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[:it]La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili, ad uso abitativo o come nella specie ad uso diverso da abitazione è causa di nullità dello stesso. Il contratto non registrato in toto, contenente l’indicazione del reale corrispettivo della locazione, è infatti “sconosciuto” all’Erario dal punto di vista fiscale ed è nullo dal punto di vista civilistico in virtù della testuale previsione di cui all’art. 1, comma 346, della legge finanziaria 2005, che ricollega la sanzione di invalidità al comportamento illecito alla violazione dell’obbligo di registrazione, trattandosi di prescrizione non avente esclusivo carattere tributario bensì regola di diritto civile, comminante una speciale nullità nei rapporti tra privati. Trattandosi di nullità essa è pertanto rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio.

Così si è recentemente espressa la Corte di cassazione, Sez. III civ. ordinanza 9 marzo 2018, n. 565

Qui di seguito il testo del provvedimento:

 

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17/9/2015 la Corte d’Appello di Milano, rigettato quello in via principale spiegato dalla società …………. s.r.l., in accoglimento del gravame in via principale interposto dall’Istituto Suore ……………………………..e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Milano 10/12/2013, ha accolto – per quanto ancora d’interesse in questa sede – la domanda da quest’ultimo nei confronti della prima proposta di pagamento dei canoni arretrati relativi al contratto di locazione tra di essi intercorso avente ad oggetto immobile sito all’interno della Clinica …………….. sito in …………., già dichiarato risolto dal giudice di prime cure. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società………… s.r.l. propone ora ricorso per cassazione affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso l’Istituto Suore ………………….
Motivi della decisione
Con il 2 motivo la ricorrente denunzia “violazione o falsa applicazione” degli artt. 112, 115, 132 c.p.c., artt. 1367, 1418, 1421, L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Si duole che la corte di merito abbia omesso di pronunziare in merito alla “mancata produzione in atti delle certificazioni dell’avvenuta registrazione”, conseguentemente non accogliendo la domanda di annullamento e/o riforma dell’impugnata sentenza di 1^ grado. Il motivo, che va previamente esaminato in quanto logicamente prioritario, è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili, ad uso abitativo o come nella specie ad uso diverso da abitazione è causa di nullità dello stesso (v. Cass., Sez. Un., 9/10/2017, n. 23601). Il contratto non registrato in toto, contenente l’indicazione del reale corrispettivo della locazione, è infatti “sconosciuto” all’Erario dal punto di vista fiscale ed è nullo dal punto di vista civilistico in virtù della testuale previsione di cui all’art. 1, comma 346, Legge Finanziaria 2005, che ricollega la sanzione di invalidità al comportamento illecito alla violazione dell’obbligo di registrazione, trattandosi di prescrizione non avente esclusivo carattere tributario bensì di regola di diritto civile, comminante una speciale nullità nei rapporti tra privati (sia pure per effetto di una violazione di carattere tributario) (v. Cass., Sez. Un., 9/10/2017, n. 23601). Trattandosi di nullità essa è pertanto rilevabile (anche) d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio. Orbene, nell’affermare che “quanto al merito, l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice per essersi pronunciato su un’eccezione mai sollevata dall’attuale appellante è in realtà ininfluente ai fini della decisione impugnata, atteso che l’appellante non ha contestato… l’esistenza e la validità del contratto, e quindi la pronuncia di risoluzione, che tale validità presuppone”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso il suindicato principio. Della medesima, assorbiti gli altri motivi, va pertanto disposta la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disattesoprincipio applicazione. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il 2^ motivo, assorbiti gli altri. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2017. Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2018

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[:it]downloadLe Sezioni Unite ritornano sull’annosa questione della (in)validità del contratto di locazione immobiliare di cui sia stata omessa la registrazione.

Il primo grado di giudizio

La vicenda trae origine dall’intimazione di sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida, notificato dalla proprietaria di due immobili concessi in locazione ad uso commerciale ad una società con contratto del 20 ottobre 2008, registrato in data 4 novembre 2008, nel quale le parti avevano convenuto la sua efficacia retroattiva al 1° maggio dello stesso anno. La locatrice lamentava altresì il ritardato pagamento di due canoni nonché il mancato pagamento del maggior prezzo convenuto inter partes con un c.d. “atto integrativo” del contratto di locazione, registrato in data 22 gennaio 2009, in cui venivano indicati due diversi canoni, entrambi superiori a quelli risultanti nel contratto registrato:

  • un primo, pari ad € 5.500,00, definito “reale ed effettivo”, “…che avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso che una o entrambe le parti avessero proceduto alla registrazione dell’accordo integrativo”;
  • il secondo, ridotto rispetto al primo ma maggiorato rispetto al prezzo indicato nel contratto registrato, “…sarebbe stato corrisposto dal conduttore nell’ipotesi di omessa registrazione del medesimo accordo…”.

Si costituiva in giudizio la conduttrice contestando la validità dell’accordo integrativo per violazione dell’art. 79, L. n°392/1978, oltre che tardivamente registrato.

Il giudice di primo grado, rigettata l’istanza ex art. 655 c.p.c., dopo aver disposto il mutamento del rito, statuiva che:

  • era esclusa l’inefficacia del contratto per intempestiva registrazione;
  • era da considerarsi nulla la pattuizione aggiuntiva “…in quanto contenente la illegittima previsione di un aumento automatico del canone…”;
  • a seguito dell ritardo del pagamento di due canoni, espressamente previsto contrattualmente quale causa di risoluzione, dichiarava risolto il contratto di locazione

Il giudizio dinnanzi alla Corte d’Appello

La conduttrice, impugnava detta sentenza:

  • rilevando che il ritardo nei pagamenti dei due canoni era ascrivibile all’istituto bancario, in quanto la stessa avrebbe tempestivamente disposto i bonifici, i quali, tuttavia, sarebbero stati accreditati dall’istituto oltre il termine contrattualmente previsto, invocando pertanto l’operatività dei principi di correttezza e buona fede;
  • chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza, “…previa conferma della validità del (solo) contratto di locazione stipulato il 20 ottobre 2008”.

La Corte d’appello, investita della questione:

  • riteneva, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante e dal Tribunale, che “…la previsione contrattuale aggiuntiva di cui all’art. 2 del patto integrativo – registrato prima dell’introduzione del giudizio e ritenuto efficace dal primo Giudice con motivazione espressa e non censurata – valeva a configurarsi alla stregua di controdichiarazione attestante la simulazione relativa del prezzo, posta in essere per intuibili scopi di elusione fiscale”;
  • osservava che non era configurabile un illecito aumento dei canoni, nullo ex art. 79 L. n°392/78, “…in quanto il complesso regolamento delle rispettive posizioni patrimoniali operato dalle parti conduce(va) a ritenere di essere dinanzi ad un canone di locazione fissato sin da subito in € 5500 mensili: ne fa(ceva) fede il fatto che il contratto sottoscritto il 20 ottobre 2008 facesse retroagire i suoi effetti al primo maggio dello stesso anno, con la previsione di uno sconto in ragione della mancata registrazione dell’effettivo importo contrattuale”;
  • affermava essersi in presenza di “…un contratto sottoposto a condizione sospensiva – pienamente lecita ed anzi imposta – afferente alla misura del canone e legata alla registrazione del contratto reale”;
  • confermava pertanto la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione;
  • condannava la società al pagamento delle differenze dovute tra canone corrisposto e quello effettivamente dovuto, pari ad € 5.500,00, in forza della scrittura integrativa.

Il ricorso per cassazione

La conduttrice, non si rassegnava, ricorrendo fino in cassazione. Depositava altresì controricorso la locatrice.

La Corte, investita della questione, si sofferma in particolare sugli effetti di un tardivo adempimento all’obbligo di registrazione del contratto di locazione, alla luce dei recenti interventi normativi.

Le riforme legislative e le interpretazioni giurisprudenziali con riferimento alle locazioni ad uso abitativo

In particolare, la Corte ripercorre nel dettaglio le numerose riforme legislative susseguitesi negli anni soffermandosi preliminarmente su quelle che hanno avuto ad oggetto le locazioni ad uso abitativo:

  • l’art. 13, co. 1, L. 431/98, ai sensi del quale “…è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”;
  • l’art. 1, co. 346, L. 311/2004, ai sensi del quale “…i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati”;
  • l’art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. 23/2011, il quale, ancorché non più vigente in quanto dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, prevedeva “…un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito: la durata del rapporto avrebbe dovuto essere legalmente rideterminata in quattro anni rinnovabili decorrenti dal momento della registrazione tardiva e il canone annuale veniva predeterminato nella misura del triplo della rendita catastale dell’immobile, ove inferiore a quella pattuita…”;
  • l’art. 1, comma 59, L. 208 del 28 dicembre 2015, il quale, recependo il contenuto del d.lgs. 23/2011, ha novellato l’art. 13 della l. 431/98, introducendo le seguenti significative modifiche: – al comma 5, “…il meccanismo di sanzione della mancata registrazione del contratto di locazione mediante la determinazione autoritativa del canone imposto, di cui all’art. 3, comma 8, d.lgs. 23 del 2011…”, nonché la previsione del “…l’obbligo unilaterale in capo al locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro il ‘termine perentorio di trenta giorni’ (comma 1, secondo periodo) stabilendo che, in caso di inottemperanza a tale obbligo, il conduttore possa chiedere al giudice di accertare la esistenza del contratto e rideterminarne il canone in misura non superiore al valore minimo di cui al precedente art. 2”.

Una volta chiarita l’esistenza della “sanzione testuale della nullità conseguente alla omessa registrazione…”, la Corte si interroga sulla sanabilità (o meno) del negozio attraverso la tardiva registrazione, alla luce dell’art. 1423 c.c., che dispone che “…il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”.

La Corte, dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, confermando l’orientamento di cui alla sentenza n°18213/2015 delle stesse SS.UU. in punto di locazioni ad uso abitativo, affermano:

  • che “…la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e dovuto il canone apparente”;
  • tale patto occulto “…in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, vicenda extranegoziale inidonea ad influire sulla testuale (in)validità civilistica…”;
  • non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale …, ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullità, è colpita dalla previsione legislativa, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l’effetto diacronico della sostituzione è impedito dalla disposizione normativa, sì che sarà proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con conseguente, perdurante validità di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”;
  • Detta invalidità negoziale assume i connotati della nullità virtuale “…attesa che la causa concreta del patto occulto, ricostruita alla luce del precedente procedimento simulatorio, illecita perché caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale e, quindi, insuscettibile di sanatoria…”.

L’applicabilità dei suddetti principi anche alle locazioni non abitative

La Suprema Corte afferma la piena applicabilità dei suddetti principi anche alle locazioni non abitative, e ciò nonostante manchi per le locazioni non abitative “…una norma espressa che sancisca la nullità testuale del patto di maggiorazione del canone, come invece espressamente previsto dall’art. 13 della legge 492/1998”:

  • alla luce della chiara lettera della disposizione normativa, che “…non solo ha reiterato la qualificazione del vizio in quegli stessi termini di nullità già utilizzati dall’art. 13 L. n. 431 del 1998 con riferimento alle sole locazioni ad uso abitativo, ma ne ha anche ampliato l’incidenza, estendendola a tutti i contratti di locazione, e altresì riferendola all’intero contratto e non soltanto al patto occulto di maggiorazione del canone”;
  • alla luce del dictum della Corte costituzionale, a mente del quale “…a mente del quale l’art. 1, comma 346 eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.

Ad avviso della Suprema Corte:

  1. si è in presenza di una nullità riguardante “…l’intero contratto(e non per il solo patto controdichiarativo), in conseguenza non già di un vizio endonegoziale, ma (della mancanza) di un requisito extraformale costituito dall’omissione della registrazione del contratto…”;
  2. il contratto di locazione ad uso non abitativo (non diversamente, peraltro, da quello abitativo), contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, I. n. 311 del 2004, ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile, volta che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” appare coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” (entrambi i termini da intendersi, come ovvio, in senso diverso da quello tradizionalmente riservato al momento esecutivo del rapporto negoziale);
  3. detto effetto sanante “…è destinato a retroagire alla data della conclusione del contratto”.

La Corte, da ultimo, si interroga sull’applicabilità dei suddetti principi al caso di specie, “…e cioè all’ipotesi in cui la fattispecie concreta sia costituita da un accordo simulatorio cui consegua non già la tardiva registrazione dell’intero contratto che preveda, ab origine, la corresponsione del canone reale, ma quella del solo patto dissimulato (raccordo integrativo” del caso di specie) volto ad occultare un canone maggiore, dopo che il contratto contenente il canone simulato sia stato a sua volta e previamente registrato, sulla premessa per cui la sanatoria da tardiva registrazione elimina soltanto la nullità (testuale) sopravvenuta, lasciando impregiudicata la sorte del contratto qual era fino alla violazione dell’obbligo di registrazione (inidonea a spiegare efficacia sanante su di una eventuale nullità da vizio genetico)”.

Ad avviso della giudici transtiberini, infatti, si devono distinguere due ipotesi:

  • quella della “totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza, pertanto, di qualsivoglia procedimento simulatorio)…”;
  • quella “…di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il cd. “accordo integrativo” con canone maggiorato (ipotesi alla quale potrebbe ancora aggiungersi quella della mancata registrazione dello stesso contratto contenente il canone simulato, oltre che del detto accordo integrativo)”.

A ciò consegue che nell’ipotesi sub 1), di contratto in toto non registrato, è lo stesso legislatore a ricollegare la sanzione dell’invalidità al comportamento illecito del locatore, consistente nella mancata registrazione del contratto;

L’ipotesi sub 2), “…di un contratto debitamente registrato, contenente un’indicazione simulata di prezzo, cui acceda una pattuizione a latere (di regola denominata “accordo integrativo”, come nel caso di specie), non registrata e destinata a sostituire la previsione negoziale del canone simulato con quella di un canone maggiore rispetto a quello formalmente risultante dal contratto registrato…”, invece:

  • dovrà invece essere ricondotta all’istituto della simulazione, conformemente a quanto affermato dalle SS.UU. del 2015 con riferimento alle locazioni ad uso abitativo;
  • “…lafattispecie della simulazione (relativa) del canone locatizio risulta affetta da un vizio genetico, attinente alla sua causa concreta, inequivocabilmente volta a perseguire lo scopo pratico di eludere (seppure parzialmente) la norma tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti di locazione”;
  • a seguito dell’elevazione della norma tributaria a norma imperativa, pertanto, la convenzione negoziale deve essere ritenuta “…intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perché ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa (ex art. 1418, comma 1, c.c.), tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost. – la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) è stata, già in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)…”;
  • essendo detta nullità qualificabile come nullità virtuale a ciò consegue la sua insanabilità in quanto derivante “…non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceità della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”.

La sorte del contratto di locazione regolarmente registrato e contenente l’indicazione del canone simulato

Ciò chiarito, la Corte si interroga sulla sorte del contratto di locazione regolarmente registrato e contenente l’indicazione del canone simulato.

A riguardo la Corte preliminarmente richiama la soluzione offerta dalle SS.UU. del 2015 con riferimento ai contratti ad uso abitativo, ad avviso del quale, la sanzione della nullità prevista dall’art. 13, comma I, della legge n°431/1998 “…colpisse non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale (attesane la precipua funzione di controdichiarazione), ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, sicché “sarà proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullità ex lege, con conseguente, perdurante validità di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”.

La Corte, successivamente, interpretando l’art. 79 della legge 392/1978 quale speculare all’art. 13 della legge n°431/1998, afferma che “se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullità testuale ex art. 1, comma 346, I. n. 311/2004, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale, si é in presenza, quanto al cd. “accordo integrativo”, di una nullità virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione”;

Conseguentemente, “il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto”.

Le conclusioni della Corte

Ad avviso della Corte una tale conclusione:

  • ha l’effet util di ricondurre ad unità la disciplina della nullità e della (eventuale) sanatoria di tutti i contratti di locazione, abitativi e non;
  • giustifica una sanzione più grave (nullità insanabile) rispetto a quella prevista per l’omessa registrazione dell’intero contratto (sanabile), congrua rispetto al comportamento posto in essere nelle due ipotesi (“…vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso”).

«(A) La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili è causa di nullità dello stesso;

 (B) Il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;

(C) E’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione[:]

[:it]Risultati immagini per immagine locazione casaL’art. 1, comma 346, L. 30/12/2004, n. 311, stabilisce che “i contratti di locazione (…) sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

La lettera della legge non consente dubbi sul precetto che esprime, ovvero che un contratto di locazione non registrato è giuridicamente nullo.

E ciò, ad avviso della sentenza 13 dicembre 2016, n. 25503 della Corte di Cassazione, non solo per l’insuperabile argomento letterale, ma anche alla luce dell’autorevole lettura che della norma in esame ha dato la Corte costituzionale con la sentenza 5 dicembre 2007, n. 420, ove si afferma che la norma in esame ha elevato “la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.”.

Dal mancato rilievo della nullità del contratto da parte della Corte di Appello, afferma ancora la sentenza, sono scaturiti i seguenti ulteriori errori di diritto da parte del giudice del merito:

1) l’avere ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 1458 c.c., norma che disciplina la risoluzione per inadempimento dei contratti di durata, e non gli effetti della nullità, i quali sono invece disciplinati dalle norme sull’indebito oggettivo, da quelle sul risarcimento del danno aquiliano (nel caso di sussistenza degli altri presupposti dell’illecito extracontrattuale), ovvero da quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale;

2) l’avere equiparato l’obbligo di pagare il canone, scaturente dal contratto e determinato dalle parti, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per la perduta disponibilità dell’immobile, scaturente dalla legge e pari all’impoverimento subito.

Ad avviso della Corte, invece, la prestazione compiuta in esecuzione d’ un contratto nullo costituisce indebito oggettivo, disciplinato dall’art. 2033 c.c.

L’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. E’ quanto si legge nella sentenza n. 25503 del 13 dicembre 2016.

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[:it]damageLa Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°20024/16, si è pronunciata su un’ingente richiesta di risarcimento presentata dai proprietari di un immobile, adibito a scuola, locato originariamente al Comune di Frattamaggiore, nel cui contratto era stato successivamente subentrata la Provincia di Napoli.

La vicenda trae origine del ricorso per cassazione presentato dagli stessi proprietari avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, con cui i giudici partenopei avevano condannato la provincia di Napoli ad un importo notevolmente inferiore a quello richiesto, dichiarando inammissibile “…la domanda degli eredi (OMISSIS) contro il Comune di Frattamaggiore, sul rilievo che l’estensione della domanda del (OMISSIS) nei confronti del Comune, formulata all’udienza di conclusioni da’ primo grado, era tardiva” e condannando il Comune a rimborsare alla conduttrice cessionaria il 50% di quanto questa avesse dovuto pagare.

La Corte, investita della questione, chiarisce il seguente principio, già espresso con sentenza del 1 giugno 2004, n°10485: “in materia di risarcimento del danno arrecato alla cosa locata, in caso di cessione del contratto di locazione, ferma la responsabilità solidale del conduttore cedente e del cessionario nei confronti del locatore, nell’ambito dei rapporti interni tra i vari conduttori, il debito va ripartito secondo il criterio dell’imputabilità, salvo che per i deterioramenti per i quali non sia possibile accertare a quale dei debitori solidali siano imputabili; in tal caso le parti del debito solidale si presumono uguali tra i conduttori”. Cass. Sentenza n. 10485 del 01/06/2004”.

Gli ermellini, poi, richiamando una sua successiva sentenza, n°9846 del 2007, con la quale era stata chiarita la natura non già solidale, bensì sussidiaria, della responsabilità del cedente, “…una volta che il locatore si sia inutilmente rivolto al cessionario inadempiente”, affermano che l’accertata natura sussidiaria della suddetta responsabilità non incide sulla valenza del“… principio secondo il quale, in caso di cessione del contratto di locazione ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 36, nei confronti del locatore che non abbia liberato il cedente, anche quest’ultimo risponde dell’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto, salvo il beneficium ordinis nel senso chiarito da Cass. n. 9486 del 2007”.

La Suprema Corte, applicando detti principi al caso concreto, non avemte ad oggetto problematiche relative al beneficium ordinis, rigetta il ricorso ritenendo incensurabile l’operato dei giudici partenopei, i quali avevano correttamente applicato il principio di imputabilità al fine di ripartire la responsabilità per danni tra conduttore cedente e cessionario.[:]

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Risultati immagini per immagine casa con infiltrazioniRicorda la terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 27 settembre 2016 n. 18987 che «al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore.

La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti (da ultimo, cfr. Cass. sez. VI, 26/01/2015, n. 1317)».

Il conduttore di un immobile ad uso commerciale veniva chiamato in causa dal proprietario affinché fosse dichiarata l’intervenuta risoluzione contrattuale per inadempimento consistente nel mancato pagamento di alcuni canoni di locazione.

Il conduttore opponeva, in sua difesa, che l’immobile aveva vizi tali da non essere considerato in tutto o almeno in parte idoneo all’uso convenuto e come tale doveva considerarsi legittima la sospensione del pagamento del  canone

Il giudice del merito ritenevano quindi infondate le eccezioni del conduttore,  condannandolo anche al risarcimento del danno.

Inutile il ricorso in Cassazione,

Per il Giudice di legittimità deve ritenersi quindi illegittima la condotta del locatore che non paghi o riduca il pagamento del canone di locazione a fronte di difetti dell’immobile preso in locazione tali da non diminuire in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito.

A tal fine rappresenta elemento di prova della idoneità all’uso, il fatto stesso che il conduttore abbia continuato ad utilizzare l’immobile nonostante il mancato pagamento dei canoni. Ciò a maggior ragione quando il contratto contenga elementi utili a far considerare gli eventuali difetti manifestatisi nel corso della sua esecuzione come noti e quindi non occulti

In tali condizioni, pertanto, il suddetto conduttore è da considerarsi moroso e come tale deve ritenersi legittima la richiesta di risoluzione contrattuale avanzata dal proprietario per inadempimento della controparte.

Si noti bene: il conduttore avrebbe potuto cercare di risolvere la questione  con il proprietario in via stragiudiziale, in sede di mediazione, o, comunque, rivolgendo le domande di riduzione del canone e risarcimento danni all’autorità giudiziaria.

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Una società conduttrice si oppone allo sfratto per morosità promosso in suo danno, sostenendo: – che i locali da lei condotti in locazione avevano subito gravi danni a causa di lavori di ristrutturazione effettuati dalla proprietaria della vicina porzione immobiliare; – che la mancata riparazione di detti danni costituiva grave inadempimento da parte del locatore e giustificava il mancato pagamento, da parte sua, di alcuni canoni di locazione.

Per la Corte di Cassazione – sentenza il 15 dicembre 2015 n. 25219 – il comportamento della società non è giustificabile:

  • nel caso di molestie di fatto ovverosia di molestie che comportino un pregiudizio al godimento materiale del conduttore (e tali sono quelle sopra illustrate), è da escludere che il locatore sia tenuto a garantire il conduttore per il fatto del terzo, ben potendo il conduttore di agire direttamente ed in nome proprio contro il terzo, pur persistendo, al riguardo, autonoma e concorrente legittimazione ad agire in capo al locatore;
  • il locatore è invece tenuto a garantire il conduttore nel caso di molestie di diritto (art. 1585 comma 1 c.c.), che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, o contestando il potere di disposizione del locatore, o rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore.

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