[:it]

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 12 luglio 2011, n. 15291 si esprime in tema di responsabilità per danni da infiltrazioni, umidità e simili:

L’umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia compromessa l’abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell’edificio ai fini della responsabilità del costruttore, ex art. 1669 c.c..

Tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma, ex art. 2051 c.c., anche il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa.

In altri termini: – ai fini della responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., è necessaria una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso; qualora, pertanto, la cattiva coibentazione delle parti comuni si riverbera sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, il condominio non è responsabile allorquando tale difetto non sia dovuto alle caratteristiche intrinseche dell’edificio, ma ad altri fattori che causano effettivamente il danno.

[:]

[:it]

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14196 del 27 giugno 2011, ha confermato l’estensibilità della disciplina dettata dall’art.1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese di manutenzione e riparazione dei lastrici ad uso esclusivo, altresì alle c.d. terrazze a livello di proprietà esclusiva di un condomino.

Lastrici Solari e Terrazze a livello

È opportuno preliminarmente individuare le caratteristiche comuni e le differenze esistenti tra lastrici solari e terrazze. I primi, allo stesso modo dei tetti e delle terrazzi, svolgono una funzione di copertura. A differenza dei tetti tuttavia, tale funzione non è esclusiva, essendo gli stessi praticabili ed accessibili. Secondo l’art. 1117 c.c., inoltre, i lastrici solari rientrano a pieno titolo tra le parti comuni del condominio, con funzione preminente di copertura del fabbricato condominiale.

Le terrazze c.d. a livello invece si caratterizzano per una maggiore fruibilità. Esse sono delle superfici scoperte, delle proiezioni all’aperto dell’appartamento, tali da aumentarne espansione e comodità. Esse sono escluse dal novero dei beni di proprietà comune dell’edificio (cfr. sent Cass. n°8394 del 18 agosto 1990) in quanto esercitano, accanto alla comune funzione di copertura e coibentazione, altresì quella di calpestio e di affaccio dell’appartamento a livello verso l’esterno.

La controversia

Il proprietario di un appartamento sottostante il terrazzo a livello di proprietà esclusiva della condomina proprietaria altresì dell’appartamento soprastante, adiva in giudizio quest’ultima al fine di farla condannare al pagamento delle spese necessarie per eliminare le cause del fenomeno infiltrativo proveniente dalla suddetta terrazza e al risarcimento dei danni cagionati da dette infiltrazioni al suo appartamento. La convenuta costituendosi in giudizio affermava la necessità di ripartire tali spese, ai sensi dell’art.1126, tra i proprietari degli appartamenti sottostanti, in quanto questi ultimo godevano della funzione di copertura svolta dalla terrazza, pur essendo la stessa di sua proprietà esclusiva, e a tal fine chiedeva l’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo. Il Condominio, a sua volta costituendosi, eccepiva la carenza di legittimazione passiva in quanto i danni lamentati dall’attore erano stati causati, a suo avviso, dalla cattiva esecuzione di lavori straordinari effettuati dalla convenuta, il tutto senza preventiva autorizzazione da parte dello stesso condominio.

Il Tribunale accoglieva la domanda attrice, condannando la convenuta tanto ai lavori necessari per eliminare le cause del fenomeno infiltrativo quanto al risarcimento del danno. Parte convenuta non demordeva ed adiva la CdA, la quale, ribaltando la decisione, ascriveva la responsabilità dei danni esclusivamente in capo al condominio e ripartiva le spese tra i condomini in applicazione di quanto disposto dall’art. 1126 c.c..

Giunta in Cassazione, la pronunzia della CdA viene confermata. In particolare la Corte:

  • ha ritenuto pienamente applicabile la disciplina stabilita ex art. 1126 c.c. per i lastrici solari anche alle terrazze a livello di proprietà esclusiva, stante la comune funzione di copertura;
  • ha ritenuto non provato che i lavori eseguiti sulla terrazza avessero reso inidonea l’originaria impermeabilizzazione della terrazza stessa;
  • ha negato una responsabilità del proprietario del terrazzo ex art. 2051 c.c., non potendosi applicare al presente caso la disciplina dell’esonero della responsabilità del custode;

[:]

[:it]

La disputa riguarda la rottura dell’impianto idrico, unico per più condomini, ed la conseguente ripartizione di spesa per le opportune riparazioni.

In questo caso la Cassazione, con sentenza 9 giugno 2010 n. 13883 ha ritenuto applicabile  alla fattispecie l’art. 1117 c.c., n. 3, secondo cui gli impianti per l’acqua devono presumersi di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

In conseguenza di ciò, posto che la rottura si era verificata in un preciso punto nelle tubazioni afferenti a singoli edifici, la comunione non operava più e la spesa per il consumo abnorme conseguente non poteva essere ripartita tra tutti i partecipi del supercondominio.

[:]

[:it]Questi i principi esposti da Cassazione, Sez. III civile Sentenza 13 aprile 2010, n. 8697, in accoglimento delle difese articolate dal nostro Studio:

Del danno patito da persona il cui appartamento sia stato svaligiato da ladri, introdottivisi attraverso ponteggi installati per il restauro del fabbricato e privi sia di illuminazione che di misure di sicurezza, possono essere chiamati a rispondere non solo l’impresa che ha realizzato i ponteggi stessi e il condominio, ma anche il soggetto (nel caso di specie, società per azioni) che abbia eventualmente delegato la gestione e la manutenzione dell’immobile.

Infatti, nel caso di appalto, oltre il dovere di custodia e controllo delle opere da eseguire il committente e detentore del bene resta obbligato, ai sensi dell’art. 2051 c.c., a vigilare non solo sulla corretta esecuzione delle opere appaltate, ma anche sulla regolare installazione del ponteggio.
Tale responsabilità non può poi essere esclusa in ragione della presenza di clausole del contratto di appalto che, mettendo a carico dell’appaltatore tutti gli oneri ed obblighi in questione, sollevano il committente da ogni responsabilità, anche nei confronti dei terzi, in quanto siffatte pattuizioni, se spiegano efficacia nei rapporti tra le parti contraenti, non fanno venir meno la responsabilità nei confronti dei terzi posta dalla legge a carico del custode.
Considerando quanto la giurisprudenza ormai impone, appare evidente che l’amministratore del condominio non debba guardare soltanto al D.lgs n. 81 sulla sicurezza dei lavoratori, ma ai propri e molto vasti obblighi di custodia.[:]

[:it]Ancora una volta la Corte di Cassazione, con sentenza  22 settembre 2009, n. 20409 ha ribadito che in tema di possesso, l’utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un’area condominiale ai fini di parcheggio, non è tutelabile con l’azione di reintegrazione del possesso di servitù, nei confronti di colui che l’abbia recintata nella asserita qualità di proprietario. Per l’esperimento dell’azione di reintegrazione occorre infatti un possesso qualsiasi, anche se illegittimo e abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell’auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ossia la “realità”, in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come un’utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari. E ciò in quanto il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali(cosiddette “servitù irregolari”), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest’ultimo, si che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell’ambito del diritto d’uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato. In entrambi i casi, il diritto trasferito, attesane la natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di una ulteriore, apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene “asservito”.[:]

[:it]

In tema di condominio di edifici, il condomino che pretenda di vantare l’appartenenza esclusiva di un bene indicato nell’art. 1117 c.c., deve fornire la prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario consistente in un negozio o nell’usucapione (Cass. 19 ottobre 1998 n°10334).

Secondo Cass. 27 luglio 2009 n.17462 in tema di compossesso il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, sufficiente a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso “ad usucapionem”.

È invece necessario, ai fini dell’usucapione, manifestare il dominio esclusivo sulla “res” da parte dell’interessato attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui.

Detta prova, a carico di  chi invoca l’avvenuta usucapione del bene, è quanto mai difficile da fornire.

Al riguardo non sono sufficienti: – il godimento esclusivo dei beni in questione; – atti familiarmente tollerati dagli altri; – atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune; – atti di gestione consentiti al singolo partecipante; – lo svolgimento di lavori su tali immobili (come nel caso in cui il condomino abbia fatto eseguire lavori di ristrutturazione e di riparazione probabilmente a proprie spese su uno degli immobili per cui è causa; – o lo stesso, dopo un incendio, abbia provveduto a far eseguire sulla parte di immobile da lui abitato lavori di rifacimento dell’impianto idraulico, presentando domanda in Comune per ottenere l’autorizzazione necessaria per tali opere); non potendo rappresentare i comportamenti sopradescritti una situazione oggettivamente incompatibile con il possesso altrui  (cfr. sul punto, a titolo esemplificativo, Cass. 20 settembre 2007 n°19478; Cass. 15 giugno 2001 n°8152; Cass. 18 febbraio 1999 n°1367)

In altri termini: nel caso in cui il potere di fatto sulla cosa venga esercitato con la tolleranza altrui, esso non vale a costituire possesso ad usucapionem delle parti comuni (Cass. 11 maggio 2005 n. 16841),  sempre che si accerti la condiscendenza del dominus (in questo caso il condominio) derivante, ad esempio, da rapporti di cortesia o buon vicinato, e la consapevolezza, da parte del beneficiario, che il godimento può essere fatto cessare in qualsiasi momento con un atto di proibizione da parte del proprietario.

Tuttavia non può esserci mera tolleranza in presenza di situazioni di godimento della cosa altrui che incidano in maniera rilevante sulla stessa come la costruzione e l’utilizzazione di opere stabili.

E’ poi necessario distinguere fra possesso e custodia, dato che quest’ultima, essendo sostanzialmente una condotta di detenzione qualificata, non porta all’usucapione.

Si precisa, ad ogni buon fine, che l’usucapione non ha luogo, se la durata del tempo prevista dall’ordinamento, è stata sospesa o interrotta.

A norma dell’ art. 2943 c.c. la prescrizione viene dunque interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo oppure esecutivo, e anche nel caso in cui la domanda venga proposta nel corso di un giudizio già attivato.

[:]

© Copyright - Martignetti e Romano - P.Iva 13187681005 - Design Manà Comunicazione Privacy Policy Cookie Policy