di separarsi dalla moglie, lasciava la casa familiare, incontrando da allora una forte opposizione della stessa a qualsiasi contatto padre-figlio. Il padre ricorreva pertanto al Tribunale per i Minorenni di Brescia, lamentando oltre alle predette circostanze anche un comportamento pregiudizievole della madre verso il minore – la quale continuava ad allattare il bambino, nonostante avesse già più di 5 anni, e a dormire con lui – e chiedendo pertanto il suo affido in via esclusiva, all’esito di una perizia. La madre, costituitasi, contestava la fondatezza di tali accuse, affermando che il padre si era da sempre disinteressato del figlio e chiedendo pertanto la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Il Tribunale, investito della questione, disponeva pertanto una perizia psicologica, dalla quale emergeva l’opportunità di un affido condiviso, affiancata ad una procedura di mediazione familiare, e dell’esercizio del diritto di visita da parte del padre senza la presenza della madre.

Il Tribunale, conseguentemente, aderendo parzialmente alle risultanze della predetta perizia, decideva di affidare il minore ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre, concedendo al padre di vedere il figlio due giorni alla settimana. La decisione veniva impugnata, senza successo, da ambedue gli ex coniugi dinnanzi alla Corte d’Appello, che confermava pertanto le statuizioni del giudice di primo grado.

Decorsi pochi anni, il padre adiva nuovamente il Tribunale chiedendo che il figlio potesse trascorrere con lui le prossime vacanze pasquali. Il Tribunale, in tale occasione, accoglieva la domanda del ricorrente, respingendo la successiva richiesta di revoca presentata dalla madre. Successivamente il Tribunale, dando atto della volontà del minore a passare più tempo con il padre, pernottando altresì presso di lui, dell’atteggiamento ostruzionistico persistente della madre e dell’assenza di una sua collaborazione con i servizi sociali, estendeva il diritto di visita e di alloggio anche ad un fine settimana alternato, incaricando i servizi sociali di monitorare il rispetto di tali prescrizioni.

La madre, tuttavia, continuava ad opporsi a qualsiasi incontro padre-figlio senza la sua presenza, impedendo di fatto l’esercizio del diritto di visita stabilito dal Tribunale. Tale condizione, a detta del padre, spingeva quest’ultimo non solo a rifiutarsi di vedere il figlio e di tenerlo con lui ma anche a contattarlo telefonicamente e a passare con lui le vacanze. All’esito di ulteriori ricorsi presentati dai due genitori, la madre veniva autorizzata a trasferirsi a Torino, per motivi economici e di opportunità, alla luce anche del mancato esercizio del diritto di visita da parte del padre. Veniva rigettata, invece, la domanda dell’ex moglie di decadenza del padre dalla responsabilità genitoriali sul minore. Nei mesi successivi il padre persisteva nel suo rifiuto di collaborare con i servizi sociali di Torino e di vedere il figlio, nonostante la prescrizione da parte del Tribunale di incontri protetti, pertanto, senza la presenza della madre.

Il ricorso alla Corte europea

Il ricorrente decideva pertanto di adire la Corte EDU lamentando la violazione dell’art. 8 della Convenzione, dal momento che le autorità italiane avrebbero tollerato il comportamento inaccettabile posto in essere dalla madre – volto ad ostacolare il libero esercizio di visita da parte del padre e “…aizzare il minore contro di lui” – in aperta violazione delle condizioni fissate dal tribunale italiano.

I principi individuati dalla Corte

La Corte, investita della questione, chiarisce preliminarmente come lo scopo dell’art. 8 CEDU sia quello di  …premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri ”, garantendo il rispetto della vita familiare, inclusiva altresì del rispetto delle relazioni reciproche tra individui, tra cui le relazioni tra genitore non convivente e figli.

A tal fine, l’articolo in oggetto “…non si limita a imporre allo Stato di astenersi da simili ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare”. Tra tali misure positive la Corte individua anche “…la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate…idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori”, richiamando sul punto una sua sterminata giurisprudenza (ex multis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003). Tali obblighi positivi, chiarisce la Corte, “…non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di giungere a tale risultato.

Fondamentale poi, ad avviso della Corte, ai fini dell’adeguatezza delle predette misure è la rapidità con cui le stesse vengano attuate “…in quanto il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra il minore e il genitore che non vive con lui”. Di contro, l’infruttuosità delle misure adottate al fine di riunificare padre e figlio non comportano automaticamente la violazione da parte dello Stato membro degli obblighi ex art. 8 CEDU e ciò in considerazione, da un lato, del carattere non assoluto di tale diritto e, dall’altro, dalla necessità di considerare altresì il comportamento e la comprensione tenuta da tutte le persone coinvolte nel caso concreto. Di fatti, alle autorità non è consentito, se non in via del tutto residuale e limitata, l’utilizzo della coercizione, dovendo le stesse tenere sempre in primaria e prevalente considerazione il diritto superiore del minore. Al fine di giudicare la legittimità dell’azione delle istituzioni, dunque, si dovrà verificare da un lato l’adozione di “…tutte le misure neessarie che ragionevolmente era possibile attendersi da loro per mantenere i legami tra il ricorrente e suo figlio…” (sul punto si veda anche Manuello e Nevi c. Italia, n°107/10, § 52, 20 gennaio 2015) e, dall’altro, “…esaminare il modo in cui le autorità sono intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dalle decisioni giudiziarie (sul punto Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015).

Applicazione di questi principi al presente caso

Passando poi all’applicazione dei suddetti principi, la Corte ritiene necessario distinguere tra due periodi distinti.

Nel primo periodo, compreso tra la separazione iniziale e la manifestazione da parte del padre della volontà di non esercitare più il diritto di visita, la Corte ha ritenuto che il diritto di visita del ricorrente sia stato gravemente pregiudicato dall’operato delle autorità, le quali, nonostante fossero consapevoli del comportamento consapevolmente ostruzionistico tenuto dalla madre, non avevano posto in essere misure idonee ed adeguate a “…creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre” e “…misure utili ai fini dell’instaurazione di contatti effettivi”. In particolare la Corte, pur riconoscendo le elevate difficoltà del caso di specie a seguito della conflittualità acerrima tra i genitori, ha ritenuto che la mancanza di cooperazione tra gli stessi “…non possa dispensare le autorità competenti dall’utilizzare tutti gli strumenti atti a consentire il mantenimento del legame familiare” (si vedano Fourkiotis c. Grecia n. 74758/11 § 72, 16 giugno 2016).

Per quanto attiene invece al secondo periodo, terminante con la presentazione del ricorso dinnanzi alla Corte, la stessa ha ritenuto insussistente la violazione dell’art. 8 CEDU in quanto i servizi sociali, incaricati dal Tribunale di vigilare sulla questione, avrebbero profuso “…tutti gli sforzi che si poteva ragionevolmente attendersi da loro per garantire il rispetto del diritto di visita del ricorrente, conformemente alle esigenze del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione”. Di contro, invece, sarebbe stato proprio il padre ad assumere da allora “…un atteggiamento negativo poiché ha prima annullato diversi incontri e poi ha deciso di non partecipare più alle visite”.

Da ultimo, la Corte rigetta la richiesta di risarcimento del danno morale presentata dal ricorrente, ritenendo “…che la constatazione di una violazione fornisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per qualsiasi danno morale eventualmente subito…”.

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download (1)Non è un mistero che la separazione e/o il divorzio legale tra marito e moglie, così come la separazione di fatto tra partners di coppie non coniugate, rischiano di avere gravi e dolorose ripercussioni anche sui figli, usati come arma in un vero e proprio conflitto tra i genitori. Troppo spesso, infatti, la crisi della coppia si estende alla coppia genitoriale, con grave e, aimè, irreparabile danno per i bambini.

Uno degli effetti maggiormente pregiudizievoli per i bambini è la c.d. PAS, ovvero sindrome da alienazione genitoriale (o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome). Questo disturbo psicopatologico, ancorché ancora al centro di discussioni e non ancora riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, colpirebbe proprio i bambini coinvolti nel conflitto genitoriale determinando una vera alienazione degli stessi da una delle figure genitoriali, specie quella non convivente con il minore.

Lasciando da parte le prese di posizione di psicoterapeuti e tribunali sull’esistenza stessa della PAS, rimane un dato oggettivo e sconcertante: sempre più spesso i genitori non conviventi lamentano continue e costanti interferenze degli ex partner, rei di ostacolare i rapporti liberi dei figli con l’altro genitore, spingendosi sino a svilire costantemente la sua figura, senza tenere in minima considerazione gli effetti tragici che tale condotta rischia di avere sulla crescita serena e corretta della prole. Quel che maggiormente preoccupa, poi, è che la tutela giurisdizionale dei diritti del genitore non convivente viene assai spesso frustrata dai tempi “biblici” della giustizia italiana e dal ricorso da parte dei tribunali ad una serie di misure automatiche e stereotipate, assolutamente inidonee a ristabilire i rapporti tra genitore e figlio non convivente.

Questa allarmante situazione è stata di recente oggetto di una serie di importanti condanne da parte della Corte EDU, ad avviso della quale il nostro Paese non si sarebbe dotato di misure idonee a rendere effettivo il diritto di visita, frustrando ingiustamente tanto il diritto del genitore non convivente alla genitorialità (diritto di rango costituzionale) quanto il diritto del bambino alla c.d. bigenitorialità, ovvero ad avere rapporti paritetici ed effettivi con ambedue i minori, a prescindere dal suo collocamento presso l’uno o l’altro genitore. Tali diritti, è bene ricordarlo, traggono la loro origine tanto dalla nostra Costituzione, in particolare dagli articoli 2, 29 e 30 Cost., quanto da una serie di Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, tra cui, in primis, la stessa CEDU (acronimo per Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali) che, all’art. 8, rubricato “diritto al rispetto della vita privata e familiare”, recita: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Un’analisi di alcune delle recenti condanne da parte della Corte EDU appaiono pertanto utili, se non indispensabili, per capire quali sono i comportamenti in positivo che dovrebbero tenere gli organi dello Stato – partendo dai Tribunali, passando per assistenti sociali e centri di mediazione – al fine di tutelare tanto il diritto del padre alla genitorialità e, nello specifico, l’esercizio effettivo del suo diritto di visita, quanto il diritto del figlio alla bigenitorialità, salvo i casi eccezionali in cui lo stesso risulti pregiudizievole al minore.

Partiamo dunque con il chiarire che esiste un vero e proprio obbligo del Tribunale di attivarsi al fine di rimuovere celermente ogni ostacolo frapposto al rapporto tra figlio e genitore convivente, e a “…creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore (così CUDU, Bondavalli c. Italia, ric. n°35532/12, sentenza del 17 novembre 2015, par. 81; in senso conforme CEDU, Macready c. Repubblica ceca, ric. nn°4824/06 e 15512/08, sentenza del 22 aprile 2010, par. 66), mediante l’adozione di “…misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti tra i genitori” (così, CEDU, Strumia c. Italia, ric. n°53377/13, sentenza del 23 giugno 2016, par. 110). Tale obbligo positivo non è limitato unicamente alla vigilanza “…affinchè il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di raggiungere tale risultato” (così CEDU, Giorgioni c. Italia, ric. n°43299/12, sentenza del 15 settembre 2016, par. 62). Dette misure, aggiunge la Corte, non possono consistere unicamente in quelle “automatiche e stereotipate” (quali le richieste di informazioni a periti incaricati ovvero la delega delle funzioni di controllo delle visite ai servizi sociali) che, spesso, non scalfiscono la situazione di alienazione già esistente, anzi contribuiscono alla sua acuizione mediante il decorso del tempo.

Qualora poi, come spesso accade, sia ravvisabile una mancanza di collaborazione da parte del genitore collocatario, dovuta soprattutto a tensioni esistenti tra i genitori, la stessa non può “…dispensare le autorità competenti dall’utilizzare tutti gli strumenti atti a consentire il mantenimento del legame familiare” (CEDU, Giorgioni c. Italia, ric. n°43299/12, sentenza del 15 settembre 2016, par. 74; CUDU, Bondavalli c. Italia, ric. n°35532/12, sentenza del 17 novembre 2015, par. 82; CEDU, Lombardo c. Italia, ric. n°25704/11, sentenza del 29 gennaio 2013, par. 91; CEDU, Santilli c. Italia, ric. n°51930/10, sentenza del 17 dicembre 2013, par. 74). In altri termini, secondo il condivisibile parere della Corte Europea, il Tribunale ha il potere nonché il dovere di attivarsi al fine di rimuovere celermente ogni ostacolo frapposto al rapporto tra figlio e genitore convivente, con specifico riferimento alla mancanza di collaborazione in tal senso da parte del genitore collocatario, e a “…creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore” (così CUDU, Bondavalli c. Italia, ric. n°35532/12, sentenza del 17 novembre 2015, par. 81; in senso conforme CEDU, Macready c. Repubblica ceca, ric. nn°4824/06 e 15512/08, sentenza del 22 aprile 2010, par. 66), mediante l’adozione di “…misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti tra i genitori” (così, CEDU, Strumia c. Italia, ric. n°53377/13, sentenza del 23 giugno 2016, par. 110).

Un ultimo aspetto di fondamentale importanza sottolineato poi dalla Corte è che “per essere adeguate, le misure volte a riunire genitore e figlio devono essere attuate rapidamente, in quanto il decorso del tempo non può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il minore e il genitore non convivente (CEDU, Giorgioni c. Italia, ric. n°43299/12, sentenza del 15 settembre 2016, par. 63, CEDU, Bondavalli c. Italia, ric. n°35532/12, sentenza del 17 novembre 2015, par. 73; si veda anche CEDU, Lombardo c. Italia, ric. n°25704/11, sentenza del 29 gennaio 2013; CEDU, Santilli c. Italia, ric. n°51930/10, sentenza del 17 dicembre 2013). In tale ottica, qualora si ravvisino opposizioni del genitore collocatario all’esercizio del diritto di visita da parte dell’altro genitore, sarà “necessaria una risposta rapida a tale situazione tenuto conto dell’incidenza, in questo tipo di cause, del trascorrere del tempo, che può avere effetti negativi sulla possibilità per il genitore interessato di riallacciare un rapporto con il figlio (CEDU, Giorgioni c. Italia, ric. n°43299/12, sentenza del 15 settembre 2016, par. 70).

I sopramenzionati principi sono stati di recente recepiti dalla Suprema Corte di Cassazione nella recente sentenza 16 febbraio – 8 aprile 2016, n°6919, in cui ha opportunamente sottolineato come: «in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n. 18817/2015). Non può esservi dubbio che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rilevi la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore.

Ad avviso della Suprema Corte, quindi, gli ostacoli frapposti dal genitore all’esercizio del diritto di visita da parte dell’ex coniuge sono un elemento che deve essere valutato al fine di giudicare la sua capacità genitoriale, potendo legittimare anche l’affidamento del bambino all’altro genitore.

Che cosa fare dunque se il vostro ex compagno o ex coniuge vi impedisce di vedere vostro figlio secondo le modalità concordate o decise dal Tribunale? Denunciate subito l’accaduto tramite il vostro avvocato e chiede quanto prima la modifica delle modalità di affidamento. Come infatti chiarito dalla Cassazione, in tali casi “il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente/a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

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downloadTribunale di Modena, sez. II^, con sentenza del 26 gennaio 2016, si pronuncia in favore del c.d. affido “superesclusivo” di una ragazza alla madre, di nazionalità marocchina, a seguito dell’allontanamento del padre, anch’egli di nazionalità marocchina, dalla casa familiare e del suo rientro nel suo Paese d’origine, facendo perdere le sue tracce.

Il Tribunale modenese, investito della questione, procede preliminarmente ad accertare la competenza giurisdizionale, quale giudice del luogo dell’ultima residenza abituale dei coniugi in cui uno di essi risiedeva ancora, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n°2201/03 nonché dell’art. 3, co. 2, della legge n°218/95 e dell’art. 706 c.p.c.

Successivamente, il giudice, procede all’accertamento della legge applicabile al caso di specie, così come individuata dai criteri gerarchici previsti dal regolamento UE n°1259/2010, c.d. Roma III; accertando:

  • l’inapplicabilità della legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi al momento della proposizione della domanda, ex art. 8, lett. a) del Regolamento Roma III, essendo in tale momento il marito già allontanatosi dall’Italia;
  • l’inapplicabilità della legge della Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi, ex art. 8, lett. b) del Regolamento Roma III, essendo decorso più di un anno dall’allontanamento del marito;
  • l’inapplicabilità della legge dello Stato di nazionalità comune dei coniugi, ex art. 8, lett. c) del Regolamento Roma III, ovvero quella marocchina, in quanto non contemplante la separazione personale;
  • la conseguente applicazione del criterio residuale della legge del foro, ex art. 8, lett. d) del Regolamento Roma III, ovvero quella italiana.

Una volta accertata la propria competenza e l’applicabilità della legge italiana, la Corte modenese, esaminando la documentazione prodotta dalla ricorrente e alla luce dell’audizione del minore, reputa comprovata l’inidoneità del padre all’esercizio della responsabilità genitoriale, essendosi lo stesso “…reso irreperibile e del tutto assente nei rapporti con la minore, omettendo di contribuire al mantenimento della medesima e lasciandone l’onere integrale di cura, accudimento e mantenimento ordinario e straordinario alla moglie”, disponendo pertanto l’affidamento monogenitoriale ai sensi dell’art. 337 quater c.c. del minore alla sola madre.

In particolare, riportandosi alla celebre ordinanza 20/03/2014 del giudice milanese dott. Buffone, reputa altresì sussistenti gli elementi giustificativi del c.d. “affido superesclusivo”, di cui all’art. 337-quater comma III c.c., definito quale modulo di esercizio della responsabilità genitoriale, in cui si rimette “…al genitore affidatario anche l’esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali”. Il Tribunale specifica tuttavia che, essendo detto provvedimento incidente non già sulla titolarità della responsabilità genitoriale bensì unicamente sul suo esercizio, il genitore non affidatario conserva “…sempre il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 337-quater ultimo comma c.c.)”.

Passando da ultimo alle determinazione delle modalità di frequentazione tra il padre e il figlio, il Collegio, alla luce della condotta tenuta dal resistente, il quale era letteralmente sparito da più di tre anni, riconosce unicamente la “…possibilità per il padre, ove ne faccia richiesta, di vederla alla presenza della madre, previo accordo con quest’ultima e compatibilmente le esigenze scolastiche e ricreative della ragazza”.

 

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