La Suprema Corte di Cassazione, sez. III^, con sentenza n°5353 del 21 febbraio 2023, ha offerto preziosi chiarimenti circa la validità e i limiti, anche ratione temporis, delle c.d. “side letters”, ovvero le scritture private sottoscritte dai coniugi (o da genitori non sposati) integranti le condizioni dei provvedimenti in materia familiare.

Gli Ermellini, in particolare:

  • riconoscono, in virtù del principio di autonomia consacrato nell’art. 1322 c.c., l’astratta possibilità per le parti di sottoscrivere le c.d. “side letters”, “…con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare” (Cass. civ., Sez. I^, sent. 20 agosto 2014, n. 18066, Rv. 632256-01);
  • le predette scritture possono anche integrare il contenuto dei provvedimenti separatizi e/o divorzili, ad esempio mediante la modifica della “…disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l’altro genitore” (Cass. Sez. 1, ord. 24 febbraio 2021, n. 5065, Rv. 660758-01).;
  • il contenuto delle predette può anche consistere nell’interpretazione extra-testuale di un titolo esecutivo purchè: a) “…che non sovrapponga la propria valutazione in diritto a quella del giudice del merito” (Cass. Sez. 3, sent. 5 giugno 2020, n. 10806, Rv. 658033-02)”; B), “…l’esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione“;
  • la validità temporale delle statuizioni ivi contenute, qualora concluse “a latere” del ricorso per separazione, può permanere anche successivamente al divorzio tra le parti.

La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°3432 del 3 febbraio 2023, ha chiarito che le c.d. minicar non sono assimilabili a ciclomotori e, pertanto, non possono sostare negli spazi destinati alla sosta dei veicoli a due ruote.

La vicenda in esame trae origine dall’impugnazione di un verbale con cui era stata contestata la violazione dell’art. 7, commi 1 e 14, del C.d.S. a seguito della sosta di una minicar negli spazi riservati a cicli e motocicli.

La sanzione viene impugnata, senza successo sino in Cassazione dai proprietari del veicolo, “forti” di innumerevoli pronunce con cui il Giudice di Pace di Roma aveva accolto analoghe loro opposizioni, ritenendo le minicar equiparabili ai motocicli e, pertanto, legittimate a sostare negli spazi ad essi riservati.

Di diverso avviso gli Ermellini, che respingono il ricorso osservando che “…correttamente, la sentenza di appello ha sufficientemente motivato nel ritenere, conformemente alla decisione di primo grado, che, nella fattispecie, non poteva trovare applicazione – in relazione al tipo di veicolo in questione, un microcar a quattro ruote – la disciplina di cui all’art. 52 c.d.s., con la conseguente legittimità del verbale di accertamento opposto, con cui era stata rilevata la violazione del divieto di sosta in uno spazio riservato esclusivamente a cicli e motocicli (e non anche a motoveicoli, nei quali si ricomprende il citato microcar, per come evincibile dalla previsione di cui al successivo art. 53, lett. h, c.d.s. e dalla stessa annotazione della tipologia del mezzo risultante dalla carta di circolazione)”.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sul ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate, che riteneva non esente da imposte l’atto di cessione di quote societarie, generatore di una plusvalenza, attuato tra due coniugi, nell’ambito di un accordo di separazione, ritenendo che l’indirizzo giurisprudenziale venutosi a consolidare negli ultimi dieci anni, favorevole ad una applicazione generalizzata dell’esenzione a qualsivoglia accordo funzionalmente subordinato alla negoziazione complessiva dei rapporti tra i coniugi a momento della loro separazione, aveva ad oggetto i soli trasferimenti immobiliari.

La Suprema Corte, con l’allegata ordinanza 23623/2022, depositata il 7 settembre 2022, ha respinto il ricorso dell’Ente impositore sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • l’art. 19 della Legge n°74 del 1987, che ha introdotto nuove norme in punto di divorzio, dispone che “tutti gli atti, i  documenti  ed  i  provvedimenti  relativi  al procedimento di scioglimento del matrimonio  o  di  cessazione  degli effetti civili del matrimonio nonché’ ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere  la  corresponsione  o  la  revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e  6  della  legge  1°  dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo,  di  registro  e  da ogni altra tassa”;
  • la Corte Costituzionale, con sentenza 29 aprile-10 maggio 1999, n. 154 ha successivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 “nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”;
  • “va riconosciuta l’applicabilità dell’esenzione di cui alla n. 74 del 1987 a tutti gli atti e a tutte convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge” (cfr., tra le tante, Cass. 14157/2013, 3110/2016, 13840/2020 e 3074/2021)”;
  • “è, quindi, del tutto irrilevante il fatto che l’accordo patrimoniale concluso in sede di separazione abbia ad oggetto la cessione di quote sociali, piuttosto che il trasferimento di beni immobili, con applicazione di tributi indiretti. La norma esentativa, infatti, non opera alcuna distinzione tra atti aventi ad oggetto beni immobili e atti riferiti a beni mobili, nè l’art. 19 1. 74/1987 contiene una limitazione dell’ambito di operatività del regime di esenzione alle sole imposte indirette”.

avv. Marzia Capomagi

Come noto, la nuova formulazione dell’art. 543 c.p.c. ha introdotto l’ulteriore onere in capo al creditore procedente di notificare, a pena di inefficacia del pignoramento, l’avviso di iscrizione a ruolo tanto al debitore quanto ai terzi pignorati.

In particolare, a seguito della novella di cui all’art. 1, comma 32, della Legge 206/2021, sono stati introdotti commi 5 e 6, che prevedono rispettivamente:

  • che “Il creditore, entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento, notifica al debitore e al terzo l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura e deposita l’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione. La mancata notifica dell’avviso o il suo mancato deposito nel fascicolo dell’esecuzione determina l’inefficacia del pignoramento” (comma 5).
  • che “Qualora il pignoramento sia eseguito nei confronti di più terzi, l’inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l’avviso. In ogni caso, ove la notifica dell’avviso di cui al presente comma non sia effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento” (comma 6).

 

Negli scorsi mesi, tuttavia, è sorta una grande confusione tra gli addetti circa la necessità che il predetto avviso fosse notificato unicamente tramite UNEP, con conseguente preclusione ai difensori della facoltà di procedere alla notifica in proprio, a seguito di una nota diramata dal Ministero di Giustizia (Nota del Ministero 20 settembre 2022 IV-DOG/03-1/2022/CA), in cui quest’ultimo inquadrava il predetto tra gli “…adempimenti che vanno a perfezionare l’intera procedura del pignoramento presso terzi, l’attività posta in essere dal funzionario UNEP/ufficiale giudiziario va configurata nell’ambito dell’esecuzione forzata e i relativi atti di notifica dell’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura al debitore e al terzo sono da iscrizione nel registro cronologico…”.

 

Immediata la reazione del CNF, seguita da diversi Consigli dell’Ordine, che, con nota del 26 settembre 2022:

  • chiariva preliminarmente l’inesistenza di un registro dell’esecuzione forzata;
  • evidenziava come, dal tenore letterale dell’art. 543, comma 5, c.p.c., “…tale avviso non possa essere considerato un atto di esecuzione proprio dell’Ufficiale Giudiziario visto che essa recita testualmente che “il creditore (…) notifica (…) e deposita” l’avviso in parola” e che “La parte {e solo la parte} viene individuata come soggetto onerato della notifica dell’avviso, che è atto proprio del difensore che provvede a formarlo e sottoscriverlo”;
  • rappresentava pertanto che “l’avviso da notificarsi in ottemperanza al nuovo art. 543 c.p.c. è formato e sottoscritto solo dalla parte o da suo difensore e non certo dal “funzionario UNEP/ufficiale giudiziario” evocato nel parere in oggetto: quindi, tale avviso non può essere atto di esecuzione, ma, atto di parte da notificarsi a cura del “creditore” e poi versarsi agli atti del processo”.

 

La querelle, fortunatamente, è stata ricomposta dallo stesso Ministero che, con successiva nota dell’8 novembre scorso, in risposta alle legittime contestazioni sollevate:

  • ha precisato che la precedente nota ministeriale “ha un valore esclusivamente interno all’Amministrazione giudiziaria e attinente alla gestione delle risorse umane (in particolare per quanto attinente all’inquadramento dell’attività svolta dal personale UNEP in quanto richiesta dalla parte procedente) e non incide minimamente sul sistema processuale“;
  • ha ulteriormente chiarito che, “il contenuto della suddetta non lascia intendere in alcuna sua parte – né sarebbe la sedes materiae competente – alcuna immutazione della ordinaria disciplina dell’iscrizione a ruolo del pignoramento presso terzi e della notifica del relativo avviso al debitore e al terzo pignorato“.

Avv. Luigi Romano

Le Sezioni Unite, con l’allegata sentenza 33645/2022, pubblicata in data 15 novembre 2022, hanno posto fine al contrasto giurisprudenziale sussistente in ordine alla questione della risarcibilità del danno da occupazione abusiva di un immobile e del conseguente onere probatorio a carico del danneggiato.

Detto contrasto giurisprudenziale vedeva contrapposi due orientamenti: il primo (fatto proprio, tra l’altro, dalla Seconda sezione civile della Cassazione) che considerava il danno in re ipsa o presunto ed oggetto di una presunzione iuris tantum, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile; il secondo (sposato dalla Terza sezione civile della Cassazione), ispirato alla teoria causale del danno, che affermava che il danno da occupazione abusiva, quale danno conseguenza, debba essere invece allegato e provato da parte del danneggiato, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici.

In entrambi i casi dunque, il danno subito dal proprietario a seguito di una illegittima occupazione di un immobile era comunque sempre oggetto di una presunzione correlata alla normale fruttuosità del bene.

La Sezioni Unite, nel risolvere il suddetto contrasto di orientamenti, fanno propria la tesi giurisprudenziale sposata dalla più recente giurisprudenza della Seconda Sezione civile, statuendo i seguenti principi di diritto:

  • il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da occupazione abusiva consiste proprio nella impossibilità per lo stesso di esercitare il diritto di godimento del bene, diretto o indiretto (dunque cedendolo a terzi dietro corrispettivo). Tale fatto va allegato dall’attore danneggiato ed a fronte di tale allegazione il convenuto ha l’onere di specificamente contestare il fatto che il proprietario avrebbe mai esercitato il diritto di godimento che assume aver perduto. Solo in presenza di tale specifica contestazione avversaria, sorge a carico del danneggiato l’onere della prova dello specifico godimento perso, che può essere assolto mediante il ricorso a presunzioni semplici o nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
  • Quanto alla liquidazione del danno “sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore di godimento della cosa”.
  • Resta fermo il diritto del danneggiato al risarcimento del danno da mancato guadagno, ove comprovato da quest’ultimo, da intendersi come “lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato e che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente a quello di mercato”, con la precisazione che, “ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato, l’onus probandi anche in questo caso può naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o le presunzioni semplici”.

Avv. Marzia Capomagi

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