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Addio all’assegno divorzile per una donna di 46 anni, in buone condizioni di salute ma con poca voglia di attivarsi per trovare un lavoro.

Vittoria definitiva, quindi, per l’ex marito, liberatosi dall’obbligo di versare alla ex moglie 200 euro ogni mese.

Inutilmente il legale della donna ha rappresentato ai Giudici che la sua cliente era ormai “fuori mercato” non avendo mai lavorato durante gli anni del matrimonio; «il tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio»; «l’aumento dell’età della donna» con conseguente «difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro, da cui si è allontanata circa venti anni prima». Inutilmente il difensore ha contestato l’astratta valutazione di «idoneità all’attività lavorativa» della sua cliente, sostenendo che, comunque, «anche ove ella avesse ripreso a svolgere attività lavorativa, ciò non le avrebbe potuto assicurare l’indipendenza economica».

I Giudici della Cassazione, con ordinanza 2 dicembre 2020 – 4 febbraio 2021, n. 2653, condividono la linea tracciata dalla Corte di Appello, che ha «tenuto conto dell’età, non particolarmente avanzata, della donna (46 anni), dell’assenza di patologie o condizioni di salute ostative all’attività lavorativa – addetta alle pulizie – già svolta occasionalmente, nonché della situazione economica complessiva» e, infine, «di un atteggiamento rinunciatario della signora a trovare un’occupazione».

Decisiva, per la Corte, soprattutto la valutazione dell’atteggiamento rinunciatario della donna nel cercare un’occupazione.

Per gli ermellini “non esistono impedimenti” alla ricerca di un impiego. “Ha soli 46 anni – scrivono nella sentenza –quindi non è di età particolarmente avanzata“. Per ottenere l’assegno l’ex coniuge deve “dimostrare di essersi impegnata nella ricerca di un’occupazione“. Senza contare che la donna “quando era sposata, non viveva nel lusso“.  Non solo, ma poteva tornare “a lavorare come addetta alle pulizie” come era già accaduto, in modo saltuario, in passato.

A convincere i giudici circa l’annullamento dell’assegno è stata anche l’innegabile evidenza del fatto che la donna aveva da tempo una nuova relazione stabile, tenuta nascosta e che lei alla fine aveva ammesso giustificandola però come una “relazione amicale“.

La sentenza della Cassazione 4 febbraio n. 2653 è destinata a segnare una svolta nell’eterno conflitto tra ex coniugi circa le questioni riguardanti l’aspetto meramente economico dei “postumi matrimoniali” di una coppia divorziata del Torinese.

Avv. Maria Martignetti

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(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 21140/20)

L’assegno divorzile è una delle principali conseguenze del divorzio relative al patrimonio, perché attraverso il divorzio il giudice stabilisce l’eventuale diritto di uno dei coniugi di percepirlo.

Esso trova il proprio fondamento giuridico nell’art.5 legge n. 898/70, che prevede il riconoscimento dell’assegno in favore del coniuge divorziato solo “quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

E’ indubbia, alla luce di tale disposizione, la funzione assistenziale dell’assegno, in quanto il presupposto fondamentale per la sua attribuzione è da ricercarsi nell’esigenza di porre rimedio, in base ad un principio solidaristico, ad uno stato di disagio economico in cui venga a trovarsi il coniuge più debole, valutando la situazione dello stesso in concreto, ossia tenendo conto delle qualità personali e sociali delle parti e rapportando le stesse al tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha svolto un’importante opera di interpretazione della norma sopra citata, cristallizzatasi da ultimo con la nota pronunzia 11 luglio 2018, n. 18287 delle Sezioni Unite, che ha stabilito che l’assegno di divorzio, oltre alla citata funzione assistenziale (per assenza incolpevole di mezzi di sostentamento), ha anche una funzione compensativa e perequativa per il sacrificio di forze che hanno consentito all’altro coniuge di accumulare un patrimonio personale e di impiegare il proprio tempo nel lavoro.

L’ordinanza in commento, depositata lo scorso 2 ottobre, si staglia sulla scia di queste ultime pronunce giurisprudenziali, stigmatizzando appunto «l’orientamento consolidato che il giudice debba valutare la concreta possibilità del coniuge che chieda il mantenimento di procurarsi il reddito adeguato al proprio sostentamento».

Sulla base di tali considerazioni, gli Ermellini hanno respinto la richiesta di un uomo che pretendeva di revocare il contributo, pari ad € 200,00, erogato ogni mese all’ex coniuge, vittima di una forte sindrome depressiva, sull’assunto che «non risulta provato che lo stato ansioso della donna sia invalidante».

I Supremi Giudici, invece, hanno ritenuto che la donna avesse sufficientemente comprovato, in fase di reclamo, che la sua crisi depressiva condizionasse in modo pesante la ricerca di un lavoro ed incidesse negativamente sulla concreta possibilità che essa si procurasse un reddito adeguato al suo sostentamento.

Avv. Claudia Romano

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[:it]Two hand exchanging twenty jordanian dinars

L’ordinanza de quo ha ad oggetto un ricorso avverso il decreto con il quale la Corte d’Appello de L’Aquila aveva respinta la richiesta, proposta dall’ex marito, di revoca dell’assegno divorzile di euro 400, disposto a favore della ex moglie con la sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio pronunciata dal Tribunale.

Con un unico motivo di ricorso, l’ex marito eccepisce l’omessa valutazione della possibilità dell’ex moglie di ricercare un lavoro, essendone abile.

La Cassazione ha invece ritenuto inammissibile il ricorso, osservando che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale aveva operato una valutazione in ordine all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, posto che la donna aveva dimostrato di essersi “attivata in questi anni, ma senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile (accettando lavori a termine e partecipando a concorsi) che le consenta di raggiungere l’autosufficienza economica” (pag. n. 3 decreto impugnato).

In buona sostanza dunque, con questa ordinanza, la Corte ha ribadito un orientamento ormai pressoché costante nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di diritto all’assegno divorzile, l’attitudine dell’ex coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata una effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

 

avv. Claudia Romano

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separazione-e-soldi_smallLa Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n°5603 del 29 novembre 2019, depositata in cancelleria il 28 febbraio 2020, ha statuito – alla luce dei principi già affermati in materia – che non può riconoscersi il diritto a percepire l’assegno di mantenimento all’ex moglie che svolge un lavoro in nero di cui non possa accertarsi l’effettivo guadagno che la stessa realizza.

Il caso

La vicenda trae origine da una causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio nella quale il Tribunale di Rovigo, investito della questione, riconosceva all’ex moglie il diritto a percepire un assegno divorzile nella misura di euro 300,00. Dolendosi di tale decisione, l’ex marito ricorreva alla Corte di Appello di Venezia, che confermava la decisione del giudice di prime cure, rilevando come il marito godesse di una situazione economica migliore rispetto a quella della moglie, la quale, dopo la separazione, si era ritrovata a svolgere prestazioni di manicure in modo irregolare e non stabile.

A fronte del rigetto del suo gravame da parte della Corte d’Appello, il ricorrente, adiva la Suprema Corte deducendo come il Giudice di merito avesse fondato la conferma del suo obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento alla moglie esclusivamente sulla circostanza che la saltuaria occupazione dalla medesima svolta non fosse tale da assicurarle un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio.

Il giudizio della Suprema Corte

Con la decisione in commento, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso dell’ex marito alla stregua del consolidato principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite, sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 e ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Ord. n. 1882 del 23 gennaio 2019, secondo cui all’assegno divorzile deve attribuirsi oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa. Detta natura discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e senza che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, venga finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

In conclusione

Gli Ermellini:

  • hanno rilevato che la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, applicando, di contro, l’ormai superato criterio del tenore di vita goduto dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio;
  • non hanno accertato, in applicazione dei suddetti principi “…l’effettivo guadagno che la (omissis) realizza con l’attività svolta, che comunque – in quanto in concreto accertata – evidenzia una capacità lavorativa e reddituale della medesima”;
  • hanno conseguentemente cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame del merito della questione alla luce dei principi giurisprudenziali sopra enunciati.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Terella.[:]

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Risultati immagini per immagine moglie mantenimentoLa Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 30 ottobre 2019 n. 27771 ha statuito che  all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa. Detta natura discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e senza che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, venga finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 7 giugno – 30 ottobre 2019, n. 27771
Presidente Genovese – Relatore Bisogni

Rilevato che:

  1. Con ricorso del 6 ottobre 2014 il sig. C. ha chiesto al Tribunale di Milano di pronunciare lo scioglimento del matrimonio contratto il (omissis) con M.C.
    2. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 3588/2016 ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio e ha imposto al sig. C. il pagamento di un assegno divorzile mensile di 3.500 Euro.
    3. La Corte di appello di Milano con sentenza n. 5422/2017 ha ridotto la misura dell’assegno a 2.500 Euro, con decorrenza dal mese di novembre 2017 confermando nel resto la impugnata sentenza del Tribunale. Ha compensato per metà le spese del giudizio di appello e ha condannato il sig. C. al pagamento della residua quota in favore della sig.ra M. .
    4. Ricorre per cassazione il sig. C. secondo il quale il parametro dell’autosufficienza di cui alla sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione in materia di assegno divorzile non è stato interpretato in maniera rigorosa dalla Corte di appello che ha così violato e falsamente applicato la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6. Rileva il ricorrente che la sig.ra M. gode di una pensione per complessivi Euro 12.192 annui, è proprietaria della sua abitazione in (…) e dispone di un ulteriore immobile in (…). Nell’ottobre 2015 ha estinto il mutuo ipotecario che comportava il pagamento di una rata mensile di 946,51 Euro. È quindi in possesso di mezzi adeguati di sussistenza. Il ricorrente censura poi con il secondo motivo il mancato esame della produzione documentale relativa ai redditi della sig.ra M. .
  2. M.C. si difende con controricorso e deposita memoria difensiva. Propone ricorso incidentale articolato in due motivi con i quali deduce: a) la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per ciò che concerne il criterio di determinazione dell’an dell’assegno divorzile; b) la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per ciò che concerne la mancata e comunque non corretta applicazione dei criteri per la determinazione del quantum dell’assegno divorzile posti da tale norma.

Ritenuto che:

  1. La controversia deve essere esaminata alla luce della nuova giurisprudenza in materia di assegno divorzile compendiata nella sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 delle Sezioni Unite Civili di questa Corte che, come è noto, ha affermato che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. Infatti all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e senza che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, venga finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
  2. Alla luce di questa nuova giurisprudenza il primo motivo del ricorso principale si rivela infondato perché teso a far valere una interpretazione della L. sul divorzio, art. 5, comma, tutta costruita sulla giurisprudenza introdotta con la sentenza n. 11504/2017, della rigida ripartizione bifasica della determinazione dell’an e del quantum dell’assegno divorzile, della riaffermazione della funzione unicamente assistenziale dell’assegno di divorzio, della perimetrazione del quantum nei limiti della attribuzione di una somma idonea a garantire l’autosufficienza economica al coniuge beneficiario dell’assegno. Principi che la citata sentenza delle Sezioni Unite ha ritenuto non coerenti alla funzione complessa dell’assegno e alla rilevanza del contributo fornito dal coniuge richiedente al fine di realizzare quella solidarietà post-coniugale che la Costituzione intende garantire al coniuge che ha apportato un contributo rilevante al benessere familiare e che ha sacrificato le proprie potenzialità e aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi alla cura del nucleo familiare. In questa prospettiva è invece fondato il ricorso incidentale così come il secondo motivo di quello principale perché entrambi sono intesi alla rivalutazione del materiale probatorio da parte del giudice del rinvio alla luce della funzione tripartita dell’assegno di divorzio e presuppongono una adeguata valutazione della capacità reddituale ed economica delle parti.
  3. Va pertanto respinto il primo motivo del ricorso principale mentre va accolto il ricorso incidentale e il secondo motivo del ricorso principale con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, rivaluterà la controversia alla luce dei principi indicati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale e il secondo motivo del ricorso principale di cui rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Dispone che in caso di pubblicazione della presente sentenza siano omesse le generalità e le indicazioni identificative delle parti.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.[:]

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separazione-e-soldi_smallCon sentenza n°32871 del 3 dicembre 2018, depositata in data 19 dicembre 2018, la I^ sezione della Corte di Cassazione è tornata nuovamente a chiarire le conseguenze della creazione di una nuova famiglia sul diritto del coniuge separato e/o divorziato all’assegno di mantenimento.

Il caso in esame

In accoglimento dell’appello promosso da un marito avverso la sentenza di separazione, con cui il giudice di prime cure aveva riconosciuto all’ex moglie il diritto a percepire un assegno separatizio, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n°26/2015, revocava il predetto assegno di mantenimento:

  • ritenendo comprovata instaurazione di una famiglia di fatto da parte dell’appellata;
  • ritenendo applicabile al caso di specie la giurisprudenza di legittimità formatasi in punto di assegno divorzile.

Avverso la predetta sentenza ricorreva per cassazione la moglie, denunciando, con unico motivo, la “violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” ritenendo che la Corte territoriale avrebbe errato:

  • nel qualificare quale convivenza more uxorio la sua nuova relazione, nonostante l’assenza dei caratteri di stabilità della predetta;
  • nel non “…aver accertato e valutato se, dalla nuova convivenza, la ricorrente ritraesse benefici economici idonei a giustificare la diminuzione dell’assegno o, addirittura, la sua revoca”.

La decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte, investita della questione, respinge tuttavia il ricorso, alla stregua della seguente condivisibile motivazione:

  • partendo dalla disciplina normativa relativa al divorzio, gli Ermellini evidenziano come l’art. 5, comma 10, L. div. preveda espressamente che “l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze”;
  • la giurisprudenza di legittimità, a partire dalla celebre sentenza n°6855/15 ha poi esteso la causa estintiva di cui all’art. 5, co. 10, l. div. anche all’ipotesi in cui l’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile abbia costituito una nuova famiglia, ancorché non fondata sul matrimonio, affermando il seguente principio di diritto: L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo(in senso conforme anche Cass., sez. V-1^, ordinanza n°2466 del 2016);
  • recentemente la Suprema Corte, con la recente sentenza n°16982/2018, ha enunciato il seguente analogo principio in punto di assegno separatizio: “In tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l’interruzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento che grava sull’altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi “more uxorio” siano messe in comune nell’interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l’assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce “in melius” sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati”. (Cass. civ., sez. I^, sentenza n. 16982 del 27 giugno 2018).

La Corte, ribadendo il succitato principio, fornisce altresì i seguenti opportuni chiarimenti:

  • Il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione deve esser individuato, per quel che riguarda il divorzio ma anche la separazione personale, nel principio di autoresponsabilità, ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, orgogliosamente manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa, che si è sovrapposta con effetti di ordine diverso, al matrimonio, sciolto o meno che sia”;
  • come nel divorzio, “anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, indipendentemente dalla “risoluzione del rapporto coniugale” (per quanto – come si è già detto – il suo esito si renda assai probabile) si opera una rottura tra il preesistente “tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale” ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario della solidarietà (in questo caso, ancora) coniugale”.

La Suprema Corte, da ultimo, enuncia il seguente ulteriore principio di diritto: “Anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, indipendentemente dalla “risoluzione del rapporto coniugale” (assai più che probabile) si opera una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario della solidarietà (in questo caso, ancora) coniugale, con il conseguente riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendola venire definitivamente meno”.

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separazione-e-soldi_smallIl principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n°18287 dell’11 luglio 2018

Come oramai noto a tutti, o quasi, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°18287 del 11 luglio 2018, hanno chiarito la natura e i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio enunciati dall’art. 5 della legge n°898 del 1° dicembre 1970, pronunciando il seguente condivisibile principio di diritto: Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto“.

In particolare, le Sezioni Unite – prendendo le distanze dalla rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno divorzile, sostenuta pochi mesi prima dalla I^ sezione della Suprema Corte n°11504 del 10 maggio 2017 – hanno ritenuto che “…all’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa…” con conseguente necessità di utilizzare un criterio composito al fine di accertare la debenza dell’assegno divorzile e procedere a una sua quantificazione, che tenga in dovuta considerazione:

  1. l’esistenza di una disparità economico-patrimoniale determinata dal divorzio, mediante una valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dei coniugi del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
  2. il contributo fornito dall’ex coniuge più debole alla formazione del patrimonio comune e personale;
  3. la durata del matrimonio;
  4. le potenzialità reddituali presenti e future e dell’età dell’avente diritto;
  5. l’adeguatezza dei mezzi del richiedente “…non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte.

Ad avviso degli Ermellini, infatti, poiché “…alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo…”, solamente l’utilizzo del criterio composito soprarichiamato “…ha l’elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati, non ha quelle caratteristiche di generalità ed astrattezza variamente criticate in dottrina”.

L’accertamento della debenza e la sua quantificazione nel giudizio di merito.

Ai fini della determinazione della debenza o meno dell’assegno di mantenimento, come riassunto in una recente sentenza dal T.C. di Nuoro sulla scorta di quanto affermato dalle Sezioni Unite, il giudice di merito dovrà, pertanto:

  • preliminarmente accertare l’esistenza di “…una rilevante disparità tra le rispettive situazioni economico-patrimoniali degli ex coniugi”;
  • successivamente dovrà accertare “…se questa disparità sia stata causata da scelte condivise in ordine alla gestione del ménage familiare e ai rispettivi ruoli all’interno della famiglia” (con relativo onere probatorio posto a carico del richiedente);
  • dovrà poi verificare “…se il coniuge economicamente più debole non abbia la effettiva e concreta possibilità di superare (o quanto meno ridurre) il divario esistente, sotto il profilo delle concrete, effettive ed attuali possibilità di trovare un lavoro o di ottenere una più remunerativa occupazione, in considerazione della sua età, delle pregresse esperienze professionali, delle condizioni del mercato del lavoro e così via”.

Ai fini della successiva determinazione dell’entità dell’assegno, questa “non dovrà essere liquidata in misura corrispondente alla somma di denaro necessaria a mantenere (sia pur in via solo tendenziale) il pregresso tenore di vita, bensì in misura adeguata a colmare il divario avendo riguardo “al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente” .

Analisi delle prime pronunce dei Tribunali italiani

Nel corso dei mesi successivi al deposito della sentenza n°18287 del 11 luglio 2018, si sono registrate le prime pronunce con cui alcuni tribunali italiani hanno riconosciuto e/o negato ai richiedenti il diritto all’assegno divorzile sulla scorta del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite e dei criteri individuati dalla Suprema Corte, dando particolare rilevanza:

  • all’esistenza di un’effettiva disparità economica;
  • alla sua eventuale riconducibilità a scelte condivise in costanza di matrimonio;
  • alla stessa durata del matrimonio;
  • all’età e alle potenzialità lavorative del richiedente.

1) Tribunale civile di Verona, sentenza n°1764/2018, pubblicata il 20 luglio 2018.

Il Tribunale civile di Verona è stato tra i primi ad applicare a un procedimento di divorzio, pendente dal 2015, i principi elaborati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, negando l’assegno divorzile alla richiedente sulla scorta:

  • della breve durata dell’effettiva convivenza coniugale, essendosi i coniugi sposati nel 2004 e addivenuti a separazione personale nel 2008;
  • dell’indipendenza economica di ambedue i coniugi, come dagli stessi dichiarato in sede di separazione e confermato dalla documentazione reddituale depositati nel giudizio di divorzio;
  • della mancata incidenza del matrimonio sulla capacità reddituale della richiedente, rimasta inalterata;
  • del mancato contributo della moglie alla realizzazione professionale del marito, alla luce anche dell’età a cui le parti erano convolate a nozze (già ultra quarantenni) e della breve durata del matrimonio.

2) Tribunale civile di Roma, sentenza n°16394/2018, pubblicata l’8 agosto 2018.

Il Tribunale di Roma è stato tra i primi a negare il diritto all’assegno divorzile all’ex moglie richiedente in considerazione:

  1. della capacità ed abilità al lavoro della moglie, la quale:
    1. non era “…titolare di alcun assegno di mantenimento in forza delle condizioni della separazione consensuale sottoscritta dalle parti”;
  2. era “…titolare sia di trattamento pensionistico che di redditi da lavoro dipendente per complessivi euro 1900,00”;
  3. era proprietaria del 50% della casa familiare, a lei assegnata, per la quale non sosteneva “…alcun onere (rata di mutuo o canone locatizio)”;
  1. delle voci di spesa incidenti negativamente sulla maggiore capacità reddituale dell’ex marito, il quale, “…sebbene titolare di un reddito più elevato, oltre a non utilizzare l’immobile adibito a casa coniugale, è tenuto alla corresponsione di una rata mensile pari a circa euro 850,00 per il pagamento del mutuo contratto per la casa di abitazione”;
  2. della non riconducibilità eziologica della disparità economico-patrimonialea determinazioni e scelte comuni e condivise che hanno condotto la [omissis] ad esplicare il suo ruolo solo o prevalentemente nell’ambito familiare”, in quanto la richiedente non aveva dedotto né comprovato che la scelta, in costanza di matrimonio, di lavorare part-time “…le abbia pregiudicato gli sviluppi di carriera”.

3) Tribunale civile di Trieste, sentenza n°525/2018 pubblicata il 21 agosto 2018.

Il Tribunale di Trieste, pronunciandosi su una richiesta di assegno divorzile, chiarisce preliminarmente come:

  • …l’obiettivo dell’assegno divorzile non è già la conservazione tendenziale del tenore di vita pregresso (riferimento specifico in sede di separazione, vista l’immanenza del vincolo di solidarietà coniugale), bensì la necessità di assicurare l’autosufficienza ovvero l’autonomia economica del coniuge più debole…”.
  • in situazioni caratterizzate da una sensibile disparità tra le condizioni economico patrimoniali riferibili a ciascuno dei coniugi, ancorché non necessariamente tale da sfociare nella constatazione di una radicale mancanza di autosufficienza economica, occorre non solo in funzione assistenziale-alimentare ma anche in chiave perequativa, stabilire se tale dislivello reddituale abbia o no la sua radice causale nelle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare: insomma, l’eventuale incidenza della vita matrimoniale sulla situazione attuale”.

Alla luce dei chiarimenti sopra esposti e in applicazione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, i giudici triestini negano all’ex moglie l’assegno divorzile in quanto:

  1. “…non sembra esserci un divario sensibile tra le condizioni economico patrimoniali riferibili a ciascuno degli ex coniugi”, poiché:
  • il maggiore reddito dell’ex marito era notevolmente ridotto dagli obblighi di pagamento delle rate di mutuo dell’ex casa familiare nonché dal mantenimento per il figlio;
  • l’ex moglie, oltre a godere di redditi di tutto rispetto, poteva senza dubbio aumentarli mettendo a frutto il suo maggiore tempo libero e le proprie esperienze professionali;
  1. b) manca alcun riferimento significativo “…ad una qualche scelta adottata dopo il matrimonio, che abbia potuto incidere negativamente su eventuali aspettative di progressione in carriera della [omissis]”, così come che “…abbia consumato un ruolo esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia”.

 

4) Tribunale civile di Nuoro, sentenza del 23 ottobre 2018.

Da ultimo, il Tribunale civile di Nuoro, nella recente pronuncia in oggetto, riconosce invece il diritto all’assegno divorzile all’ex moglie in considerazione:

  • del chiaro divario economico esistente tra gli ex coniugi;
  • della prova offerta dalla richiedente “…di aver significativamente contribuito alla formazione del patrimonio personale del marito, si provvedendo al pagamento (quanto meno in parte) del mutuo contratto per la edificazione della casa familiare tramite le proprie risorse personali…”;
  • della durata ventennale del matrimonio sino alla separazione (e di 29 anni al momento della pronuncia della sentenza di divorzio);
  • della mancanza di mezzi adeguati della richiedente, alla luce del suo modesto reddito da lavoro (circa 997 euro al mese), della circostanza che non fosse proprietaria di beni immobili e, non da ultimo, della circostanza che, non essendo i figli oramai maggiorenni, economicamente sufficienti e non più conviventi con la madre, la stessa “perdendo la disponibilità della casa familiare sinora a lei assegnata ma di proprietà del marito, inoltre, essa sarà costretta a sostenere ulteriori oneri per reperire un immobile da condurre in locazione”.

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kate-separatedIl Tribunale civile d’Ancona, si è recentemente pronunciato su una delle questioni più comuni che sorgono a seguito della disgregazione della famiglia “tradizionale” fondata sul matrimonio e dall’instaurazione di nuovi rapporti sentimentali da parte dell’ex moglie e l’ex marito: la debenza, o meno, dell’assegno divorzile.

Come sottolineato più volte negli ultimi anni dalla Suprema Corte, infatti, una mera relazione, priva dei caratteri di stabilità, non fa venir meno, di per sé, il diritto al c.d. assegno divorzile. Diverso discorso, invece, nel caso in cui l’ex moglie o l’ex marito si siano risposati ovvero abbiano creato una “nuova famiglia”. In tale caso infatti, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude” (sul punto, ex multis Cass. n°6855/2015 e n°2466/2016).

Secondo il condivisibile principio sopraesposto, la Suprema Corte, ha inteso:

  • privare di ogni rilevanza l’esistenza o meno dell’elemento formale del vincolo matrimoniale, al fine di appurare se la nuova unione possa o meno definirsi quale “nuova famiglia” – e ciò conformemente a quanto più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ex multis, Corte EDU, Vallianatos c. Grecia del 7 novembre 2013);
  • valorizzare la scelta libera e consapevole di chi, dopo il divorzio, decida di farsi non solo una nuova vita bensì anche una nuova famiglia, liberando conseguentemente l’ex coniuge da ogni dovere, anche di natura economica ed assistenziale, derivante dall’oramai sciolto vincolo matrimoniale;
  • responsabilizzare l’autore di tale scelta, escludendo che l’ex marito o l’ex moglie possano, in caso di fallimento della successiva unione – in particolar modo se more uxorio, dalla cui eventuale rottura, come noto, non discende per i partner alcun diritto ad assegni alimentari o di mantenimento a carico dell’ex partner – pretendere nuovamente una assistenza economica da parte dell’altro ex coniuge.

La vicenda in esame

Il caso sottoposto al Tribunale marchigiano vede contrapposto un ex marito che, stanco di versare un assegno divorzile alla propria ex moglie – la quale da tempo aveva instaurato una relazione more uxorio con un nuovo uomo e che si rifiutava immotivatamente di accettare o ricercare essa stessa posizioni lavorative che le permettessero di acquistare un’indipendenza economica – adiva l’autorità giudiziaria al fine di veder modificati i provvedimenti divorzili e revocato, o quantomeno ridotto significativamente, l’assegno mensilmente versato.

L’ex moglie si costituiva in giudizio opponendosi all’accoglimento della domanda, contestando l’esistenza di una stabile convivenza, eccependo l’impossibilità per motivi di salute a lavorare e chiedendo in via riconvenzionale l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli, maggiorenni ma ancora non economicamente dipendenti.

Sulla prova della creazione di una nuova famiglia e la conseguente revoca dell’assegno divorzile.

La pronuncia del Tribunale di Ancona appare di particolare interesse per le considerazioni espresse dal giudicante in merito alla valenza delle prove fornite dalle parti a riprova e a confutazione dell’esistenza di una “nuova famiglia”.

In particolare, ad avviso del Tribunale marchigiano l’esistenza di una stabile convivenza risultava comprovata alla luce:

  1. dell’ammissione della resistente circa l’esistenza di un legame affettivo perdurante da anni e dalla mancata contestazione dell’inizio della suddetta relazione dopo la sentenza di divorzio;
  2. delle fotografie pubblicate sui social network raffiguranti la nuova coppia, non contestate dalla resistente;
  3. dei periodi di vacanza dagli stessi trascorsi insieme (a nulla rilevando la ripartizione delle relative spese tra i partner);
  4. della relazione investigativa in atti.

Con particolare riferimento alla suddetta relazione investigativa, il Tribunale, pur riconoscendo alla stessa mero valore indiziario, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n°11516/2014), riteneva che le relative risultanze potessero ciò non di meno essere liberamente apprezzate dal giudice di merito e fossero utili al fine del decidere in quanto confermate dalle altre evidenze probatorie e attestanti la non occasionalità della frequentazione nonché la sua risalenza del tempo. Di fatti, dalla predetta investigazione emergevano plurimi elementi atti a confermare la natura della stabile convivenza e, in particolare:

  • il libero accesso del partner alla casa della resistente, anche quando quest’ultima era assente;
  • il pernottamento dello stesso presso la casa della resistente;
  • la circostanza che detta casa fosse punto di arrivo e di partenza della coppia in occasione dei loro viaggi insieme.

Di contro, alcun valore poteva attribuirsi alla tesi dell’asserita natura occasionale della predetta relazione, sostenuta invano dall’ex moglie in quanto:

  1. l’asserita circostanza che il partner avesse solo occasionalmente utilizzato la casa della resistente poiché erano in corso i lavori di ristrutturazione della propria abitazione, corroborava – anziché smentire – la tesi attorea “…posto che nell’impossibilità di utilizzare la propria abitazione lo stesso ha fatto riferimento proprio alla abitazione della compagna”;
  2. la mera sussistenza di un’abitazione propria del partner non escludeva tout court…la natura della stabile convivenza e la sussistenza di un comune progetto di vita”;
  3. le evidenze anagrafiche, parimenti, non avevano “…rilievo dirimente al fine di escludere la convivenza o la natura stabile di essa…” non potendosi fare dipendere l’accertamento della sussistenza del diritto all’assegno divorzile da risultanze anagrafiche che ben potrebbero essere inficiate da condotte strumentali delle parti.

Alla luce degli elementi sopra raffigurati e dell’adeguatezza dei redditi del nuovo partner, come ammesso dalla stessa resistente, il Tribunale ha pertanto ritenuto di poter affermare che quest’ultimo “…goda di proventi sufficienti per creare con la signora quella comunanza di risorse economiche che giustifica la revoca dell’assegno divorzile…”.

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[:it]downloadAncora non è sopito il fragore mediatico sollevato dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha condannato l’ex moglie di Berlusconi a rifondere quanto ottenuto negli anni a titolo di assegno divorzile (sentenza n°4793 del 16 novembre 2017), che la Suprema Corte, con la recente ordinanza n°28326 del 17 ottobre 2017, pubblicata il 28 novembre 2017, ritorna a pronunciarsi sull’annosa questione della debenza dell’assegno divorzile, confermando la necessità di rivedere quelle sentenze basate sul “vecchio” parametro dello stile di vita della famiglia in costanza di matrimonio.

I fatti di causa:

La vicenda trae origine dal ricorso per cassazione presentato da un marito avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Catania aveva riconosciuto all’ex moglie un assegno di mantenimento, parametrandolo altresì al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio. In particolare, il ricorrente deduceva, da un lato, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 6 della legge n°898/70 e, dall’altro, l’omesso esame da parte della Giudice di secondo grado, di un fatto decisivo per il giudizio.

Gli Ermellini, accolgono le doglianze dell’ex marito, richiamando preliminarmente i seguenti principi di diritto affermati nella sentenza n°11504 del 10 maggio 2017:

  • Il diritto all’assegno di divorzio è subordinato alla previa verifica giudiziale, distinta in due fasi nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla stessa norma:
  1. la prima fase, avente ad oggetto l’accertamento dell’an debeatur, che si informa “…al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali ‘persone singole’ ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o meno, del diritto all’assegno divorzile fatto valore dall’ex coniuge richiedente…”;
  2. la seconda fase, a cui si accede solo in caso della conclusione positiva dell’accertamento dell’an, riguarda il quantum debeatur, è invece “…improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso”.
  • Il giudice del divorzio, dovrà pertanto previamente verificare la debenza dell’assegno accertando la sussistenza delle relative condizioni di legge – “mancanza di ‘mezzi adeguati’ o, comunque, impossibilità ‘di procurarseli per ragioni oggettive“…con esclusivo riferimento all’‘indipendenza o autosufficienza economica” del richiedente, essendo irrilevante in tale prima fase “…il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”.
  • L’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente dovrà essere desunta da una serie di indici, quali:
    1. il “…possesso di redditi di qualsiasi specie e/o cespiti mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri latu sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente)…”;
    2. “…(del)la capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo)…”;
    3. “…(del)la stabile disponibilità di una casa di abitazione”.
  • L’onere di dimostrare l’esistenza dell’indipendenza e/o non autosufficienza economica incombe sull’ex coniuge richiedente, “…fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge…”.
  • Nella seconda fase, relativa al quantum debeatur, il giudice dovrà tenere conto “…di tutti gli elementi indicati dalla norma…”, quali:
    1. le condizioni dei coniugi;
    2. le ragioni della decisione;
    3. “…il contributo personale dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune…”;
    4. i redditi di entrambi i coniugi.
  • I suddetti elementi, necessari al giudice per quantificare la misura dell’assegno divorzile, poi, dovranno essere valutati “…anche in rapporto alla durata del matrimonio al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova”.

Alla luce dei suddetti principi, pertanto, la Suprema Corte cassa la sentenza della C.d’A. di Catania, poiché “…aveva valutato il conseguimento dell’assegno, con riguardo all’adeguatezza di vita matrimoniale, in base al criterio indicato dalla pregressa giurisprudenza…” disponendo il rinvio alla medesima Corte, in diversa composizione, al fine di valutare nuovamente l’an della richiesta dell’assegno divorzile sulla base del criterio dell’adeguatezza dei mezzi o della sussistenza di ragioni oggettive che impediscano alla moglie di procurarseli.

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[:it]Niente assegno di divorzio dal marito ricco all’ex moglie, professoressa.

Lo afferma la Corte di cassazione, con sentenza 29 agosto 2017 n. 205235, ribadendo i principi già esposti nella nota sentenza n. 11504 del 10 maggio scorso.

La donna, insegnante di matematica, proprietaria dell’abitazione in cui risiede e che aveva effettuato alcuni investimenti immobiliari, si era rivolta al tribunale di Fermo per ottenere un assegno di divorzio. Una richiesta motivata dalla necessità di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e dal fatto che la condizione economica dell’ex marito era più vantaggiosa rispetto alla sua.

Il tribunale di Fermo accoglieva la richiesta della donna, ritenendo che il mantenimento dovuto «in ragione della forte sproporzione delle situazioni reddituali e patrimoniali tra le parti e al fine di una conservazione, almeno tendenziale, in favore del coniuge economicamente più debole del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio».

L’uomo presentava ricorso alla Corte di Appello di Ancona, la quale, non solo confermava la sentenza di primo grado, ma condannava l’ex marito all’intero pagamento delle spese sia per il procedimento in primo grado che per quello dell’appello.

A questo punto al marito non rimaneva che presentare ricorso in Cassazione. L’uomo si doleva del fatto che i giudici di merito non avevano in alcun modo dato un peso al fatto che lui aveva dato alla ex 157 mila euro prima della pronuncia di divorzio, nè valorizzato il fatto che la signora era tutt’altro che bisognosa. La donna poteva contare, infatti, sul suo stipendio di professoressa di matematica, su un’abitazione di proprietà, oltre che sui frutti di vari investimenti immobiliari. Dalla situazione economica era chiaro, secondo il ricorrente, che non c’erano i presupposti per l’assegno.

I giudici della sesta sezione ribaltano la “doppia conforme” a favore della moglie, facendo perdere la partita finale alla signora. «Si ritiene – nella motivazione nella sentenza – che il ricorso deve essere accolto dando così continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017, secondo cui il diritto all’assegno di divorzio è condizionato dal suo previo riconoscimento in base a una verifica giudiziale». Se per i giudici di primo e secondo grado andava data importanza alla circostanza che tra situazione patrimoniale e reddituale dell’uomo e quella della donna esisteva una forte sproporzione, la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato il principio, nel senso che gli aspetti ai quali dare rilevanza per definire se l’ex moglie ha diritto all’assegno di divorzio sono altri. I giudici di primo e secondo grado avrebbero dovuto valutare che la donna è insegnante di matematica, ha effettuato investimenti immobiliari ed ha un’abitazione di proprietà. In pratica, è necessario accertare se l’ex coniuge richiedente l’assegno ha veramente diritto ad ottenerlo, in base al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole, e solo dopo si potrà quantificare l’importo.

il matrimonio non può più essere considerato un’assicurazione sulla vita.[:]

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