La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°3432 del 3 febbraio 2023, ha chiarito che le c.d. minicar non sono assimilabili a ciclomotori e, pertanto, non possono sostare negli spazi destinati alla sosta dei veicoli a due ruote.

La vicenda in esame trae origine dall’impugnazione di un verbale con cui era stata contestata la violazione dell’art. 7, commi 1 e 14, del C.d.S. a seguito della sosta di una minicar negli spazi riservati a cicli e motocicli.

La sanzione viene impugnata, senza successo sino in Cassazione dai proprietari del veicolo, “forti” di innumerevoli pronunce con cui il Giudice di Pace di Roma aveva accolto analoghe loro opposizioni, ritenendo le minicar equiparabili ai motocicli e, pertanto, legittimate a sostare negli spazi ad essi riservati.

Di diverso avviso gli Ermellini, che respingono il ricorso osservando che “…correttamente, la sentenza di appello ha sufficientemente motivato nel ritenere, conformemente alla decisione di primo grado, che, nella fattispecie, non poteva trovare applicazione – in relazione al tipo di veicolo in questione, un microcar a quattro ruote – la disciplina di cui all’art. 52 c.d.s., con la conseguente legittimità del verbale di accertamento opposto, con cui era stata rilevata la violazione del divieto di sosta in uno spazio riservato esclusivamente a cicli e motocicli (e non anche a motoveicoli, nei quali si ricomprende il citato microcar, per come evincibile dalla previsione di cui al successivo art. 53, lett. h, c.d.s. e dalla stessa annotazione della tipologia del mezzo risultante dalla carta di circolazione)”.

Il Consiglio di Stato è stato recentemente chiamato ad interpretare la portata dell’art. 40, comma 1, lett. c) del d.lgs. n°151 del 26 marzo 2001, chiarendo se il riconoscimento di periodi di riposo al padre lavoratore dipendente di un figlio di minore di anni uno, di cui al precedente art. 39, debba intendersi limitato al solo caso espressamente previsto “in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, ovvero estendersi a “qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla ‘casalinga’, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale” e se “in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’articolo 40 del d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre ‘casalinga’, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi”.

La Corte, in sessione plenaria, con sentenza n°17/2022, depositata il 28 dicembre 2022, ripercorre i previgenti e contrastanti orientamenti giurisprudenziali e, operando un condivisibile “bilanciamento tra diritti’, connessi alla genitorialità ed al economico sacrificio imposto al datore di lavoro” enuncia il seguente condivisibile principio di diritto: “L’articolo 40, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, laddove prevede che i periodi di riposo di cui al precedente articolo 39, sono riconosciuti al padre lavoratore dipendente del minore di anni uno, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, intende riferirsi a qualsiasi categoria di lavoratrici non dipendenti, e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare, senza che sia necessario, a tal fine, che ella sia impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato, ovvero sia affetta da infermità”.

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