[:it]Un istruttore di volo, poco più che trentenne,  è stato investito e letteralmente schiacciato da un veicolo industriale a seguito di una manovra imprudente, subendo lesioni personali gravissime, con conseguenti invalidità permanenti.

Il giovane ha quindi convenuto  in giudizio la società proprietaria del veicolo e la compagnia assicuratrice per ottenere un  equo risarcimento,

I giudici di primo e secondo grado, pur affermando la totale responsabilità del conducente, calcolavano una somma ritenuta dal ricorrente insufficiente al completo ristoro dei danni da lui patiti.

L’uomo è quindi ricorso per Cassazione lamentando che il mancato riconoscimento del danno esistenziale e l’inadeguata liquidazione del danno morale erano dovuti ad una mera valutazione tabellare del danno biologico e non quindi come autonomamente rilevante.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione con sentenza 22 settembre 2015, n. 18611 ha accolto il ricorso con rinvio affermando che i giudici di merito, negando la dovuta valutazione autonoma del danno morale rispetto al danno biologico, avevano sottovalutato “le componenti fisiche, psichiche e spirituali del dolore umano” che meriterebbero una considerazione distinta e ulteriore rispetto al mero calcolo tabellare. Ha aggiunto la Cassazione che “la personalizzazione non deve essere  pro quota, ma ad personam”.

E ciò in quanto i danni esistenziale e morale, inevitabilmente caratterizzati dalle più diverse e singolari sfaccettature immateriali, non possono essere valutati sulla base di meri calcoli empirici e tabellari, ma necessitano di una stima caso per caso e autonoma rispetto al danno biologico.

La Corte Suprema, nell’affrontare la problematica, ha evidenziato il calibro costituzionale delle dinamiche inter-relazionali e di vita partecipativa, descritte dall’articolo 3 della Costituzione

Ad avviso dei giudici di legittimità, dette dinamiche erano venute meno nel giovane a causa delle lesioni subite e detta perdita ha integrato la definizione che le Sezioni Unite hanno fornito in passato di danno esistenziale, comportando  un’ “ingiustizia costituzionalmente qualificata”.

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[:it]Niente risarcimento del danno per la donna caduta nella crispta di una chiesa in pieno giorno.

 Lo afferma la Sezione VI-3 della Corte di Cassazione, con sentenza 9 ottobre 2015 n. 20366, precisando  che, ai fini di cui all’art. 2051 cod. civ., il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa impone un obbligo massimo di cautela, proprio poiché il pericolo è altamente prevedibile.

E tale prevedibilità con l’ordinaria diligenza è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.

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[:it]Il danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi del d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, art. 15 (cd. codice della privacy), pur causato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli art. 2 e 21 cost., e dall’art. 8 Cedu, è subordinato alla verifica della «gravità della lesione» e della «serietà del danno» (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato). Infatti, anche per questo diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà previsto dall’art. 2 Cost., «di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato». Pertanto, non è la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del Codice della privacy (modalità del trattamento e requisiti dei dati) a determinare una lesione ingiustificabile del diritto, ma soltanto quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva.

Nel caso di specie, il convenuto doveva legittimamente considerarsi interessato ai risvolti patrimoniali ed assicurativi del sinistro stradale verificatosi tra la moglie e l’attore, essendo, da una parte, marito in regime di comunione dei beni e, dall’altra, titolare della polizza assicurativa.
Essendo stata la responsabilità dell’incidente attribuita alla donna, il convenuto vedeva peggiorare il bonus-malus ed aumentare il premio assicurativo.

Di qui l’interesse ad interloquire con le compagnie assicuratrici.

A ciò si aggiunga che, ai sensi della l. n. 990/1969 sull’assicurazione obbligatoria, il proprietario di un veicolo è tenuto ad esporre sul mezzo il contrassegno contenente tutti gli estremi del veicolo stesso, del titolare del contratto e della società assicuratrice.

Pertanto, secondo l’art. 24, lett. c), d.lgs. n. 193/2006, è lecito effettuare il trattamento, senza il consenso dell’interessato, dei dati personali provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque.

Non c’è stato, quindi, ad avviso della sentenza 3 marzo 2015, n. 4231, nella fattispecie in esame, alcun illecito trattamento di dati personali, ma esclusivamente una semplice comunicazione di dati che erano serviti solo alla identificazione della controparte.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.[:]

[:it]

Il committente denuncia  la presenza di vizi dell’opera prima in sede di  Accertamento Tecnico Preventivo, poi in sede di merito

Si arriva sino in Cassazione e alla Corte vengono formulati i seguenti quesiti di diritto:

– «se il tentativo da parte dell’appaltatore di eliminare i contestati vizi ed i difetti dell’opera, costituisce implicito riconoscimento della loro esistenza»;

– «se il termine di decadenza per la denuncia dei vizi e dei difetti inizia a decorrere non già con l’insorgenza di un dubbio circa la loro esistenza bensì dall’oggettiva certezza della loro esistenza anche attraverso il deposito di accertamento tecnico preventivo».

Risponde la Corte di Cassazione, con sentenza 13 ottobre 2015 n. 20500:

in ordine al primo quesito la Suprema Corte ritiene non condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale la semplice attività posta in essere dall’appaltatore per l’eliminazione dei vizi debba configurarsi (sempre e comunque) come riconoscimento degli stessi – con valore esonerativo dalla tempestività della denuncia – atteso che questa può rivestire tale connotazione in relazione alla natura ed evidenza del vizio ed allo specifico atteggiamento assunto dall’imprenditore per la sua eliminazione. Nello specifico, dalla lettura della sentenza di secondo grado, emergeva solo che vi sarebbero stati degli interventi “in corso d’opera” (e quindi prima di una qualsiasi possibilità di revisione terminale delle opere) ed altri sarebbero stati di manutenzione (per l’impianto di riscaldamento), mentre, sarebbe stato determinante, per dare applicazione a quell’indirizzo interpretativo invocato dai ricorrente, che i lavori fossero stati completati e fossero stati – sotto questo aspetto – idonei ad essere consegnati per l’accettazione al cliente.

Qualora invece l’appalto si interrompa per qualunque ragione va valutato caso per caso se, a quel momento, i lavori già ultimati fossero di per sé insuscettibili di ulteriori interventi di adattamento o revisione in vista del collaudo

Quanto al secondo quesito, «… la Corte intende dare continuità al principio in base al quale la generica esistenza dei vizi – e dunque la loro percezione da parte del committente – non può determinare l’insorgenza dell’obbligo di denuncia ai sensi dell’art 1667 cod civ., laddove non vi sia la piena consapevolezza della loro entità e del rapporto eziologico con la condotta dell’appaltatore».

In altri termini. Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti.

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[:it]Lui la saluta a un passo dal matrimonio.

La  ragazza aveva ovviamente già comprato l’abito da sposa, si era fatta carico degli arredi per la casa coniugale, di proprietà di lui, aveva fatto eseguire,  quasi in toto a sue spese, i lavori di ristrutturazione della casa, da lei stessa condotti come geometra.

Per la Cassazione – sentenza 15 ottobre 2015 n. 20889/15 – è giusto che lui paghi e risarcisca anche i danni.

Secondo la sentenza, il fidanzato, non avendo dato una valida motivazione per il suo comportamento, deve rifondere alla donna € 16.000,00, per il costo dell’abito, degli arredi e della ristrutturazione della futura abitazione coniugale perché si tratta di esborsi legati da un nesso eziologico all’ingiustificato inadempimento della promessa.

Si tratta, infatti, di esborsi tutti collegati in un rapporto di causa-effetto con le nozze mandate a monte e la responsabilità dell’uomo si configura per l’ingiustificato inadempimento alla promessa di matrimonio.

Inutilmente l’uomo, che avrebbe confessato alla futura sposa – a pochi giorni dalle nozze – di avere un’altra relazione, per evitare il risarcimento, ha tentato di far accreditare la tesi secondo cui sarebbe lei ad avere un’altra relazione: c’era perfino un teste pronto a confermare di aver visto la ragazza in atteggiamenti compromettenti con un’altra persona.[:]

[:it]La Cassazione, con sentenza  15 ottobre 2015, n. 20895, enuncia il seguente principio di diritto: nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto, allo scopo di rendere verificabile a posteriori l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, e di permettere i verificare se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo.

Conseguentemente, per garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale la suprema Corte, in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizione di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.[:]

[:it]

L’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.106/E del 13 ottobre 2010 in base alla quale anche le spese processuali, liquidate in sentenza dal giudice, rientrano nel reddito al punto da applicare la ritenuta d’acconto sulle dette somme ai sensi del combinato disposto dell’art. 6 del TUIR e dell’art. 25 del DPR 600/1973. Tale decisione dell’Agenzia torva spunto da “indirizzo amministrativo risalente alla risoluzione del Ministero del Finanze n.10/927 del 25.7.1974 …, alla circ. Min. Fin.ze n.203 del 6.12.1994, alla ris. n. 106/E del 19.9.2006 … e dalla giurisprudenza (Cass. Civ, SS. UU. N. 9332 del 25.10.1996).”
Perciò il mancato pagamento delle ritenute potrebbe giustificare un avviso di accertamento in rettifica delle maggiori imposte dovute, qualora il professionista abbia dedotto le spese processuali nel periodo d’imposta in cui le ha sostenute. Viceversa “il professionista che non abbia dedotto le spese processuali nel periodo d’imposta in cui le ha sostenute può recuperare la maggiore imposta versata presentando dichiarazione integrativa, ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, o istanza di rimborso, ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 602 del 1973”.

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[:it]Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza 14 settembre 2010 n. 19510, hanno risolto un conflitto giurisprudenziale, ritenendo ammissibile la proposizione dell’appello incidentale da parte del difensore munito di procura alle liti rilasciata all’interno dell’atto d’appello notificato alla controparte.

Secondo i Giudici di legittimità:

  1. la posizione dell’avvocato che propone appello incidentale è del tutto assimilabile a quella del difensore che propone domanda riconvenzionale, legittimato a proporre tutti gli atti e le domande comunque ricollegabili all’oggetto della controversia.
  2. è preferibile garantire maggiormente il diritto di azione e di difesa dell’appellato consentendo al difensore la facoltà di porre in essere tutto quanto in proprio potere per il migliore e puntuale espletamento dell’incarico difensivo ricevuto;
  3. si deve, parallelamente, soddisfare anche esigenze di economia processuale secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi stabiliti dagli articoli 24 e 111 Cost.

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