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Come noto, il nuova comma 2 bis dell’art. 6 del d.l. n.132 del 2014[1] ha introdotto l’obbligo di invio con modalità telematiche degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti.

In particolare, la predetta disposizione, recentemente introdotta dall’art. 9, comma 1, lett. i), n°3 del d.lgs. n°149 del 10 ottobre 2022, dispone che:

– l’accordo raggiunto debba essere sottoscritto digitalmente e trasmesso dagli avvocati al procuratore della Repubblica con modalità telematiche;

– il procuratore, a sua volta, qualora apponga il nulla osta / l’autorizzazione, dovrà anch’egli trasmettere l’accordo autorizzato digitalmente.

A fronte tuttavia dei ritardi nella strutturazione del “flusso telematico” che consentirà le predette comunicazioni, il Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia, con nota del 28 febbraio 2023 ha chiarito che “In attesa che venga strutturato il flusso telematico che consentirà tali comunicazioni, sentito il Capo Dipartimento per gli affari di giustizia, gli uffici competenti sono autorizzati ad accettare il deposito in forma cartacea da parte degli avvocati che assistono le parti degli accordi raggiunti in sede di negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014

[1]Art. 2-bis (Negoziazione assistita in modalità telematica): 1. Quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, ciascun atto del procedimento, ivi compreso l’accordo conclusivo, è formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ed è trasmesso a mezzo posta elettronica certificata o con altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. 2. Gli incontri si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto. I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di negoziazione assicurano la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. Ciascuna parte può chiedere di partecipare da remoto o in presenza.   3. Non può essere svolta con modalità telematiche ne’ con collegamenti audiovisivi da remoto l’acquisizione delle dichiarazioni del terzo di cui all’articolo 4-bis.  4. Quando l’accordo di negoziazione è contenuto in un documento sottoscritto dalle parti con modalità analogica, tale sottoscrizione è certificata dagli avvocati con firma digitale, o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 82 del 2005.

 

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n°1202 del 21 gennaio 2020, chiarisce che la trascrizione dell’atto di trasferimento immobiliare eventualmente contenuto nell’accordo di separazione o divorzio – raggiunto in sede di negoziazione assistita ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 132 del 2014 convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014 – presuppone l’autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale dell’accordo stesso ad opera del pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non potendosi riconoscere analogo potere certificativo agli avvocati che assistono le parti.

Il caso

La vicenda trae origine dalla composizione di un conflitto coniugale raggiunta in sede di negoziazione assistita. L’accordo di separazione personale sottoscritto nelle prescritte forme di legge, quindi autenticato dai rispettivi difensori, oltre a regolamentare gli aspetti personali della separazione – quali l’affidamento condiviso del figlio minore e la determinazione della misura dell’assegno dovuto dal marito per il mantenimento del figlio – contemplava il trasferimento della proprietà di una quota dell’immobile adibito a casa coniugale; il notaio, si era limitato ad effettuare l’autenticazione delle sottoscrizioni, l’autentica c.d. “minore”, senza effettuare il controllo di legalità dell’atto e, quindi, senza iscrivere il verbale a repertorio, senza metterlo a raccolta, né provvedere alla celere trascrizione dello stesso e, successivamente, il conservatore dei registri immobiliari rifiutava la trascrizione dell’accordo raggiunto dai coniugi in sede di negoziazione assistita, informando dell’inadempimento il consiglio notarile.

Avviato il procedimento disciplinare nei confronti del notaio, la Commissione Regionale di Disciplina qualificava la condotta del professionista come colpevole inadempimento delle modalità con cui doveva essere effettuata, ai fini dell’art. 2657 c.c., l’autentica richiesta dal comma 3 dell’art. 5 della L. 162/2014.

Dolendosi delle accuse mosse nei suoi confronti, il notaio adiva la Corte d’Appello la quale, tuttavia, rigettava integralmente il reclamo proposto dal professionista rilevando, in particolare, che, contenendo l’accordo dei coniugi un atto di trasferimento immobiliare, si rendeva necessaria un’autentica ai sensi dell’art. 72 della legge notarile che impone al notaio il controllo di legalità, essendogli vietato di ricevere o autenticare atti espressamente proibiti dalla legge, manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico ai sensi dell’art. 28 legge notarile.

Il ricorso per cassazione

A fronte del rigetto del suo reclamo da parte della Corte territoriale, il notaio proponeva ricorso per cassazione sostenendo, tra le censure proposte, di essersi limitato ad effettuare una c.d. “autentica minore” non di un atto notarile, ma di un verbale di accordo comportante il trasferimento immobiliare sottoscritto dai coniugi nell’ambito della negoziazione assistita per la loro separazione consensuale e, dunque, di non essere obbligato:

  • ad eseguire il controllo di legalità del verbale di accordo comportante il trasferimento immobiliare sottoscritto dai coniugi nell’ambito della convenzione di negoziazione assistita per la loro separazione consensuale,
  • di iscrivere il verbale a repertorio, di metterlo a raccolta, né provvedere alla celere trascrizione dello stesso.

La decisione della Suprema Corte

Con la decisione in commento, la Suprema Corte, ha respinto le doglianze del professionista ricorrente sancendo il principio di diritto secondo cui “ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale di separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, conv. in L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui al medesimo D.L. n. 132 del 2014, art. 5, comma 3, con la conseguenza che per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3”.

In conclusione

Gli Ermellini, hanno ritenuto sussistente l’illecito disciplinare contestato, in quanto il notaio aveva l’obbligo di procedere nelle forme previste dall’art. 2703 c.c., con il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto nel repertorio ex art. 62 l.n. e di conservazione e raccolta ex art. 72 l.n., nonché quello di effettuare la trascrizione nel più breve tempo possibile ex artt. 2643 e 2671 c.c..

Avv. Luigi Romano

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cdc-c4ibsscuwiu-unsplash-1Dal 1° aprile 2020 sono disponibili sul sito http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel028-2020.pdf, i chiarimenti offerti dalla Corte di Cassazione sul contenuto e la portata delle misure adottate dal Governo per il contrasto al diffondersi del corona virus, di cui al D.L. n°18/2020.

In particolare:

  • il rinvio d’ufficio delle udienze deve essere inteso come “un mero rinvio ex lege e non di una sospensione dei processi, sicché non si applica l’art. 298, primo comma, c.p.c., a tenore del quale ‘durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento’”;
  • la sospensione dei termini processuali deve essere inteso come operante tutti gli atti processuali, compresi quelli necessari per avviare un giudizio di cognizione o esecutivo (atto di citazione o ricorso, ovvero atto di precetto), come per quelli di impugnazione (appello o ricorso per cassazione)”;
  • con riferimento alla sospensione che riguardi termini a ritroso che ricadano in tutto o in parte nel periodo di sospensione, “…è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine, in modo da consentirne il pieno rispetto” e non già la mera sottrazione dal relativo computo, come avveniva durante il periodo feriale;
  • ai sensi dell’art. 83, comma 10 del D.L. n°18/2020, per tutti i procedimenti in cui vi sia stato un rinvio d’udienza, non si terrà conto, ai fini dell’equa riparazione di cui all’art. 2, della l. 89/01 (legge Pinto) del periodo compreso tra il 08/03/2020 e il 30/06/2020;
  • ai sensi del comma 20 dell’art. 83 del D.L. n°18/2020, la sospensione dei procedimenti di mediazione, di negoziazione assistita e di risoluzione stragiudiziale delle controversie, riguarderà quelli promossi entro il 9 marzo 2020, senza alcuna espressa previsione per quanto riguarda quelli eventualmente promossi successivamente a tale data;
  • la sospensione, di cui all’art.83, comma 8, dei termini sostanziali “comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto” appare poter essere invocata da chi ne abbia interesse unicamente per il periodo dal 16 aprile al 30 giugno e subordinata alla presenza di due condizioni: “a) che siano stati adottati i provvedimenti organizzativi che spettano ai capi degli uffici (e solo durante il periodo di loro efficacia); b) che si tratti di diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento di attività processuali precluse;
  • la sospensione di tutti termini, siano essi processuali o sostanziali, non opera per quelle controversie che rientrano nell’elencazione di cui all’art. 83, comma 3, lett. a), del d.l. n. 18 del 2020.

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[:it]Cari colleghi, sono oramai in vigore le modiche introdotte al nostro codice deontologico, pubblicate in G.U. n°86 del 13 aprile 2018, come chiarito dal CNF con circolare n°7-C-2018. Esse hanno ad oggetto nello specifico due articoli, disciplinanti, rispettivamente, la responsabilità disciplinare (art. 20) e i doveri d’informazione (art. 27, limitatamente al solo co. 3).

La modifica dell’art. 20, in particolare, è volta a chiarire il valore solo tendenziale del prinicipio di tipicità degli illeciti, come evidente da un raffronto tra:

  • l’art. 20, nell’originaria formulazione: “La violazione dei doveri di cui ai precedenti articoli costituisce illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste nei titoli II, III, IV, V, VI di questo codice”;
  • e il testo novellato dell’art. 20, composto da due separati commi, che oggi recita come segue: “ La violazione dei doveri e delle regole di condotta di cui ai precedenti articoli e comunque le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia costituiscono illeciti disciplinari ai sensi dell’art. 51, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247.
  1. Tali violazioni, ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai titoli II, III, IV, V e VI del presente codice, comportano l’applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non riconducibili a tali ipotesi comportano l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui agli articoli 52 lettera c) e 53 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla loro entità, sulla base dei criteri di cui agli articoli 21 e 22 di questo codice”.

In nuovo testo chiarisce, pertanto, rispetto alla precedente formulazione, che, in mancanza di espressa tipizzazione della figura di illecito, la stessa sarà ricostruita sulla base dei principi fondamentali e fondanti l’ordinamento forense. E ciò in quanto “Al giudice della deontologia è infatti rimessa in via esclusiva la valutazione del disvalore della condotta, della gravità del comportamento, del grado della colpa e dell’intensità del dolo, onde adattare, sempre e comunque, la sanzione alla fattispecie concreta, adeguandola nel rispetto del principio di proporzionalità”.

Con riferimento all’art. 27, rubricato “Doveri d’informazione”, la novella integra il comma 3° con la espressa previsione del dovere di informare per iscritto il cliente anche della possibilità di avvalersi della c.d. negoziazione assistita, procedimento che, come noto, riconosce all’avvocato un ruolo decisivo per il raggiungimento di una composizione stragiudiziale.

Ciò, appare evidente, da un mero raffronto:

  • tra il testo previgente: “ L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare la parte assistita chiaramente e per iscritto della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge”
  • e quello attualmente in vigore: “3. L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge”.

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[:it]prenuptial-agreements

Dopo due anni, è giunta finalmente in discussione alla Camera la proposta di legge n°2669 del 2014, avente ad oggetto i c.d. “prenuptial agreements”, o accordi prematrimoniali, noti da tempo nel mondo anglosassone ma sino ad oggi banditi nel nostro ordinamento per nullità della causa.

Cosa sono gli accordi prematrimoniali?

Gli accordi prematrimoniali sono dei contratti sottoscritti dai coniugi con cui gli stessi disciplinano i loro rapporti patrimoniali in vista di un’eventuale separazione o divorzio. Funzione di tali accordi è quello di predeterminare le conseguenze patrimoniali della separazione o del divorzio in un momento antecedente, scongiurando altresì anni di costose battaglie giudiziarie.

Perché erano banditi in Italia?

In Italia, la Suprema Corte di Cassazione già da diversi decenni orsono aveva dichiarato la nullità di tali accordi, per illiceità della loro causa, incompatibili con l’indisponibilità dello status di coniuge e di alcuni diritti spettanti a seguito della separazione o del divorzio, in primis il diritto all’assegno divorzile, attesa la sua natura assistenziale. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, tali accordi erano reputandoli “rischiosi” in quanto idonei a limitare tanto la libera disponibilità dello status di coniuge nonché a pregiudicare la funzione alimentare dell’assegno divorzile.

Riportiamo di seguito un passaggio della nota sentenza n°3777 dell’11 giugno 1981, una delle prime ad affrontare la questione degli accordi prematrimoniali e a dichiararne la nullità nel nostro ordinamento, anche per ragioni di ordine pubblico: “ In tema di divorzio, il preventivo accordo con cui gli interessati stabiliscono, in costanza di matrimonio, il relativo regime giuridico, anche in riferimento ai figli minori, convenendone l’immodificabilità per un dato periodo di tempo, è invalido, nella parte riguardante i figli, per l’indisponibilità dell’assegno dovuto ai sensi dell’art. 6 l. 1dicembre 1970, n. 898, nella parte riflettente l’assegno spettante all’ex coniuge a norma del precedente art. 5, per contrasto sia con l’art. 9 della stessa legge, che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del suindicato regime, sia con l’art. 5 cit., che, fissando i criteri per il riconoscimento e la determinazione di un assegno all’ex coniuge, configura un diritto insuscettibile, anteriormente al giudizio, di rinunzia o di transazione, attesa l’illiceità della causa di un negozio siffatto, perché sempre connessa, esplicitamente o implicitamente, all’intento di viziare, o quanto meno di circoscrivere, la libertà di difendersi in detto giudizio, con irreparabile compromissione di un obiettivo d’ordine pubblico come la tutela dell’istituto della famiglia. Pertanto, in tale giudizio, non può una delle parti impedire all’altra di provare la verità delle condizioni di fatto alle quali la legge subordina e commisura l’assegno di divorzio e quello di mantenimento dei figli, eccependo l’intangibilità dell’accordo intervenuto in merito prima dell’inizio del giudizio medesimo”.

In epoca più recente, la Suprema Corte, in una serie di pronunce (ex multis nn°8109/2000 e 5302/2006), ha affermato che i suddetti patti, qualora volti a quantificare preventivamente l’assegno di divorzio, non erano affetti da nullità assoluta bensì relativa, precludendo così al solo coniuge economicamente più forte di invocarne la nullità.

Di fondo, dietro le declaratorie di nullità di tali accordi, si cela anche un pregiudizio evidente nei confronti dell’autonomia privata dei coniugi, ai quali non era concesso di predeterminare contrattualmente le sorti, anche economiche, del naufragio del loro matrimonio. A partire dal 2012, tuttavia, si sono segnalate alcune pronunce volte a riconoscere una pur limitata valenza all’autonomia delle parti. È il caso della sentenza n°23713 del 21 dicembre 2012, con cui la Suprema Corte ha dichiarato la validità di un contratto con cui la futura moglie si era obbligata, in caso di fallimento del proprio matrimonio, a trasferire gratuitamente al marito un immobile, quale indennizzo per le somme dallo stesso sborsate per ristrutturare la loro casa familiare.

Perché ora questa nuova apertura del Parlamento?

Recentemente, tanto in ambito internazional-privatistico, a livello europeo, tanto nel diritto interno, si sta progressivamente assistendo ad una valorizzazione dell’autonomia privata, come mai successo in precedenza, anche nel settore del diritto di famiglia.

In particolare, il regolamento n°1259/2010 UE, in punto di giurisdizione e legge applicabile alla separazione e divorzio, ha introdotto la facoltà per i coniugi di scegliere, attraverso appositi accordi, ancor prima della separazione/divorzio, la legge applicabile alla stessa, proprio al fine di garantire la certezza del diritto, da un lato, e una deflazione del contenzioso giudiziario dall’altro.

Nel diritto interno, invece, l’autonomia privata è stata presa in considerazione dalla recente legge “Cirinnà” n°76/16, attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento dei c.d. “contratti di convivenza”, con cui le coppie non sposate possono regolamentare la propria vita comune.

Qual è la proposta attualmente in discussione alla Commissione della Camera?

Il D.D.L., datato 2014, attualmente in discussione, si pone l’obiettivo di “riconoscere ai futuri coniugi nel momento che precede il matrimonio una più ampia autonomia al fine di disciplinare i loro rapporti patrimoniali e personali anche relativamente all’eventuale fase di separazione e di divorzio, attraverso accordi contenuti in un’apposita convenzione”.

Il D.D.L., in particolare, mira ad introdurre nel codice civile l’art. 162-bis c.c., rubricato “accordi prematrimoniali”, attraverso cui sarà permesso, salvo probabili modifiche all’attuale testo del D.D.L., di sottoscrivere, ricorrendo alternativamente alle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c. ovvero alla negoziazione assistita tra avvocati, a contratti prematrimoniali, attraverso cui regolamentare gli aspetti patrimoniali del fallimento della loro unione.

Andiamoli ad analizzare.

Nell’accordo i coniugi possono regolamentare gli aspetti patrimoniali:

  • attribuendo ad uno di essi, alternativamente una somma di denaro periodica ovvero una somma di denaro una tantum (in unica soluzione);
  • attribuendo ad uno di essi, un diritto reale su uno o più immobili “anche con il vincolo di destinare, ai sensi dell’articolo 2645-ter, i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica degli stessi”;
  • rinunciando al mantenimento, fatto salvo in questo caso il diritto agli alimenti, ex articoli 433 e ss. c.c.;
  • trasferendo all’altro ovvero ad un terzo “beni o diritti destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli disabili per la durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità”.

Ad ogni modo, le predette attribuzioni, specifica il disegno, non possono superare “più della metà del proprio patrimonio”.

In oltre, al fine di “adattare” le attribuzioni al momento in cui l’accordo produrrà effetti, il legislatore ha previsto altresì la possibilità per le stesse di “stabilire un criterio di adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali predisposte con gli accordi prematrimoniali”.

Qualora poi gli accordi abbiano ad oggetto il mantenimento anche dei figli minori o non ancora economicamente autosufficienti, il testo prevede la necessaria autorizzazione del procuratore della Repubblica, il quale, qualora non la conceda, dovrà indicarne i motivi, invitando le parti ad una riformulazione. In caso di bocciatura anche della proposta riformulata, poi, il diniego sarà definitivo.

Il disegno di legge prevede anche una deroga rispetto al divieto di patti successori, consentendo, nei limiti del rispetto dei diritti dei legittimari, di regolamentare anche quanto ricevuto dagli stessi coniugi per successione.

Per quanto attiene alla dimensione temporale, è importante evidenziare come tali patti possono essere stipulati e anche modificati sia prima che durante il matrimonio, purché prima del deposito del ricorso per separazione personale/la sottoscrizione della convenzione assistita o dell’accordo ex art. 6 e 12 D.lgs. n°132/14.

Ma ad oggi sono validi questi patti?

Che tali patti siano tuttora nulli è tuttavia da considerarsi pacifico alla luce anche della recente sentenza n°2224 del 30 gennaio 2017 della Suprema Corte di Cassazione. Non ci resta, pertanto, che aspettare fiduciosi nell’approvazione del D.D.L.

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[:it]

Risultati immagini per mediazione immagineIl Tribunale di Mantova, con ordinanza 24 settembre 2015, interpreta la disposizione contenuta nell’art. 4 comma 1 D.L. n. 132 del 2014 (secondo cui la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c.) nel senso che la mancata risposta del convenuto all’invito alla negoziazione assistita consente al giudice di concedere la provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo, ma non può valere ad esonerare l’istante dal fornire la prova della propria pretesa; e ciò in quanto dalla mera contumacia del convenuto non possono desumersi argomenti di prova ex art. 115 comma 1 c.p.c.

Viene quindi rigettata la domanda di pagamento della somma dovuta a saldo del corrispettivo per la fornitura e posa in opera di alcuni manufatti, proposta  da un signore con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., in considerazione del fatto che parte attrice, a fondamento della propria pretesa, aveva prodotto solo una copia della fattura giustificativa del preteso credito ma non aveva formulato alcuna istanza istruttoria.

 

Testo degli artt. 2 e 4 del DL 12/09/2014, n. 132: procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati

Art. 2.  Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati

  1. La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo anche ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

1-bis.  È fatto obbligo per le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura, ove presente.

  1. La convenzione di negoziazione deve precisare:
  2. a) il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti;
  3. b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro
  4. La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il termine di cui al comma 2, lettera a).
  5. La convenzione di negoziazione è redatta, a pena di nullità, in forma scritta.
  6. La convenzione è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati.
  7. Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.
  8. È dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

Art. 4.  Non accettazione dell’invito e mancato accordo

  1. L’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile.
  2. La certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito avviene ad opera dell’avvocato che formula l’invito.
  3. La dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati.

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