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Con la recente ordinanza interlocutoria n°6025 del 28 febbraio 2023, la Suprema Corte, pronunciandosi sulla nullità di una notificazione eseguita all’Avvocatura di Stato ad un indirizzo pec diverso da quello risultante da ReGIndE, ha offerto ulteriori chiarimenti, ribadendo, in linea con il precedente orientamento:

  • che “…a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, la notificazione dell’impugnazione va eseguita all’indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE … “poiché solo quest’ultimo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’organizzazione preordinata all’effettiva difesa, non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c. la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo di PEC diverso da quello inserito nel ReGIndE”;
  • il seguente principio di diritto: “Il domicilio digitale previsto dall’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in I. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, -3- Ric. 2018 n. 35767 sez. M2 – ud. 18-09-2019 conv., con modif., in I. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi — alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dal/’l’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INIPEC)” (cfr Cass. n. 3709 del 2019)”.

Gli Ermellini, facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie hanno pertanto:

  • concluso ritenendo inidonea ad una corretta istaurazione del contraddittorio la notificazione del ricorso presso un indirizzo di posta elettronica dell’Avvocatura dello Stato diverso da quello inserito nel ReGIndE;
  • disposto la rinnovazione della notifica all’indirizzo pec risultante dal ReGIndE.

[:it]downloadCon una recente pronuncia, datata 28 settembre 2018, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, hanno ritenuto valida la notificazione eseguita all’indirizzo pec di un collega, risultante dall’Albo professionale di iscrizione, ancorché priva dell’inciso “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” nonché dell’indicazione del codice fiscale della parte nel cui interesse era stato notificato il provvedimento giudiziario.

La vicenda in esame

Un’Azienda Sanitaria Provinciale proponeva vittoriosamente opposizione avverso un decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Messina l’aveva condannata al pagamento di una cospicua somma di denaro per delle prestazioni di natura riabilitativa eseguite dalla creditrice, sulla scorta della dedotta operatività per tali prestazioni del sistema della c.d. regressione tariffaria. Detta decisione veniva tuttavia ribaltata in sede di Appello dal giudice di seconde cure, che riconoscendo l’esistenza del credito, confermava l’opposto decreto ingiuntivo. La sentenza della Corte d’Appello veniva notificata all’indirizzo pec del difensore in data 26 giugno 2015.

Il ricorso per Cassazione e l’eccezione di inammissibilità

Avverso detta pronuncia ricorreva per Cassazione l’Azienda Sanitaria Provinciale, “…con procedimento di notificazione del ricorso avviato il 14 marzo 2016”.

La controricorrente costituendosi, eccepiva l’inammissibilità del predetto ricorso, in quanto depositato – in palese violazione del termine di 60 giorni indicato nell’art. 352, co. 2, c.p.c. – a distanza di diversi mesi dalla notificazione della sentenza al procuratore costituito.

I difensori del ricorrente, al fine di impedire la decorrenza del termine “breve” di cui all’art. 352. co. II^ c.p.c., deducevano a loro volta la nullità della predetta notificazione in quanto:

  • l’indicazione dell’elenco da cui era stato tratto l’indirizzo di posta elettronica certificata del procuratore della parte, vale a dire l’Albo degli Avvocati del Foro di Messina, non corrisponderebbe ai “pubblici elenchi” previsti dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, art. 4 e art. 16, comma 12, di conversione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179”;
  • la notifica sarebbe viziata dall’omessa indicazione del codice fiscale della parte nonché dall’omessa indicazione della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994“.

La validità della notificazione eseguita all’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata dall’avvocato al proprio albo di appartenenza.

Di diverso avviso, tuttavia, sono le Sezioni Unite, ritenendo pienamente valida ed efficace la notificazione eseguita all’indirizzo pec risultante dall’albo professionale, sulla stregua della seguente condivisibile motivazione:

  • il D.L. n. 179 del 2012, all’art. 16 sexies, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, e rubricato “Domicilio digitale“, espressamente prevede che: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.
  • da un’interpretazione letterale della sopracitata norma, emerge con chiarezza che la stessa “…imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, certamente implica un riferimento all’indirizzo di posta elettronica risultante dagli albi professionali, atteso che, in virtù della prescrizione contenuta nel citato D.lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, commi 2 bis e 5, al difensore fa capo l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo all’ordine di appartenenza e a quest’ultimo è tenuto a inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE”;
  • detta interpretazione risulta corroborata da quanto espressamente previsto dall’art. 5 della L. n°53/1994: “… l’atto deve essere trasmesso a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo di posta elettronica certificata che il destinatario ha comunicato al proprio ordine, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

L’irrilevanza dei vizi di natura procedimentale qualora non comportino un pregiudizio per la decisione

 

Ad avviso della Suprema Corte non meritano parimenti apprezzamento le ulteriori censure operate dalla ricorrente, relative all’omessa indicazione del codice fiscale e della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994”.

Richiamando un proprio recente orientamento (Cass., Sez. U, 18 aprile 2016, n. 7665) gli Ermellini hanno chiarito, infatti, come in tema di notificazione in via telematica, vada privilegiato il raggiungimento dello “scopo della notifica, vale a dire la produzione del risultato della conoscenza dell’atto notificato a mezzo di posta elettronica certificata”, con conseguente l’irrilevanza dei vizi di mera natura procedimentale che non comportino “…una lesione del diritto di difesa, oppure altro pregiudizio per la decisione”.

E tali debbono considerarsi:

  • sia “la mancata indicazione nell’oggetto del messaggio di p.e.c. della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” costituente una “mera irregolarità, essendo comunque raggiunto lo scopo della notificazione, avendola il destinatario ricevuta ed avendo mostrato di averne ben compreso il contenuto” (sul punto vedasi anche Cass., 4 ottobre 2016, n. 19814);

sia “…l’omessa indicazione del codice fiscale (…) dovendosi per altro osservare che il principio desumibile dall’art. 156 c.p.c., comma 3, risulta recepito nella stessa L. n. 53 del 1994, che all’art. 11 prevede che la nullità delle notificazioni telematiche incorre qualora siano violate le relative norme (contenute negli articoli precedenti) “e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della n[:]

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downloadI fatti di causa:

La Suprema Corte – con ordinanza n°31207 del 29 Dicembre 2017, pubblicata il 28 aprile 2018 – si è pronunciata su un ricorso per cassazione proposto da una società avverso la sentenza con cui la C.d’A. dell’Aquila, confermando la decisione del Tribunale di Vasto, l’aveva condanna a risarcire i danni conseguenti alla mancata costituzione di un rapporto di lavoro con una sua dipendente, in ottemperanza a quanto era stato previamente disposto con provvedimento cautelare.

Nel predetto giudizio si costituiva la stessa lavoratrice, eccependo l’inammissibilità del predetto ricorso “…per tardività della notifica in quanto effettuata oltre le ore 21.00 dell’ultimo giorno utile. Su proposta del relatore, il Presidente della VI^ sezione fissava con decreto la camera di consiglio, al fine di chiarire “…se la notifica telematica effettuata dopo le 21.00 del giorno di scadenza del termine per proporre il ricorso sia o meno tempestiva”.

L’iter argomentativo seguito dalla Corte

Partendo dal dato legislativo, la Corte chiarisce come l’art.3-bis, comma 3, della L. n. 53 del 1994, aggiunto dalla L. n°221/2012, distingue “… la posizione di chi effettua la notifica e di chi la riceve, prevedendo che “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1, e per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’art. 6, comma 2″ medesimo D.P.R. 12. Quindi, per il soggetto notificante la notifica si perfeziona nel momento in cui la richiesta viene accettata dal sistema, generando la ‘ricevuta di accettazione’”.

Ratio della suddetta scissione discende dall’opportunità che non ricadano “…sul soggetto che effettua la notifica ritardi derivanti da meccanismi che egli non governa e sui quali non ha possibilità di incidere”.

Ciò chiarito, la Suprema Corte, interrogandosi sui “…termini entro i quali una notifica deve essere fatta e quindi, rimanendo nell’ottica del soggetto notificante, entro i quali egli deve richiedere la notifica”, rileva come lo stesso Legislatore del 2014, in sede di lavori parlamentari, si fosse interrogato sull’applicabilità alle notifiche telematiche del disposto dell’art. 147 c.p.c. – ai sensi del quale “Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21” – risolvendo la predetta questione mediante la previsione, operata con la  L. n°114/14, che: “La disposizione dell’art. 147 codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”, con conseguente “…applicabilità dei limiti temporali fissati dalla norma del codice per le notificazioni tradizionali anche alle notificazioni telematiche”.

Il legislatore, pertanto:

  1. ha esteso “…le delimitazioni di orario dettate per le notificazioni effettuate tramite ufficiale giudiziario anche alle notificazioni telematiche”;
  2. ha trasformato, nelle notificazioni telematiche “…quello che nell’art. 147 è un divieto di compiere materialmente l’atto in un meccanismo per cui la notificazione se viene comunque eseguita, ‘si considera perfezionata’ solo alle 7 del giorno dopo”;
  3. nel considerare perfezionate le notifiche telematiche eseguite dopo le ore 21 del giorno precedente dalle ore 7:00 del giorno successivo, “non ha distinto la posizione del notificante da quella del destinatario della notifica”.

Ad avviso degli Ermellini, a ciò consegue che, in applicazione della regola generale di cui all’art. 3-bis della L.53/94, nel caso di notifica telematica:

  • “…se il notificante ha richiesto la notifica prima delle 21 e la consegna è avvenuta dopo le 21, la notifica si è perfezionata quel giorno, in quanto rimane fermo che per lui ciò che vale è la ricevuta di accettazione della richiesta …”;
  • se invece egli ha richiesto la notifica dopo le 21, il perfezionamento, per espressa previsione normativa, si considera avvenuto alle 7 del giorno dopo”.

Detta interpretazione, ad avviso della Suprema Corte:

  • sarebbe, d’altronde, quella “…condivisa dalla maggior parte dei giudici di merito che si sono pronunciati e dalla Corte di cassazione nei suoi due precedenti: Cass. sez. lav., 4 maggio 2016, n. 8886 e Cass., sez. terza, 21 settembre 2017, n. 21915”;
  • non violerebbe il diritto di difesa del notificante “…che rimane nella medesima condizione di chi notifica con metodo tradizionale o di chi sceglie la notifica a mezzo posta ed è soggetto ai limiti di orario degli uffici postali”;
  • non violerebbe “…il principio di uguaglianza per il tramite di una pretesa irragionevolezza nel trattare in modo simile situazioni difformi, in quanto la possibilità di porre medesimi o analoghi limiti temporali a soggetti che scelgono di adottare tecniche di notifica diverse rientra nello spazio decisionale riservato al legislatore”.

La Corte, pertanto, conclude, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, alla luce del seguente condivisibile principio di diritto: “Ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-septies convertito con modificazioni nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, qualora la notifica con modalità telematiche venga richiesta, con rilascio della ricevuta di accettazione, dopo le ore 21.00, si perfeziona alle ore 7.00 del giorno successivo. È pertanto inammissibile, perchè non tempestivo, il ricorso per cassazione la cui notificazione sia stata richiesta, con rilascio della ricevuta di accettazione dopo le ore 21.00 del giorno di scadenza del termine per l’impugnazione”.

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[:it]downloadLa Suprema Corte è recentemente tornata sull’annosa questione dell’ammissibilità di un ricorso introduttivo notificato tramite un servizio di posta privato.

La vicenda trae origine dal ricorso per cassazione presentato da un avvocato avverso la pronuncia con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva confermato la pronuncia con cui il CTP di Napoli aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso in quanto notificato non a mezzo Poste Italiane bensì a mezzo di un suo competitor privato.

La Suprema Corte, tuttavia, conferma la pronuncia resa in primo grado e confermata dalla CTR Campania sulla scorta delle seguenti condivisibili argomentazioni:

  • antecedentemente all’entrata in vigore della legge 4 agosto 2017 n°124, il D.lgs. n°261/99, pur liberalizzando il settore dei servizi postali, ha stabilito che “…per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale, (cioè Poste Italiane S.p.A.) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con le notificazioni di atti giudiziari di cui alla L. 20.11.1982 n. 890 e successive modificazioni”… tra cui rientrano anche le notificazioni a mezzo posta degli atti tributari sostanziali e processuali;
  • la legge 4 agosto 2017 n°124, all’art. 1, comma 57, lett. b), disponendo l’abrogazione della citata norma, ha soppresso l’attribuzione in esclusiva alle Poste Italiane di tali servizi ma esclusivamente a decorrere dal 10 settembre 2017;
  • a ciò consegue l’inesistenza della notificazione del ricorso di primo grado eseguita anteriormente a tale data a mezzo posta privata, con conseguente insanabilità dello stesso mediante la costituzione in giudizio delle controparti (come chiarito dalle SS.UU. con le sentenze nn°13452 e 13453 del 29 maggio 2017).

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[:it]downloadLa Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°13870 del 1° giugno 2017 ritorna sull’annosa questione della validità delle notifiche effettuate mediante servizi postali privati.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da una creditrice, la cui domanda di ammissione al passivo di un fallimento era stata rigettata in quanto ritenuta tardiva, essendo stata proposta oltre il termine di 30 giorni decorrenti dalla comunicazione del Curatore dell’esito del procedimento di accertamento al passivo.

In particolare, la ricorrente lamentava l’omessa considerazione, da parte del Tribunale di primo grado, della nullità e/o inesistenza della predetta comunicazione in quanto effettuata “…trasmessa per il tramite di organismo diverso dal “fornitore del servizio universale”, ovvero da Poste Italiane, che fornisce l’intero servizio postale universale su tutto il territorio nazionale a norma del D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1 e 4”.

La Suprema Corte, investita della questione, condividendo la tesi della ricorrente, dichiara la nullità della predetta comunicazione sulla base dei seguenti condivisibili motivi:

  • l’art.97, comma 2 fall. (nel testo, qui da applicarsi, anteriore alle modifiche introdotte nel 2012), là dove prescrive che la comunicazione in questione “sia data tramite raccomandata con avviso ricevimento”, fa implicito riferimento al disposto del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, secondo cui “per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale: a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni; b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201)”;
  • l’unico fornitore del servizio universale (art. 1Lgs. n. 261cit.) è pertanto da ritenersi l’Ente Poste;
  • le comunicazioni, di contro, effettuate per il tramite di posta privata, devono ritenersi pertanto inidonee a fornire “…valida prova in ordine alla data di decorrenza iniziale -corrispondente a quella di consegna della comunicazione-, il termine per proporre l’opposizione non può considerarsi decorso al momento della proposizione”.

La Corte, pertanto, in accoglimento del ricorso, ha ritenuta pertanto nulla la comunicazione effettuata dal curatore a mezzo posta privata, “…atteso che le attestazioni redatte dagli incaricati di un servizio di posta privata non sono assistite dalla funzione probatoria che il già richiamato D.Lgs. n. 261 ricollega alla nozione di “invii raccomandati”, di talché la comunicazione effettuata mediante posta privata deve considerarsi inidonea.

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