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downloadLa Corte di Giustizia dell’Unione europea, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale del Tribunale regionale di Gorzów Wielkopolski (Polonia), ha affermato che “L’articolo 1, paragrafo 2, lettere k) ed l), nonché l’articolo 31 del regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, devono essere interpretati nel senso che essi ostano al diniego di riconoscimento, da parte di un’autorità di uno Stato membro, degli effetti reali del legato «per rivendicazione», conosciuto dal diritto applicabile alla successione, per il quale un testatore abbia optato conformemente all’articolo 22, paragrafo 1, di detto regolamento, qualora questo diniego si fondi sul motivo vertente sul fatto che tale legato ha ad oggetto il diritto di proprietà su un immobile situato in detto Stato membro, la cui legislazione non conosce l’istituto del legato ad effetti reali diretti alla data di apertura della successione”.

Il giudizio a quo

La pronuncia trae origine da una procedura iniziata da una cittadina polacca, residente in Germania, tesa ad ottenere la redazione da parte di un notaio tedesco di un testamento pubblico che prevedesse «…un legato “per rivendicazione”, consentito a norma del diritto polacco, a favore di suo marito, relativo alla quota di cui è proprietaria nell’immobile comune situato a Francoforte sull’Oder». Il notaio, tuttavia, si rifiutava ritenendo detto legato contrario alle normative e alla giurisprudenza tedesca relativa ai diritti reali e al catasto, proponendo alla sig.ra di ricorrere alla diversa figura del c.d. “legato obbligatorio”, previsto dall’art. 968 del codice civile tedesco, alla luce anche dell’adattamento dei legati per rivendicazione stranieri in legati obbligatori in virtù dell’art. 31 del regolamento 650/12/UE, che recita: «Se una persona invoca un diritto reale che le spetta secondo la legge applicabile alla successione e la legge dello Stato membro in cui il diritto è invocato non conosce il diritto reale in questione, tale diritto è adattato, se necessario e nella misura del possibile, al diritto reale equivalente più vicino previsto dalla legge di tale Stato, tenendo conto degli obiettivi e degli interessi perseguiti dal diritto reale in questione nonché dei suoi effetti».

La ricorrente decideva di presentare ricorso avverso tale rifiuto, ritenendo insussistenti giustificazioni tali da impedire il riconoscimento in Germania degli effetti reali del legato per rivendicazione e, dall’altro, escludendo la possibilità di ricorrere al legato “ordinario”, “…in quanto quest’ultimo comporterebbe difficoltà collegate alla rappresentanza dei suoi figli minorenni, che possono essere chiamati all’eredità, nonché costi aggiuntivi”.

A fronte del mancato accoglimento del predetto ricorso, la sig.ra Kubicka presentava analogo ricorso dinnanzi al Tribunale regionale di Gorzów Wielkopolski, il quale decideva di sospendere il giudizio e interrogare la Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla seguente questione: «… se l’articolo 1, paragrafo 2, lettere k) ed l), nonché l’articolo 31 del regolamento n. 650/2012 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano al diniego di riconoscimento, da parte di un’autorità di uno Stato membro, degli effetti reali del legato «per rivendicazione», conosciuto dal diritto applicabile alla successione, per il quale un testatore abbia optato conformemente all’articolo 22, paragrafo 1, di detto regolamento, qualora questo diniego si fondi sul motivo vertente sul fatto che tale legato ha ad oggetto il diritto di proprietà su un immobile situato in un altro Stato membro, la cui legislazione non conosce l’istituto del legato ad effetti reali diretti alla data di apertura della successione».

La pronuncia della Corte

La Corte di Giustizia, risponde negando l’esistenza di motivi ostativi al suo riconoscimento sulla base delle seguenti condivisibili argomentazioni:

  • Il 15° ‘considerando’ del regolamento in oggetto consente ad uno Stato membro di non riconoscere nel proprio ordinamento diritti reali previsti da ordinamenti stranieri su beni situati nel proprio territorio qualora non rientranti nel numerus clausus di quelli contemplati dal proprio ordinamento. Tuttavia, nella fattispecie, tanto il legato “per rivendicazione” previsto dal diritto polacco, quanto il legato “ordinario” previsto dal diritto tedesco, costituiscono mere modalità di trasferimento del medesimo diritto reale di proprietà, contemplato da ambedue gli ordinamenti nazionali;
  • A ciò consegue che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera k), del regolamento n. 650/2012 “…osta al diniego di riconoscimento in uno Stato membro, il cui ordinamento giuridico non conosce l’istituto del legato «per rivendicazione», degli effetti reali prodotti da un tale legato alla data di apertura della successione in applicazione della legge sulle successioni che è stata scelta dal testatore”;
  • Parimenti, non osta a tale riconoscimento il dettato dell’art. 1, paragrafo 2, lettera l), del regolamento n. 650/2012, in quanto, poiché «…riguarda solo l’iscrizione in un registro dei diritti su beni mobili o immobili, compresi i requisiti legali relativi a tale iscrizione, e gli effetti dell’iscrizione o della mancata iscrizione di tali diritti in un registro, le condizioni alle quali tali diritti sono acquisiti non rientrano tra le materie escluse dall’ambito di applicazione di tale regolamento in virtù di tale disposizione».
  • Alla luce di quanto sopra esposto la Corte conclude dichiarando che: «L’articolo 1, paragrafo 2, lettere k) ed l), nonché l’articolo 31 del regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, devono essere interpretati nel senso che essi ostano al diniego di riconoscimento, da parte di un’autorità di uno Stato membro, degli effetti reali del legato «per rivendicazione», conosciuto dal diritto applicabile alla successione, per il quale un testatore abbia optato conformemente all’articolo 22, paragrafo 1, di detto regolamento, qualora questo diniego si fondi sul motivo vertente sul fatto che tale legato ha ad oggetto il diritto di proprietà su un immobile situato in detto Stato membro, la cui legislazione non conosce l’istituto del legato ad effetti reali diretti alla data di apertura della successione».

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downloadCari amici Gengle,

di recente alcuni di voi mi hanno chiesto di spiegare quali possono essere le “giuste” armi da usare al fine di convincere il proprio ex inadempiente a versare il mantenimento dovuto per i figli. Nelle prossime righe proverò a fornirvi una risposta quanto più esauriente, distinguendo tra tutela penale e civile.

È necessario ricorrere subito dinnanzi al Tribunale?

No. In generale consiglio, come primo passo, di fare inviare una lettera di diffida e messa in mora, invitando il genitore inadempiente a versare il mantenimento arretrato, comprensivo di rivalutazione I.S.T.A.T. Molto spesso, infatti, l’effetto dissuasivo della lettera del vostro legale di fiducia potrebbe sortire gli stessi effetti con notevole risparmio di tempo e di denaro.

NB: per quanto attiene alla rivalutazione I.S.T.A.T. è importante che vi ricordiate che la stessa, se non richiesta tempestivamente, si prescrive nell’arco di 5 anni.

E se il mio ex non risponde o si rifiuta?

In tal caso, in virtù del provvedimento del Tribunale che regolamenta il mantenimento, sarà possibile agire in via esecutiva contro il vostro. A tal fine occorrerà notificargli dapprima un precetto di pagamento e successivamente scegliere tra gli strumenti individuati dal legislatore, quali il pignoramento dei suoi conti correnti, il pignoramento mobiliare ovvero immobiliare.

E se l’esecuzione è infruttuosa?

Se le azioni esecutive non hanno dato i frutti sperati non temete! Di recente, infatti, è stato istituito un apposito Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno, a cui è possibile accedere. Occorre però sottolineare come tale possibilità risulta allo stato “ristretta” esclusivamente ai soli coniugi separati. Ulteriore aspetto problematico riguarda la capienza del fondo, pari a soli ad euro 250.000 per l’anno 2016 ed euro 500.000 per l’anno 2017. Sul punto vi rimando al mio precedente articolo dedicato proprio a questo Fondo.

Ci sono rimedi per prevenire futuri inadempimenti?

Ci sono anche rimedi previsti dal codice civile al fine di garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni di mantenimento, quale, ad esempio, richiedere al giudice di disporre l’ordine diretto di pagamento al terzo debitore del coniuge inadempiente. Questi terzi, di solito, sono il datore di lavoro dell’ex ovvero il conduttore di un appartamento di sua proprietà. L’importante è che il terzo sia un debitore di una somma determinata, indipendentemente dal fatto che sia una prestazione periodica o meno. Il presupposto, come chiarito dalla Corte di Cassazione (tra le tante Cass. n°23668/06), al fine di poter ottenere un ordine di pagamento diretto, consiste nell’idoneità del comportamento dell’ex inadempiente a suscitare dubbi sull’esattezza e regolarità del versamento in futuro del mantenimento.

In caso di inadempienza, inoltre, è possibile ottenere il sequestro dei beni dell’ex obbligato al mantenimento ai sensi dell’art. 156, comma 6 c.c.. Il vantaggio, rispetto al sequestro conservativo, è la necessità di dimostrare unicamente il fatto oggettivo dell’inadempimento, a prescindere dunque dalla dimostrazione del periculum in mora, ovvero la prova della gravità dell’inadempimento e/o l’intento di sottrarsi all’obbligo. Requisito necessario, tuttavia, è che vi sia già un provvedimento del giudice che stabilisca l’assegno di mantenimento.

Qualora poi l’ex inadempiente sia proprietario di beni immobili, sarà possibile procedere all’iscrizione di ipoteca giudiziale sul bene, garantendo così il mantenimento futuro.

L’inadempimento può essere sanzionato penalmente?

Per alcune persone il rischio di una condanna penale è un deterrente ben più forte rispetto alle tutele civilistiche. Il nostro codice penale, all’art. 570 c.p., prevede, infatti, la possibilità di condannare il coniuge in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Detto articolo, al comma 1, statuisce infatti che: “Chiunque abbandona il domicilio domestico o, comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centrotre a milletrentadue euro.” Il successivo comma 2 chiarisce che “Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

Occorre però fare un’ulteriore precisazione. La Corte di Cassazione, con sentenza del 19 gennaio 2017 n°2666, pronunciandosi sulla richiesta di condanna di un ex non sposato per il parziale versamento del mantenimento per il figlio minore, ha ritenuto l’art. 570, co. 2, c.p. non applicabile ai genitori non coniugati.

Occorre altresì rilevare che, per venire condannato, il coniuge deve essere stato mosso dalla volontà di non adempiere e l’inadempimento deve essere considerato di non scarsa rilevanza.

È possibile fare sanzionare il genitore inadempiente anche in sede civile?

Certamente. L’art. 709 ter c.p.c. prevede, infatti, che “…In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore odo ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

1) ammonire il genitore inadempiente;

2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;

4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 a favore della Cassa delle ammende.

E se il mio ex vuole trasferirsi all’estero per sottrarsi all’obbligo di mantenimento?

Non temete! Il genitore inadempiente è solito recarsi all’estero, la revoca del suo passaporto potrebbe essere un’arma decisamente efficace. L’art. 12, secondo comma, della legge 21 novembre 1967, n. 1185 e successive modifiche dispone infatti che: “Il passaporto è altresì ritirato quando il titolare si trovi all’estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire la prova dell’adempimento degli obblighi alimentari […] che riguardino i discendenti di età minore…”. A tal fine basterà non dare il proprio consenso al rilascio del passaporto o, qualora sia già stato dato, revocare il proprio consenso attraverso una semplice dichiarazione in questura. Quest’ultima dovrà individuare puntualmente l’inadempimento e il rischio di fuga e terminare con una dichiarazione del seguente tenore: “revoco il mio assenso all’espatrio del sig./della sig.ra ____ e chiedo il ritiro del passaporto, l’inibitoria all’utilizzo di ogni documento riconosciuto equipollente al passaporto ai fini dell’uscita dal territorio della Repubblica italiana, nonché l’adozione di ogni provvedimento atto ad impedirne l’uscita dal territorio nazionale”.

Questo strumento, ancora poco usato, può avere in numerosi casi un’importante effetto deterrente, inducendo il genitore inadempiente a versare il mantenimento.

La violazione degli obblighi di mantenimento ha effetti sull’affido?

Infine, la violazione costante degli obblighi di mantenimento potrebbero legittimare l’affido superesclusivo del figlio minore all’altro genitore ai sensi dell’art. 337 quater c.c., come recentemente ribadito dal Tribunale di Modena, con sentenza del 26 gennaio 2016

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[:it]A seguito all’entrata in vigore della Legge di conversione n°132 del 6 agosto 2015 è oggi possibile per i creditori presentare  al presidente del Tribunale una richiesta di autorizzazione all’accesso diretto alle banche dati utilizzate dalla pubblica amministrazione come l’Anagrafe Tributaria, gli archivi dell’INPS, il PRA, l’anagrafe dei conti correnti etc…..(in generale a tutti gli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121), baypassando così l’intervento dell’ufficiale giudiziario.

Questa possibilità è stata prevista in via derogatoria per un anno, nell’attesa che il Ministero adotti i decreti attuativi previsti dalla legge; da quel momento in poi solo gli ufficiali giudiziari avranno la possibilità di ricercare i beni da pignorare  ed accedere alle banche dati.

L’istanza va presentata con ricorso ex art. 492 bis c.p.c. diretta al Presidente del Tribunale e va iscritta a ruolo.

È un procedimento di volontaria giurisdizione quindi si deve pagare il contributo unificato previsto per i procedimenti camerali.

Vanno depositati unitamente all’istanza: 1) il titolo esecutivo in originale; 2) il precetto di pagamento notificato (devono essere decorsi i 10 giorni dalla notifica e il precetto deve essere ancora valido).

Il presidente del Tribunale autorizza il creditore alla ricerca.

Dopodiché l’istanza, munita del decreto di autorizzazione, va presentata direttamente presso le Pubbliche Amministrazioni titolari delle banche dati, per poter effettuare l’accesso.

Il creditore deve anticipare le spese.

In allegato uno dei primi provvedimenti emessi dal Presidente f.f. del Tribunale di Roma.[:]

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