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La Suprema Corte di Cassazione, sez. III^, con sentenza n°5353 del 21 febbraio 2023, ha offerto preziosi chiarimenti circa la validità e i limiti, anche ratione temporis, delle c.d. “side letters”, ovvero le scritture private sottoscritte dai coniugi (o da genitori non sposati) integranti le condizioni dei provvedimenti in materia familiare.

Gli Ermellini, in particolare:

  • riconoscono, in virtù del principio di autonomia consacrato nell’art. 1322 c.c., l’astratta possibilità per le parti di sottoscrivere le c.d. “side letters”, “…con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare” (Cass. civ., Sez. I^, sent. 20 agosto 2014, n. 18066, Rv. 632256-01);
  • le predette scritture possono anche integrare il contenuto dei provvedimenti separatizi e/o divorzili, ad esempio mediante la modifica della “…disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l’altro genitore” (Cass. Sez. 1, ord. 24 febbraio 2021, n. 5065, Rv. 660758-01).;
  • il contenuto delle predette può anche consistere nell’interpretazione extra-testuale di un titolo esecutivo purchè: a) “…che non sovrapponga la propria valutazione in diritto a quella del giudice del merito” (Cass. Sez. 3, sent. 5 giugno 2020, n. 10806, Rv. 658033-02)”; B), “…l’esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione“;
  • la validità temporale delle statuizioni ivi contenute, qualora concluse “a latere” del ricorso per separazione, può permanere anche successivamente al divorzio tra le parti.

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classmates-snack-time-1465989-1279x1251La I^ sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6471/2020, ha chiarito che “Il diritto–dovere di visita del figlio minore che spetta al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all’art. 614 bis c.p.c. trattandosi di un potere–funzione che, non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra, ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., una ”grave inadempienza”, è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono, anche, all’interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata”.

Il caso:

La Corte d’Appello di L’Aquila, con decreto, confermava il provvedimento con cui il giudice di prime cure:

  • aveva sanzionato il padre ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. per inadempimento rispetto al diritto/dovere di visita;
  • aveva quantificato in euro 100,00 la somma da versare alla madre per ogni futuro inadempimento di tale obbligo.

Il ricorso per cassazione

Il padre, visto il decreto della Corte d’Appello, propone ricorso per cassazione sostenendo che le statuizioni di coercizione indiretta previste dall’art. 614 bis c.p.c. non sarebbero applicabili agli obblighi di frequentazione della prole, poiché al diritto del minore a ricevere la visita del genitore corrisponderebbe il diritto potestativo non coercibile di quest’ultimo, rimesso alla sua disponibilità e, in ogni caso, non assoggettabile ai provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ed alle sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.c..

La decisione della Suprema Corte:

La I^ sezione, investita della questione, con ordinanza n. 6471/2020, ha accolto il ricorso alla luce delle seguenti condivisibili motivazioni:

  • a differenza del diritto generale delle obbligazioni, caratterizzato per l’apprestamento di un rimedio ordinamentale coercitivo a fronte dell’inadempimento del debitore – nel diritto di famiglia, il diritto–dovere del genitore di far visita al figlio minore, di cui all’art. 316 c.c., si caratterizza per la sua intensa strumentalità rispetto alla realizzazione degli interessi superiori del minore stesso;
  • la predetta posizione giuridica del genitore:
  • in quanto diritto, e quindi nella sua declinazione attiva, è tutelabile ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. rispetto ai comportamenti dell’altro genitore che siano tali da ostacolare l’altrui diritto di visita del figlio;
  • in quanto dovere, e quindi nella sua declinazione passiva, resta fondata sull’autonoma e spontanea osservanza del genitore interessato nell’ambito della propria capacità di autodeterminazione e sempre in vista dell’attuazione del superiore interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata, e, come tale, non è suscettibile né di coercizione indiretta ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. – che presuppone un provvedimento di condanna non compatibile con la posizione giuridica del genitore – né dei rimedi di cui all’art. 709 ter c.p.c. che prevede ipotesi di risarcimento a fronte di un danno già integrato e non una coercizione preventiva e indiretta di un dovere nel caso di una sua inosservanza futura.

La Suprema Corte evidenzia, altresì:

  • che “…l’emanazione di un provvedimento ex art. 614 bis c.p.c. si pone in evidente contrasto con l’interesse del minore il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello alla sua frequentazione”;
  • la non coercibilità del dovere di visita del genitore non collocatario non vale ad escludere che al mancato suo esercizio non conseguano effetti, potendo comportare l’affidamento esclusivo in capo all’altro genitore, la decadenza o l’adozione di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, la responsabilità penale per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiarequando le condotte contestate, con il tradursi di una sostanziale dismissione delle funzioni genitoriali, pongano seriamente in pericolo il pieno ed equilibrato sviluppo della personalità del minore”.

Di qui, la decisione della Suprema Corte di cassare senza rinvio il provvedimento impugnato.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Terella

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a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4La II^ sezione del Tribunale Civile di Bergamo, con decreto del 26 settembre 2018, ha chiarito che, nonostante la mancanza di un’espressa previsione in tal senso da parte della legge n°3/2012, tra i soggetti che posso accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento debba annoverarsi anche la famiglia, intesa come “…ente collettivo costituito dai debitori appartenenti alla famiglia in crisi da sovraindebitamento”, e ciò, “…in particolare quando lo squilibrio finanziario derivi proprio dalla gestione della vita in comune dei suoi membri”.

Nel caso di specie, Il Tribunale lombardo aveva disposto la riunione delle due procedure, introdotte dai coniugi con due distinti ricorsi, in cui ognuno aveva chiesto, la liquidazione del loro patrimonio ex artt. 14 ter e segg. L. 3/12 come modificata dal D.L. 179/12, alla luce:

  • di ragioni di economia processuale;
  • della circostanza che la maggior parte dei debiti riguardava obbligazioni solidali dei due coniugi;
  • del fatto che la maggior parte dei beni immobili costituenti il patrimonio immobiliare dei coniugi era in comproprietà tra gli stessi.

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downloadIl legislatore, con legge n°69/2009 ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 614 bis c.p.c., quale deterrente di natura economica agli inadempimenti di obblighi difficilmente coercibili, con il quale il giudice, su istanza di parte, può condannare l’obbligato al pagamento di un somma “…per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento” [1].

Detta misura è stata recentemente invocata da un padre in un giudizio, in cui era stato convenuto e relativo alla modifica delle condizioni di divorzio, al fine di sanzionare la madre ogni qualvolta la stessa non garantisse il diritto del padre di vedere e tenere con sé le figlie.

I fatti di cui è causa

Con ricorso depositato in data 10 gennaio 2017, un’ex moglie, madre di due figlie minori con essa conviventi, adiva il Tribunale di Mantova al fine di veder modificate le statuizioni in punto di mantenimento per le due figlie minori, con un aumento del mantenimento da € 800,00 ad € 900,00 nonché una rideterminazione delle modalità e dei tempi di visita padre-figlie, all’esito dell’accertamento della capacità genitoriali e delle ragioni che avevano spinto le ragazzine a non voler incontrare il padre nell’arco dell’ultimo anno.

Si costituiva in giudizio il padre, chiedendo il rigetto della domanda di controparte relativa all’aumento dell’assegno di mantenimento in favore delle figlie, alla luce di una diminuzione del proprio reddito, chiedendo altresì, all’esito dell’accertamento delle capacità genitoriali, la condanna della stessa “…a pagare ai sensi e per gli effetti dell’art. 614 bis c.p.c., la somma che il Tribunale riterrà di giustizia per ogni violazione o inosservanza dei provvedimenti di cui all’emanando decreto o per ogni ritardo nell’esecuzione di detti provvedimenti”, eccependo come la moglie, dall’epoca della separazione, avesse costantemente ostacolato i rapporti padre-figli.

La decisione

Il Tribunale mantovano, investito della questione, all’esito dell’istruttoria accoglieva in parte la domanda di riduzione del mantenimento avanzata dal padre, alla luce della (parzialmente) comprovata riduzione dei suoi redditi da lavoro, rigettando invece la domanda volta alla condanna del coniuge ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. ritenendola inammissibile – “[P]ur essendo noto il fatto che in alcuni casi la giurisprudenza di merito ha ritenuto applicabile il disposto della norma richiamata, a sanzione di comportamenti ostruzionistici del genitore collocatario all’esercizio del diritto di visita del genitore con il quale il figlio non convive stabilmente, ritiene il Tribunale che tale misura di coercizione indiretta sia inammissibile nei procedimenti aventi ad oggetto l’adozione di provvedimenti ex art. 337 bis e ss. c.c. – alla luce della seguente motivazione:

  • la sanzione di cui all’art. 614 bis c.p. “…può accedere pertanto unicamente a sentenze di condanna ad un obbligo (determinato) di fare o di non fare”;
  • di contro, “…i ‘provvedimenti riguardo ai figli’ che il Tribunale deve adottare ai sensi dell’art. 337 terc., in relazione al regime di affidamento, alla regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, ed alla determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, non comportano alcuna statuizione di “condanna” a carico dell’uno o dell’altro genitore;
  • “…[i]n particolare la determinazione dei periodi di permanenza dei figli presso il genitore con il quale non convivono stabilmente, e quindi le modalità in cui si esplica il diritto/dovere del genitore non collocatario di tenere con sé i figli, non costituisce provvedimento di condanna del genitore collocatario all’esecuzione di obblighi determinati di fare o di non fare”;
  • “[L]a competenza ad accertare inadempimenti ai provvedimenti ex artt. 337 bis e ss. c.c. o comportamenti che comunque ‘arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento’ spetta peraltro esclusivamenteal giudice del procedimento in corso’ o al Tribunale in composizione collegiale, e non certamente al giudice dell’esecuzione (in sede di eventuale opposizione a precetto ex art. 614 bis c.p.c.), come espressamente previsto dall’art. 709 ter c.p.c., che disciplina il procedimento relativo e stabilisce le specifiche sanzioni applicabili, in ipotesi di accertata violazione”;
  • ad ogni modo, le risultanze del giudizio avevano chiarito l’addebitabilità unicamente al padre dei mancati incontri padre-figlie.

In conclusione, ad avviso della parte, la domanda di condanna ex art. 614 bis c.p.c. “…in via preventiva, ed in assenza di qualsiasi statuizione di condanna della ricorrente all’esecuzione di un ‘facere’ o di un ‘non facere’, è quindi inammissibile”.

[1] L’art. 614 bis c.p.c., recita, al 1° comma: “Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento(2). Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”; e al 2° comma: “Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.

Tribunale di Mantova, decreto del 12 luglio 2018

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[:it]a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Il primo agosto 2018, nel pieno dell’estate, è giunto in Senato il disegno di legge n°735 del 2018, c.d. DDL “Pillon”, dal nome del suo primo firmatario. Il disegno di legge si pone l’obiettivo di modificare radicalmente il diritto di famiglia, partendo dalla ripartizione paritetica dei tempi di permanenza dei figli, sino alle sue conseguenze in punto di assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare.

Le origini europee del DDL

Nella relazione al DDL Pillon sono presenti diversi richiami alla risoluzione n°2079 del 2015 del Consiglio d’Europa, rubricata “Equality and shared parental responsibility: the role of fathers” (equità e responsabilità genitoriale condivisa: il ruolo dei padri), e che rappresenta la pietra miliare in Europa della necessità di garantire tempi paritetici dei figli con entrambi i genitori.

Detta risoluzione, di cui l’Italia è firmataria, afferma infatti:

  • che la separazione di un genitore dal figlio ha effetti irrimediabili sulla loro relazione e, pertanto, la stessa dovrebbe essere ordinata esclusivamente dall’autorità giudiziaria e solo in casi eccezionali configuranti un rischio grave per l’interesse della prole[1];
  • che una responsabilità parentale condivisa aiuterebbe a superare gli stereotipi di genere relativi ai ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna nella famiglia, riflettendo pertanto i cambiamenti sociologici che hanno preso piede negli ultimi 50 anni[2];
  • contiene infatti l’espresso invito agli Stati membri ad assicurare l’effettiva eguaglianza tra genitori anche attraverso la promozione della c.d. “shared residence”, definita quale “…forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”.

Alla luce delle predette riflessioni, la risoluzione in oggetto, ancorché non vincolante, ha chiamato gli Stati membri ad una serie di adempimenti e novelle legislative, tra le quali:

  • introdurre nei propri ordinamenti il principio della “shared residence” a seguito della separazione, limitando a casi eccezionali di particolare gravità (quali abusi sui minori o violenza domestica), l’adozione di forme alternative[3];
  • incoraggiare e sviluppare la mediazione in tutti i casi concernenti minori[4];
  • incoraggiare accordi tra i genitori al fine di permettere a questi ultimi di determinare essi stessi i principali aspetti relativi alla vita dei figli, consentendo altresì agli stessi minori di poter richiedere una revisione di detti accordi, nella misura in cui abbiano effetti sugli stessi, con particolare riferimento al luogo della loro residenza[5];

Lo scopo

Il DDL in questione, nella visione dei suoi ideatori, mira ad adeguare il diritto di famiglia alle esigenze delle sempre più frequenti famiglie mono o pluri-genitoriali, nate dalle ceneri di precedenti unioni, così come individuate dalla risoluzione n°2079 del 2015 del Consiglio d’Europa.

I firmatari del DDL hanno infatti rilevato come la legge n°54 dell’8 febbraio 2006 e la sua applicazione da parte dei tribunali nazionali abbiano di fatto portato ad un affido “condiviso” solo nella forma e non anche nella sostanza, non potendosi considerare “materialmente” condiviso quello prevedente un collocamento prevalente del minore presso uno dei due genitori con tempi di permanenza presso il genitore non collocatario inferiori al 30%.

Dati alla mano, infatti, emerge che in Italia:

  • la percentuale di affidi di minori c.d. “paritetici” risulti pari ad appena 1-2 %, a fronte di medie superiori al 20% in paesi quali Belgio (20%) e Svezia (28%);
  • quella di affidi “materialmente condivisi” (ovvero con tempi di permanenza presso il genitore non collocatario pari o superiori al 30%), si limiti ad appena il 3-4% dei casi, a fronte di medie superiori al 30% in paesi quali Belgio (30%) e Svezia (40%);
  • quella, di contro, di affidi “materialmente esclusivi”, pari ad oltre il 90%, a fronte di medie inferiori al 50% in paesi quali Belgio (50%) e Svezia (30%).

Le principali novità

Il DDL, in estrema sintesi, mira ad apportare le seguenti significative modifiche al diritto di famiglia così come oggi lo conosciamo.

1) affido condiviso c.d. alternato

Il minore passerà, salvo che non sia contrario al suo interesse, periodi di permanenza pressoché paritetici con ciascuno dei genitori, con conseguente venir meno della figura del genitore collocatario.

2) mantenimento diretto

Quale conseguenza della ripartizione più equilibrata tra i genitori dei compiti genitoriali e del tempo da trascorrere con i figli, cambieranno anche le modalità di mantenimento dei figli. Di fatti, sarà sempre da preferire il c.d. mantenimento diretto al posto della forma indiretta, consistente nel tradizionale assegno da versare al genitore collocatario. È opportuno specificare come il mantenimento diretto riguardi solo le c.d. spese ordinarie, e non già quelle straordinarie, che resteranno ripartite tra i genitori, presumibilmente in misura proporzionale rispetto alle condizioni reddito-patrimoniali dei genitori.

3) venir meno dell’assegnazione della casa familiare

Con la soppressione della figura del genitore collocatario verrà altresì meno l’assegnazione della casa familiare, che resterà nella disponibilità del proprietario. Nei casi, assai frequenti, di case cointestate, si applicherà, pertanto, la disciplina codicistica della comunione di cui agli artt. 1100 e ss. c.c. I minori avranno conseguentemente due residenze, presso le case dei rispettivi genitori.

4) mediatore familiare e coordinazione genitoriale

Viene istituzionalizzata la figura del mediatore familiare, individuandone requisiti, sancendo espressamente l’obbligo di riservatezza, definendo durata e condizioni del procedimento di coordinazione genitoriale, definita come “…processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sulle esigenze del minore, svolta da professionista qualificato, che integra la valutazione della situazione conflittuale, l’informazione circa i rischi del conflitto per le relazioni tra genitori e figli, la gestione del caso e degli operatori coinvolti, la gestione del conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni e assumendo, previo consenso dei genitori, le funzioni decisionale”.

A riguardo, rimane da chiarire il ruolo che l’avvocato ricoprirà in sede di mediazione, essendo prevista la sola eventualità della sua presenza e la possibilità che il mediatore, su accordo delle parti, possa “chiedere” agli avvocati di non partecipare agli incontri successivi al primo incontro, salvo poi richiederne la presenza al momento della stipulazione dell’eventuale accordo.

5) piano genitoriale

Il DDl mira altresì a introdurre l’istituto del piano genitoriale, al fine di aiutare “… i genitori a evitare contrasti strumentali e a concentrarsi sulla centralità dei figli…”. Detto strumento, definito quale “…autentico strumento di lavoro sul quale padre e madre saranno chiamati a confrontarsi per individuare le concrete esigenze dei figli minori e fornire il loro contributo educativo e progettuale che riguardi i tempi e le attività della prole e i relativi capitoli di spesa”, dovrà essere puntualmente indicato dai genitori nel ricorso introduttivo. In mancanza di accordo tra i genitori, sarà il Tribunale ad approvare eventualmente il piano non condiviso presentato da uno dei genitori, a modificarlo ovvero ad adottarne uno ex novo “…determinando i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi dovrà contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli sulla base del costo medio dei beni e servizi per i figli individuato su base locale alla luce del costo medio della vita come calcolato dall’ISTAT, individuando le spese ordinarie, le spese straordinarie e attribuendo a ciascun genitore specifici capitoli di spesa, dando applicazione al protocollo nazionale sulle spese straordinarie”.

6) ascendenti

Il DDL, agli articoli 11 e 17, mira altresì a tutelare i rapporti dei minori con i propri ascendenti:

  • consentendo agli ascendenti di “…far sentire la loro voce…” mediante un intervento “ad adiuvandum”, nelle forme di cui all’art. 105 c.p.c.;
  • prevendendo la possibilità per il giudice, su istanza di parte, di adottare provvedimenti volti a conservare “…rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

7) alienazione genitoriale

Il DDL si pone l’obiettivo di contrastare la c.d. alienazione genitoriale, prescindendo da una sua compiuta definizione e dalle polemiche sorte circa la sua esistenza.

In particolare, all’art. 17 è prevista l’applicabilità, con decreto e su istanza di parte, di uno o più provvedimenti ex art. 342 ter e quater, “nell’esclusivo interesse del minore – anche quando – pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori – il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi”.

I precedenti in Italia

A ben vedere, il Tribunale di Brindisi, già nel 2017, aveva riformato le linee guida della sezione famiglia alla luce proprio dei principi ispiratori del DDL Pillon. Anche il Tribunale pugliese, già un anno fa, aveva fondato dette linee guida sulla presa di coscienza della mai avvenuta applicazione dei principi portanti della riforma introdotta con legge n°54 del 2006, in primis il principio della c.d. bigenitorialità, nonché del pregiudizio che il collocamento prevalente ha non solo sul legame figlio – genitore non collocatario ma anche sulla serena e corretta crescita dei figli.

 Segnali favorevoli all’affidamento alternato si rinvengono anche nel Tribunale di Milano che, già due anni orsono, nella persona del noto magistrato dott. Buffone affermava in un articolo pubblicato sul sito Altalex il 13 luglio 2015 che “…salvo diversi accordi dei genitori, i figli minori hanno diritto a trascorrere pari tempi di permanenza presso l’uno e l’altro genitori a prescindere dalla residenza”.

[1]For a parent and child, being together is an essential part of family life. Parent–child separation has irremediable effects on their relationship. Such separation should only be ordered by a court and only in exceptional circumstances entailing grave risks to the interest of the child”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[2] “…developing shared parental responsibility helps to trascend genter stereotypes about roles supposedly assigned to women and men within the family and is simply a reflection of the sociological changes that have taken place over the past fifty years in terms of how the private and family sphere is organised”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[3] “…introduce into their laws the principle of shared residence following a separation, limiting any exceptions to cases of child abuse or neglect, or domestic violence, with the amount of time for which the child lives with each parent being adjusted according to the child’s needs and interests”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[4] “…encourage and, where appropriate, develop mediation within the framework of judicial proceedings in family cases involving children, in particular by instituting a court-ordered mandatory information session, in order to make the parents aware that shared residence may be an appropriate option in the best interests of the child, and to work towards such a solution, by ensuring that mediators receive appropriate training and by encouraging multidisciplinary co-operation based on the “Cochem model”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220

[5] “…encourage parenting plans which enable parents to determine the principal aspects of their children’s lives themselves and introduce the possibility for children to request a review of arrangements that directly affect them, in particular their place of residence”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220[:]

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kate-separatedIl Tribunale civile d’Ancona, si è recentemente pronunciato su una delle questioni più comuni che sorgono a seguito della disgregazione della famiglia “tradizionale” fondata sul matrimonio e dall’instaurazione di nuovi rapporti sentimentali da parte dell’ex moglie e l’ex marito: la debenza, o meno, dell’assegno divorzile.

Come sottolineato più volte negli ultimi anni dalla Suprema Corte, infatti, una mera relazione, priva dei caratteri di stabilità, non fa venir meno, di per sé, il diritto al c.d. assegno divorzile. Diverso discorso, invece, nel caso in cui l’ex moglie o l’ex marito si siano risposati ovvero abbiano creato una “nuova famiglia”. In tale caso infatti, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude” (sul punto, ex multis Cass. n°6855/2015 e n°2466/2016).

Secondo il condivisibile principio sopraesposto, la Suprema Corte, ha inteso:

  • privare di ogni rilevanza l’esistenza o meno dell’elemento formale del vincolo matrimoniale, al fine di appurare se la nuova unione possa o meno definirsi quale “nuova famiglia” – e ciò conformemente a quanto più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ex multis, Corte EDU, Vallianatos c. Grecia del 7 novembre 2013);
  • valorizzare la scelta libera e consapevole di chi, dopo il divorzio, decida di farsi non solo una nuova vita bensì anche una nuova famiglia, liberando conseguentemente l’ex coniuge da ogni dovere, anche di natura economica ed assistenziale, derivante dall’oramai sciolto vincolo matrimoniale;
  • responsabilizzare l’autore di tale scelta, escludendo che l’ex marito o l’ex moglie possano, in caso di fallimento della successiva unione – in particolar modo se more uxorio, dalla cui eventuale rottura, come noto, non discende per i partner alcun diritto ad assegni alimentari o di mantenimento a carico dell’ex partner – pretendere nuovamente una assistenza economica da parte dell’altro ex coniuge.

La vicenda in esame

Il caso sottoposto al Tribunale marchigiano vede contrapposto un ex marito che, stanco di versare un assegno divorzile alla propria ex moglie – la quale da tempo aveva instaurato una relazione more uxorio con un nuovo uomo e che si rifiutava immotivatamente di accettare o ricercare essa stessa posizioni lavorative che le permettessero di acquistare un’indipendenza economica – adiva l’autorità giudiziaria al fine di veder modificati i provvedimenti divorzili e revocato, o quantomeno ridotto significativamente, l’assegno mensilmente versato.

L’ex moglie si costituiva in giudizio opponendosi all’accoglimento della domanda, contestando l’esistenza di una stabile convivenza, eccependo l’impossibilità per motivi di salute a lavorare e chiedendo in via riconvenzionale l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli, maggiorenni ma ancora non economicamente dipendenti.

Sulla prova della creazione di una nuova famiglia e la conseguente revoca dell’assegno divorzile.

La pronuncia del Tribunale di Ancona appare di particolare interesse per le considerazioni espresse dal giudicante in merito alla valenza delle prove fornite dalle parti a riprova e a confutazione dell’esistenza di una “nuova famiglia”.

In particolare, ad avviso del Tribunale marchigiano l’esistenza di una stabile convivenza risultava comprovata alla luce:

  1. dell’ammissione della resistente circa l’esistenza di un legame affettivo perdurante da anni e dalla mancata contestazione dell’inizio della suddetta relazione dopo la sentenza di divorzio;
  2. delle fotografie pubblicate sui social network raffiguranti la nuova coppia, non contestate dalla resistente;
  3. dei periodi di vacanza dagli stessi trascorsi insieme (a nulla rilevando la ripartizione delle relative spese tra i partner);
  4. della relazione investigativa in atti.

Con particolare riferimento alla suddetta relazione investigativa, il Tribunale, pur riconoscendo alla stessa mero valore indiziario, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n°11516/2014), riteneva che le relative risultanze potessero ciò non di meno essere liberamente apprezzate dal giudice di merito e fossero utili al fine del decidere in quanto confermate dalle altre evidenze probatorie e attestanti la non occasionalità della frequentazione nonché la sua risalenza del tempo. Di fatti, dalla predetta investigazione emergevano plurimi elementi atti a confermare la natura della stabile convivenza e, in particolare:

  • il libero accesso del partner alla casa della resistente, anche quando quest’ultima era assente;
  • il pernottamento dello stesso presso la casa della resistente;
  • la circostanza che detta casa fosse punto di arrivo e di partenza della coppia in occasione dei loro viaggi insieme.

Di contro, alcun valore poteva attribuirsi alla tesi dell’asserita natura occasionale della predetta relazione, sostenuta invano dall’ex moglie in quanto:

  1. l’asserita circostanza che il partner avesse solo occasionalmente utilizzato la casa della resistente poiché erano in corso i lavori di ristrutturazione della propria abitazione, corroborava – anziché smentire – la tesi attorea “…posto che nell’impossibilità di utilizzare la propria abitazione lo stesso ha fatto riferimento proprio alla abitazione della compagna”;
  2. la mera sussistenza di un’abitazione propria del partner non escludeva tout court…la natura della stabile convivenza e la sussistenza di un comune progetto di vita”;
  3. le evidenze anagrafiche, parimenti, non avevano “…rilievo dirimente al fine di escludere la convivenza o la natura stabile di essa…” non potendosi fare dipendere l’accertamento della sussistenza del diritto all’assegno divorzile da risultanze anagrafiche che ben potrebbero essere inficiate da condotte strumentali delle parti.

Alla luce degli elementi sopra raffigurati e dell’adeguatezza dei redditi del nuovo partner, come ammesso dalla stessa resistente, il Tribunale ha pertanto ritenuto di poter affermare che quest’ultimo “…goda di proventi sufficienti per creare con la signora quella comunanza di risorse economiche che giustifica la revoca dell’assegno divorzile…”.

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a9ca56cc71bfe3ce1a405ec2c7699cf4Il Tribunale di Mantova, con provvedimento del 10 maggio 2018, ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sull’affido e mantenimento di un minore nato fuori dal matrimonio, in favore del giudice del luogo di residenza abituale dello stesso.

Come chiarito infatti nel provvedimento, è territorialmente competente a pronunciarsi su un ricorso ex art. 337 bis c.c. unicamente il giudice del luogo di residenza abituale del minore.

Ad avviso del Tribunale lombardo, infatti, ciò risulta chiaramente alla luce:

  • dell’art. 38 disp. att. c.c., il quale dispone “… che nei procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e segg. c.p.c.”;
  • dell’applicazione, , in mancanza di più specifiche indicazioni normative, del criterio giurisprudenziale che individua il giudice competente “…in quello del luogo in cui ha il domicilio il soggetto della cui situazione giuridica si discute;
  • dell’espressa contemplazione da parte dell’art. 709 ter c.p.c. del criterio della residenza abituale del minore;
  • della conformità del predetto criterio “…al principio di prossimità previsto dalla legislazione comunitaria”, di cui all’art. 15 regolamento CE n. 2201/2003.

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