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[:it]Niente assegno di divorzio dal marito ricco all’ex moglie, professoressa.

Lo afferma la Corte di cassazione, con sentenza 29 agosto 2017 n. 205235, ribadendo i principi già esposti nella nota sentenza n. 11504 del 10 maggio scorso.

La donna, insegnante di matematica, proprietaria dell’abitazione in cui risiede e che aveva effettuato alcuni investimenti immobiliari, si era rivolta al tribunale di Fermo per ottenere un assegno di divorzio. Una richiesta motivata dalla necessità di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e dal fatto che la condizione economica dell’ex marito era più vantaggiosa rispetto alla sua.

Il tribunale di Fermo accoglieva la richiesta della donna, ritenendo che il mantenimento dovuto «in ragione della forte sproporzione delle situazioni reddituali e patrimoniali tra le parti e al fine di una conservazione, almeno tendenziale, in favore del coniuge economicamente più debole del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio».

L’uomo presentava ricorso alla Corte di Appello di Ancona, la quale, non solo confermava la sentenza di primo grado, ma condannava l’ex marito all’intero pagamento delle spese sia per il procedimento in primo grado che per quello dell’appello.

A questo punto al marito non rimaneva che presentare ricorso in Cassazione. L’uomo si doleva del fatto che i giudici di merito non avevano in alcun modo dato un peso al fatto che lui aveva dato alla ex 157 mila euro prima della pronuncia di divorzio, nè valorizzato il fatto che la signora era tutt’altro che bisognosa. La donna poteva contare, infatti, sul suo stipendio di professoressa di matematica, su un’abitazione di proprietà, oltre che sui frutti di vari investimenti immobiliari. Dalla situazione economica era chiaro, secondo il ricorrente, che non c’erano i presupposti per l’assegno.

I giudici della sesta sezione ribaltano la “doppia conforme” a favore della moglie, facendo perdere la partita finale alla signora. «Si ritiene – nella motivazione nella sentenza – che il ricorso deve essere accolto dando così continuità alla recente giurisprudenza di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017, secondo cui il diritto all’assegno di divorzio è condizionato dal suo previo riconoscimento in base a una verifica giudiziale». Se per i giudici di primo e secondo grado andava data importanza alla circostanza che tra situazione patrimoniale e reddituale dell’uomo e quella della donna esisteva una forte sproporzione, la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato il principio, nel senso che gli aspetti ai quali dare rilevanza per definire se l’ex moglie ha diritto all’assegno di divorzio sono altri. I giudici di primo e secondo grado avrebbero dovuto valutare che la donna è insegnante di matematica, ha effettuato investimenti immobiliari ed ha un’abitazione di proprietà. In pratica, è necessario accertare se l’ex coniuge richiedente l’assegno ha veramente diritto ad ottenerlo, in base al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole, e solo dopo si potrà quantificare l’importo.

il matrimonio non può più essere considerato un’assicurazione sulla vita.[:]

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Risultati immagini per foto tradimentoRisultati immagini per foto tradimentoL’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge”.

Lo ha nuovamente ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 18111 depositata lo scorso 21 luglio.

La vicenda in esame

La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 18/9 – 2/10/2015, escludeva il diritto dell’ex moglie a percepire l’assegno divorzile, risultando la stessa convivente con un nuovo compagno.

Avverso tale pronuncia, la donna presentava ricorso in Cassazione, eccependo la fine della convivenza sin dal 2008 – ovvero prima ancora dell’inizio del giudizio di primo grado – e richiedendo pertanto il riconoscimento dell’assegno divorzile.

La Cassazione, con ordinanza 21 luglio 2017, n. 18111 rispingeva il ricorso, affermando che il diritto all’assegno divorzile non discende dalla situazione attuale del coniuge economicamente più debole, ma può essere riconosciuto solamente laddove sussista ancora un collegamento con il tenore ed il modello di vita che caratterizzava il periodo di convivenza matrimoniale. E ciò in quanto la nuova convivenza stabile e continua, costituendo “un modello di vita in comune, analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio”, è tale da rescindere ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile.

Oltretutto – prosegue la decisione –  la formazione di una famiglia di fatto è sempre l’espressione di una scelta libera e consapevole, scelta che determina la cessazione del dovere di solidarietà patrimoniale tra gli ex coniugi e che, contestualmente, comporta l’assunzione di un rischio in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, ivi compresa la possibilità che tale rapporto di convivenza possa cessare.

Conseguentemente, una volta che il dovere di solidarietà patrimoniale tra ex coniugi è venuto meno a seguito della creazione di una nuova famiglia di fatto, esso non potrà rivivere neppure in caso di rottura del rapporto di convivenza.[:]

[:it]Immagine correlataAncora una volta la Cassazione, con sentenza 21 giugno 2017 n°15481 privilegia il criterio dell’indipendenza economica a quello del mantenimento del tenore di vita per stabilire l’entità e il diritto all’assegno di mantenimento nelle cause di divorzio.

Via libera quindi dalla Corte di Cassazione all’applicazione dei principi adottati dalla nota sentenza 10 maggio 2017 n°11507, che ha rivoluzionato il criterio di attribuzione dell’assegno di divorzio in favore del coniuge più debole archiviando il così il criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale.

La Suprema Corte ha infatti deciso che i giudici hanno l’obbligo di uniformarsi alle ultime novità in diritto quando decidono le cause e che i nuovi principi devono essere applicati “d’ufficio”.

E’ stato così accolto il ricorso di un funzionario romano in pensione con duemila euro al mese e un tfr da 61mila euro che tutti i mesi doveva versare cento euro alla ex moglie che aveva una pensione di 1141 euro, per «evidente divario economico tra le parti» e per consentirle «un tenore di vita in linea con la convivenza».

La Cassazione, dando ragione al reclamo dell’ex marito, ha stabilito che la Corte di Appello di Roma deve rivedere il caso, uniformandosi alla sentenza n°15481/17, e dunque senza prendere come riferimento il parametro del “tenore di vita”.

I supremi giudici inoltre rilevano che la ex moglie non aveva voluto depositare gli estratti conto bancari e anche questo è un elemento sul quale i giudici di merito devono “riflettere”.[:]

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Da oggi in poi non conterà più il criterio del tenore di vita goduto nel corso del matrimonio per determinare l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge che lo richiede. A contare sarà invece il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica e non più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e la sperequazione tra i redditi dei due coniugi.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato dall’ex moglie di un ex ministro dell’Economia nel Governo Monti avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano, confermando la sentenza dei giudici di primo grado, le aveva negato il diritto all’assegno divorzile in considerazione dell’accertata autonomia economica della signora. La Suprema Corte, investita della questione, confermando il rigetto della richiesta di assegno divorzile avanzata dalla moglie, ha superato il suo precedente e consolidato orientamento, ritenendo che “…il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale“. Ad avviso della Suprema Corte, pertanto, “l’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile – come detto – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile”. 

Tale interpretazione, ad avviso della Corte, sarebbe l’unica coerente con un altro orientamento invalso recentemente nella giurisprudenza di legittimità con riferimento alla formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile. Secondo detto orientamento il coniuge che crea una nuova famiglia perde il diritto all’assegno divorzile a seguito di una sua “…scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo dell’obbligo”. A ciò consegue l’illegittimità di gravare l’ex coniuge di detto assegno all’infuori dei casi in cui il proprio ex non sia in grado di mantenersi da solo. La Suprema Corte, pertanto, partendo da tali premesse arriva a sostenere che la precedente interpretazione invalsa nella giurisprudenza violerebbe il diritto fondamentale del coniuge obbligato all’assegno divorzile di fondarsi una nuova famiglia, consacrato nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e all’art. 8 CEDU (probabilmente per errore, la Corte fa impropriamente riferimento all’art. 12 che invece tutela il solo diritto a contrarre matrimonio), gravandolo di ingiustificati oneri economici che non trovano più giustificazione a seguito dell’estinzione, anche sul piano dei rapporti economico-patrimoniali, del rapporto matrimoniale.

Quali sono dunque ora i principi di diritto per la determinazione dell’assegno divorzile? In primo luogo deve essere verificato, nella fase dell’accertamento («informata al principio dell’ “autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”»), se sia dovuto o meno l’assegno di divorzio chiesto dall’ex coniuge, ovvero se la domanda di quest’ultimo «soddisfa le condizioni di legge» (mancanza di “mezzi adeguati” o comunque “impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”), con esclusivo riferimento «all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso».

Dunque, secondo i giudici transtiberini, il diritto all’assegno divorzile e la sua quantificazione va ora individuato attraverso un “parametro diverso”: “il raggiungimento dell’indipendenza economica” di chi ha richiesto l’assegno divorzile. Specularmente, chiarisce la Suprema Corte, “…se è accertato  che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto“, a nulla rilevando la circostanza che, in costanza di matrimonio, i superiori redditi dell’ex coniuge avevano permesso un tenore di vita più elevato.

Da ultimo, i giudici transtiberini chiariscono quali sono «i principali “indici”» da cui desumere l’autosufficienza economica (o meno) del coniuge richiedente, e cioè: il “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione.

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downloadCari amici Gengle, ritorniamo oggi su un argomento già trattato appena qualche settimana fa: il venir meno del diritto all’assegno divorzile in caso di nuova convivenza. Di recente, infatti, la Corte di Cassazione, sez. I^ civile, con ordinanza 5 dicembre 2016 – 8 marzo 2017, n°6009, è ritornata sull’argomento offrendo degli importanti chiarimenti.

La vicenda sottoposta alla Suprema Corte trae origine da una sentenza di divorzio con la quale il Tribunale di Rimini aveva negato ad un’ex moglie il diritto all’assegno divorzile, stante la sua pacifica convivenza con un nuovo compagno.

La donna impugnava la sentenza dinnanzi alla Corte d’Appello di Bologna che, accogliendo parzialmente il suo appello, le riconosceva un assegno divorzile, differenziando tra coabitazione e stabile convivenza. Ad avviso dei giudici di secondo grado, infatti, l’ex marito aveva provato unicamente la coabitazione dell’ex moglie con il nuovo compagno ma non anche “…la piena comunione spirituale e materiale…” tra i due.

Questa volta, tuttavia, è il marito a presentare ricorso, questa volta dinnanzi ai giudici della Cassazione, lamentando l’omessa giusta considerazione della comprovata pluriennale convivenza tra i due.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, rileva l’esistenza di un’ipotesi di motivazione meramente apparente, affermando l’assoluta illogicità della distinzione tra mera coabitazione e convivenza more uxorio. Ad avviso della Corte, infatti, una volta comprovata la stabile convivenza – come nel caso di specie, in cui la resistente aveva per giunta da tempo trasferito a casa del compagno la propria residenza anagrafica – non può ragionevolmente porsi sull’ex coniuge obbligato al mantenimento anche “…l’onere di dimostrare il grado di intimità che intercorre tra la coppia”. In altre parole, basta la prova della convivenza con altro uomo per far venir meno il diritto all’assegno divorzile.

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downloadLa Suprema Corte di Cassazione è recentemente ritornata – con ordinanza 5 dicembre 2016 – 8 marzo 2017, n°6009 –  sugli effetti di un’intervenuta stabile convivenza sul diritto dell’ex coniuge all’attribuzione dell’assegno divorzile.

La vicenda origina dal ricorso vittorioso presentato da un ex marito nei confronti del provvedimento con cui la Corte d’Appello di Bologna, in riforma parziale della sentenza di divorzio del Tribunali di Rimini, aveva riconosciuto il diritto all’attribuzione di un assegno divorzile in favore dell’ex moglie, ancorché da tempo coabitante con il nuovo compagno, sul presupposto della mancata prova dell’esistenza di una piena comunione spirituale e materiale tra i due.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, rileva l’esistenza di un’ipotesi di motivazione meramente apparente, affermando l’assoluta illogicità della distinzione tra mera coabitazione e convivenza more uxorio. Ad avviso della Corte, infatti, una volta comprovata la stabile convivenza – come nel caso di specie, in cui la resistente aveva per giunta da tempo trasferito a casa del compagno la propria residenza anagrafica – non può ragionevolmente porsi sull’ex coniuge obbligato al mantenimento anche “…l’onere di dimostrare il grado di intimità che intercorre tra la coppia”.

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 L’assegno di mantenimento, spiega la Cassazione, con la sentenza 27 novembre 2015 n. 24324, ha lo scopo di riallineare le condizioni di reddito dei due ex coniugi, facendo sì che anche quello meno benestante possa godere, dopo la separazione, dello stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. È chiaro che se in astratto il contributo da versare nei confronti dell’ex coniuge non è elevato (perché scarse sono le effettive possibilità del soggetto obbligato e non particolarmente agiato era il tenore di vita della coppia durante il matrimonio), anche la periodica percezione di somma di poche centinaia di euro, come un canone di locazione, potrebbe essere di per sé sufficiente a riequilibrare i due redditi e, quindi, ad escludere l’assegno di mantenimento.

Conseguentemente viene negato un assegno divorzile a una donna nella seguente situazione: lui ricava 35 mila in un anno, lei, invece, 36 mila dalla liquidazione della quota di comproprietà della casa coniugale, investiti nell’acquisto di un appartamento locato a 350 euro mensili. L’entrata periodica derivante dal canone di locazione, infatti, migliora le condizioni economiche della signora riportandole su un piano paritario rispetto a quelle dell’ex marito. Inoltre la donna aveva inoltre svolto due lavori in passato rimanendo disoccupata per non essersi presentata all’ufficio di collocamento di Forlì dopo essere stata chiamata per una nuova occupazione. Così la donna aveva preferito trasferitasi a Napoli a casa della madre.

È stato quindi comparato  il tenore di vita goduto dalla ricorrente durante il matrimonio e dopo: la conclusione è stata che il divario fra i suoi redditi e quelli percepiti dal marito, ancora in attività, non fosse imputabile ad “oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro da parte della prima, ma solo a una sua pigrizia tendenziale, allora alcun mantenimento le è dovuto”.

Di qui la conferma della sentenza della Corte d’Appello che aveva annullato la sentenza di primo grado che prevedeva in favore della signora un assegno di 300 euro mensili.

 

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Una donna invocava l’intervento degli Ermellini lamentando che la Corte di Appello aveva “completamente trascurato la stridente capacità reddituale” esistente tra lei e l’ex marito (€ 1.400,00 al mese la signora, € 2.600 euro al mese l’ex coniuge).

Tuttavia, per la sesta sezione civile – sentenza 4  novembre 2015 n. 22603 la differenza di reddito è azzerata dal peso delle rate del mutuo contratto per acquistare, proprio dalla donna, la metà della casa coniugale e permetterle così di acquistare, a sua volta, una casa di proprietà in cui abitare dopo la separazione.

Per cui i redditi dei due, anche se non identici, sostanzialmente si equivalgono consentendo “ad entrambi una vita dignitosa e non sostanzialmente dissimile da quella condotta in costanza di matrimonio”, circostanze che escludono il diritto della moglie a un assegno di mantenimento gravante a carico del C..

Di qui la condanna ricorrente anche al rimborso delle spese di lite.[:]

[:it]In sede di divorzio, resta quasi sempre da sciogliere il nodo relativo al mantenimento del coniuge.

Nel caso in esame, la posizione della moglie era di assoluta tranquillità economica, dato che risultava proprietaria della casa in cui viveva, titolare di un reddito da lavoro sufficiente ad assicurarle un’esistenza dignitosa. Ma, soprattutto, la donna non aveva dimostrato di aver goduto, durante il matrimonio, di un più elevato tenore di vita.

Per tali ragioni, al momento del divorzio, veniva revocato l’assegno di mantenimento riconosciuto alla donna in sede di separazione.

Chiarisce sul punto la VI^/1 Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza 23 settembre 2015 n. 18816, che nel caso in cui una donna lavori ed disponga di un proprio reddito, non ha diritto a ottenere l’assegno di mantenimento o quello divorzile, a meno che non dimostri di aver goduto, durante il matrimonio, di un tenore di vita più elevato.

L’assegno divorzile, infatti, mira a eliminare le sproporzioni di reddito tra i due ex coniugi e a garantire, a quello che sta economicamente peggio, di mantenere la stessa capacità di spesa di cui si era avvantaggiato quando la coppia viveva ancora insieme.

È chiaro, però,  che se, in sede di separazione, è stato riconosciuto il diritto al mantenimento, ma successivamente la disparità tra i redditi dei due coniugi si è livellata non si ha diritto all’assegno divorzile.[:]

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