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Risultati immagini per immagine bambini disabili insieme ai bambini normaliQuando hai un figlio normale e prendi buoni voti, sei felice.
Quando fa quel che si chiede loro, uno è felice, ma è una gioia normale, perché ovviamente, è suo dovere; ma quando si ha un figlio con alcune limitazioni, in ogni apprendimento e opportunamente, uno premi e vibra come se avessi vinto La lotteria.
Vorrei chiedere un favore su un argomento importante!
È la settimana dell’educazione speciale… autismo, dislessia, ADHD (deficit di attenzione, ecc. ) per tutti i bambini che lottano tutti i giorni per andare avanti, ottenere risultati, per avere successo e quelli che cercano di aiutarli.
Sarebbe bello insegnare ai nostri figli a essere gentili, a promuovere l’accettazione di tutti i compagni di classe, ecc. I bambini con bisogni speciali non sono strani.
Vogliono quello che tutti vogliono: essere accettati!!!
Posso fare una domanda?
Copiare e incollare questo in onore di tutti i bambini che sono unici ma diversi.

Andiamo a vedere chi ha un cuore forte.

Per favore, non condividere.  Copia e incolla.

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[:it]separazione-e-soldi_smallSulla base di questo principio, dettato non da una interpretazione letterale dell’art. 2941 c.c. ma dall’evoluzione del quadro normativo e della stessa coscienza sociale, la Corte di cassazione, Sezione VI – 1, con ordinanza del 5 maggio 2016 n. 8987 afferma che:

«la sospensione della prescrizione tra coniugi di cui all’art. 2941, n. 1, c.c. non trova applicazione al credito dovuto per l’assegno di mantenimento previsto nel caso di separazione personale, dovendo prevalere sul criterio ermeneutico letterale un’interpretazione conforme alla ratio legis, da individuarsi tenuto conto dell’evoluzione della normativa e della coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell’unità familiare e della tendenziale equiparazione del regime di prescrizione dei diritti post-matrimoniali e delle azioni esercitate tra coniugi separati;

nel regime di separazione, infatti, non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 c.c. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione».

Nello stesso senso si era già espressa la Corte di legittimità, da ultimo con sentenze 4 aprile 2014 n. 7981  e 20 agosto 2014 n. 18078.

Si noti bene:

sino al 2014 è stata opinione dominante che la sospensione della prescrizione operasse anche durante lo stato di separazione dei coniugi.

La soluzione veniva accolta sulla base dell’osservazione che la separazione rappresenta una fase in cui il vincolo risulta attenuato e però non implica il venir meno del rapporto matrimoniale e ciò in conformità a un orientamento già enunciato dalla Corte Costituzionale secondo la quale i coniugi non devono compiere atti interruttivi dei loro diritti, in considerazione della possibilità di una riconciliazione, che potrebbe essere compromessa dai suddetti atti (Corte Cost. 19 febbraio 1976, n. 35).

Inoltre, si prevede che all’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 si applica la sospensione della prescrizione sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (Tribunale di Modena 28 gennaio 2009).

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downloadNon basta la volontà del figlio “di stare con la mamma” per determinare il genitore presso il quale sarà disposto il suo collocamento abitativo. A dirlo è la Suprema Corte di Cassazione, sez. VI^-1, con ordinanza del 5 luglio 2016 n°23324, pubblicata il 16 novembre 2016.

La vicenda trae origine da una “classica” separazione all’italiana. Una giovane coppia si sposa e ha un figlio. Dopo poco i litigi aumentano sino a portare ad una situazione di inconciliabile conflitto, che sfocia a sua volta in un giudizio di separazione. Il conflitto aimè travolge anche il figlio, conteso dai due genitori che ne chiedono il collocamento presso di loro.

Il giudice, investito della causa, dispone una consulenza tecnica, al fine di verificare la capacità genitoriale dei coniugi e la volontà del bambino. In quella sede, il bambino, ascoltato da un’esperta psicologa, manifesta senza esitazione la volontà di rimanere con la madre. Ad avviso dell’esperta, tuttavia, sarebbe opportuno procedere al collocamento del minore presso il padre, una volta terminato l’anno scolastico. Tale trasferimento, infatti, appariva necessario per garantire “un suo equilibrato sviluppo, ovvero per allentare il rapporto ‘quasi simbiotico e di eccessiva dipendenza’ che lo lega alla madre e per evitare un diradamento degli incontri con il padre in un momento in cui ha invece bisogno di rafforzare il rapporto con tale figura genitoriale”.

Il giudice di primo grado, seguendo il parere dell’esperta, decide pertanto di disporre l’affidamento congiunto del minore e la sua collocazione presso il padre una volta terminato l’anno scolastico in corso.

La madre decide allora di presentare appello avverso la sentenza, ritenendo necessario procedere al collocamento presso di lei del figlio anche alla luce dell’avvenuto trasferimento per motivi di lavoro del padre a Roma – lontano dai parenti, dalla scuola e dagli amichetti del figlio – chiedendo di procedere nuovamente all’audizione del figlio.

La Corte d’appello, tuttavia, non accoglie le doglianze della moglie, respingendo la sua impugnazione.

Presentano allora ricorso per cassazione avverso il provvedimento tanto il padre quanto la madre, il primo al fine di ottenere l’affidamento esclusivo del figlio e l’esonero dall’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie, la seconda al fine di ottenere il suo collocamento presso di lei nonché l’aumento della cifra disposta per il suo mantenimento.

In particolare, la giovane madre si duole del fatto che i giudici di merito non avrebbero dato il giusto rilievo alla volontà manifestata dal figlio durante la C.T.U. di primo grado di restare a vivere con la madre, illegittimamente negando il suo ascolto diretto nel giudizio d’Appello, senza tenere in debito conto il sopravvenuto trasferimento del padre a Roma.

Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, l’operato dei giudici di I^ e II^ grado è esente da censure alla luce delle seguenti condivisibili osservazioni:

  • il sopravvenuto trasferimento per lavoro del padre è circostanza inidonea ad incidere di per sé sul regime di affidamento del minore, assumendo “…rilievo solo con riguardo alle modalità di collocazione abitativa del minore e di sua frequentazione con il coniuge non collocatario”, con conseguente non necessarietà di una nuova audizione del minore;
  • la sentenza impugnata aveva dato atto del desiderio espresso dal figlio di restare a vivere con la madre, condividendo tuttavia la necessità, evidenziata nella C.T.U., di disporre il collocamento dello stesso presso il padre “…al fine di garantire un suo equilibrato sviluppo, ovvero per allentare il rapporto ‘quasi simbiotico e di eccessiva dipendenza’ che lo lega alla madre e per evitare il diradamento degli incontri con il padre in un momento in cui ha invece bisogno di rafforzare ed identificare il rapporto con tale figura genitoriale”;
  • conseguentemente ben avevano fatto il Tribunale e la Corte d’Appello a ritenere che la volontà espressa dal bambino non corrispondesse al suo vero interesse e che, conseguentemente, il collocamento del bambino presso la madre avrebbe determinato un ulteriore deterioramento dei rapporti con il padre, ponendosi in contrasto con il principio di bigenitorialità.

Dalla sentenza in esame è possibile trarre un’importante conclusione, in linea con le principali convenzioni europee ed internazionali a tutela del superiore interesse del minore. Il giudice ha l’obbligodi procedere all’ascolto del minore. Tale obbligo tuttavia non è assoluto, potendosi escludere lo stesso esclusivamente sulla base della sua età, della sua maturità e del pregiudizio che ne possa derivare. La volontà che il bambino esprime, però, non può considerarsi vincolante in termini assoluti per il giudice. Quando, infatti, il giudice ritiene che questa contrasti con il suo superiore interesse, egli è e deve essere libero di decidere ciò che ritiene maggiormente confacente al suo superiore interesse, debitamente motivando nel provvedimento tale sua convinzione.

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downloadCos’è l’affido superesclusivo, quando è possibile richiederlo, quali diritti conserva il genitore non affidatario? A queste domande ha dato di recente risposta il Tribunale di Modena, sez. II^, con sentenza del 26 gennaio 2016.

La vicenda trae origine da una triste vicenda familiare. Un coppia di coniugi marocchini risiedono in Italia con la loro unica figlia. Il padre di punto in bianco abbandona la casa, ritornando in Marocco, senza dare più notizie di sé per più di tre anni né tantomeno un contributo economico per la sua famiglia.

La moglie, esasperata, ricorre al Tribunale di Modena per ottenere la separazione dal marito, la sua condanna al mantenimento della figlia e l’affido esclusivo della minore.

Il Tribunale italiano, investito della questione, dopo aver analizzato la documentazione prodotta dalla madre e ascoltato la figlia, ritiene necessario disporre non solo l’affidamento monogenitoriale ma il c.d. affido superesclusivo.

Ma cos’è l’affido superesclusivo e come si distingue dall’affido congiunto e dal “semplice” affido monogenitoriale?

Ce lo chiariscono il Legislatore e la Corte.

Il nostro ordinamento, a seguito di recenti riforme, ha recepito e adattato la disciplina dell’affidamento dei minori al c.d. principio della bigenitorialità. Recita infatti l’art. 337 ter c.c., co. 1: “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Attraverso il suddetto principio si presume, quindi, che il superiore interesse del bambino coincida con il suo affido ad entrambi i genitori, salvo i casi in cui questo risulti pregiudizievole per il minore stesso. Il terzo comma dell’art. 337 ter c.c. individua, infatti, come regola generale che: “La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori.

E cosa comporta l’affido condiviso? Ce lo dice il Legislatore sempre nel terzo comma dell’art. 337 ter c.c.: “Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente”.

Può accadere, tuttavia, che uno dei genitori si disinteressi del figlio, non voglia condividere con l’altro genitore le decisioni che lo riguardino, si rifiuti di contribuire al suo mantenimento. In tutti questi casi, l’art. 337 quater c.c. prevede che, su domanda del genitore, “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.

Ma attenzione! Se chi richiede l’affidamento monogenitoriale non dà la prova del comportamento pregiudizievole dell’altro genitore oppure si inventa di sana pianta il tutto potrebbe essere condannato alle spese di lite e al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. e anche perdere l’affidamento del figlio. Se, invece, il giudice ritiene la domanda fondata, concede al genitore l’affido in via esclusiva dei figli.

Ma cosa comporta l’affido esclusivo? Ancora una volta è il Legislatore a fornirci una risposta all’art. 337 quater, co. 3, c.c.: “Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

Come sottolineato anche dal Tribunale di Modena, l’affido esclusivo non legittima l’esclusione del genitore non affidatario dalle decisioni di maggiore interesse per i figli, che continuano ad essere adottate da entrambi i genitori. In oltre, il genitore non affidatario conserva sempre il diritto/dovere di vigilare sull’istruzione ed educazione dei figli, potendo ricorrere al giudice quando il genitore affidatario assuma decisioni contrarie al loro interesse.

L’art. 337 quater, co. 3 contiene però un’importante inciso, “salvo che non sia diversamente stabilito”, su cui il Tribunale di Milano, per primo, ha fondato il c.d. “affido superesclusivo”.

Cos’è questo affido superesclusivo e come si distingue dal “semplice affido monogenitoriale”? Questa volta, a chiarire i nostri dubbi, interviene la magistratura, nella persona di un noto magistrato milanese, Giudice Buffone (Tribunale civile di Milano, sez. IX^, ordinanza del 20 marzo 2014 G.I. dott. Buffone), a cui hanno fatto seguito diverse pronunce di altri Tribunali italiani. Attraverso l’affido superesclusivo è possibile derogare al “l’esercizio concertato della responsabilità genitoriale, in ordine alle scelte più importanti (salute, educazione, istruzione, residenza abituale)”, rimettendo “al genitore affidatario anche l’esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali”.

Che diritti e doveri rimangono al genitore non affidatario in caso di affido superesclusivo? Come sottolineato dal Tribunale di Modena, l’affido supersclusivo non incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale ma solo sulle modalità del suo esercizio. In altre parole, il genitore non affidatario, pur non potendo partecipare all’adozione delle scelte di vita per il figlio, conserva il diritto/dovere di vigilare sulla crescita dei figli e la facoltà di adire il giudice ogniqualvolta reputi che le decisioni assunte dall’altro genitore siano contrari all’interesse dei figli.

Nel caso di specie, il Tribunale di Modena ha ritenuto necessario procedere all’affido superesclusivo della figlia alla sola madre alla luce della comprovata inidoneità genitoriale del padre che:

– era sparito da più di tre anni dalla vita della figlia;

– non aveva versato niente a titolo di mantenimento;

– aveva lasciato alla madre “l’onere integrale di cura, accudimento e mantenimento ordinario e straordinario”.

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downloadTribunale di Modena, sez. II^, con sentenza del 26 gennaio 2016, si pronuncia in favore del c.d. affido “superesclusivo” di una ragazza alla madre, di nazionalità marocchina, a seguito dell’allontanamento del padre, anch’egli di nazionalità marocchina, dalla casa familiare e del suo rientro nel suo Paese d’origine, facendo perdere le sue tracce.

Il Tribunale modenese, investito della questione, procede preliminarmente ad accertare la competenza giurisdizionale, quale giudice del luogo dell’ultima residenza abituale dei coniugi in cui uno di essi risiedeva ancora, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n°2201/03 nonché dell’art. 3, co. 2, della legge n°218/95 e dell’art. 706 c.p.c.

Successivamente, il giudice, procede all’accertamento della legge applicabile al caso di specie, così come individuata dai criteri gerarchici previsti dal regolamento UE n°1259/2010, c.d. Roma III; accertando:

  • l’inapplicabilità della legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi al momento della proposizione della domanda, ex art. 8, lett. a) del Regolamento Roma III, essendo in tale momento il marito già allontanatosi dall’Italia;
  • l’inapplicabilità della legge della Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi, ex art. 8, lett. b) del Regolamento Roma III, essendo decorso più di un anno dall’allontanamento del marito;
  • l’inapplicabilità della legge dello Stato di nazionalità comune dei coniugi, ex art. 8, lett. c) del Regolamento Roma III, ovvero quella marocchina, in quanto non contemplante la separazione personale;
  • la conseguente applicazione del criterio residuale della legge del foro, ex art. 8, lett. d) del Regolamento Roma III, ovvero quella italiana.

Una volta accertata la propria competenza e l’applicabilità della legge italiana, la Corte modenese, esaminando la documentazione prodotta dalla ricorrente e alla luce dell’audizione del minore, reputa comprovata l’inidoneità del padre all’esercizio della responsabilità genitoriale, essendosi lo stesso “…reso irreperibile e del tutto assente nei rapporti con la minore, omettendo di contribuire al mantenimento della medesima e lasciandone l’onere integrale di cura, accudimento e mantenimento ordinario e straordinario alla moglie”, disponendo pertanto l’affidamento monogenitoriale ai sensi dell’art. 337 quater c.c. del minore alla sola madre.

In particolare, riportandosi alla celebre ordinanza 20/03/2014 del giudice milanese dott. Buffone, reputa altresì sussistenti gli elementi giustificativi del c.d. “affido superesclusivo”, di cui all’art. 337-quater comma III c.c., definito quale modulo di esercizio della responsabilità genitoriale, in cui si rimette “…al genitore affidatario anche l’esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali”. Il Tribunale specifica tuttavia che, essendo detto provvedimento incidente non già sulla titolarità della responsabilità genitoriale bensì unicamente sul suo esercizio, il genitore non affidatario conserva “…sempre il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 337-quater ultimo comma c.c.)”.

Passando da ultimo alle determinazione delle modalità di frequentazione tra il padre e il figlio, il Collegio, alla luce della condotta tenuta dal resistente, il quale era letteralmente sparito da più di tre anni, riconosce unicamente la “…possibilità per il padre, ove ne faccia richiesta, di vederla alla presenza della madre, previo accordo con quest’ultima e compatibilmente le esigenze scolastiche e ricreative della ragazza”.

 

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downloadCon ordinanza n°22677 del 1° luglio 2016, pubblicata in data 8 novembre 2016, la VI^-1 sezione della Suprema Corte di Cassazione ribadisce con fermezza l’inutilizzabilità nel giudizio civile “…del materiale probatorio acquisito mediante sottrazione fraudolenta alla parte processuale che ne era in possesso”.

La vicenda de quo trae origine da una feroce disputa in sede separatizia tra ex coniugi, avente ad oggetto l’addebito della separazione e l’affido della prole. All’esito del secondo grado di giudizio, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale modifica di quanto disposto dal Tribunale di Pistoia, aveva respinto le reciproche domande di addebito presentate dai due coniugi, disponendo altresì l’affidamento esclusivo dei figli al padre e degli incontri protetti madre-figli.

Ricorreva avverso detta sentenza la madre, lamentandosi, inter alia, dell’omessa valutazione di alcuni file audio, di proprietà del marito, sottratti da ignoti ed inviati anonimamente al difensore della ricorrente. Ad avviso della moglie, infatti, la circostanza che detto materiale probatorio fosse stato raccolto fraudolentemente non incideva sulla sua utilizzabilità in sede civile.

Di diverso avviso sono, tuttavia, gli Ermellini che confermano l’inutizzabilità del predetto materiale probatorio raccolto illecitamente, rigettando il ricorso.

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downloadLa Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 5 luglio 2016 n°23324, pubblicata il 16 novembre 2016, si è pronunciata sul ricorso presentato da una moglie avverso la sentenza di separazione con cui il Tribunale di La Spezia prima e la Corte d’Appello di Genova poi avevano disposto l’affidamento condiviso del figlio minore con suo collocamento, a partire dall’inizio del successivo anno scolastico, presso il padre, ufficiale della M.M. trasferitosi a Roma, ponendo altresì a carico di quest’ultimo un assegno separatizio di € 500,00 a favore della ricorrente.

In particolare, la giovane madre si duole del fatto che i giudici di merito non avrebbero dato il giusto rilievo alla volontà manifestata dal figlio durante la C.T.U. di primo grado di restare a vivere con la madre, illegittimamente negando il suo ascolto diretto nel giudizio d’Appello, nonostante il sopravvenuto trasferimento del padre a Roma, lontano dunque dalla scuola, dai parenti e dalle amicizie del bambino.

Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, l’operato dei giudici di I^ e II^ grado è esente da censure alla luce delle seguenti condivisibili osservazioni:

  • il sopravvenuto trasferimento per lavoro del padre è circostanza inidonea ad incidere di per sé sul regime di affidamento del minore, assumendo “…rilievo solo con riguardo alle modalità di collocazione abitativa del minore e di sua frequentazione con il coniuge non collocatario”, con conseguente non necessarietà di una nuova audizione del minore;
  • la sentenza impugnata aveva dato atto del desiderio espresso dal figlio di restare a vivere con la madre, condividendo tuttavia la necessità, evidenziata nella C.T.U., di disporre il collocamento dello stesso presso il padre “…al fine di garantire un suo equilibrato sviluppo, ovvero per allentare il rapporto ‘quasi simbiotico e di eccessiva dipendenza’ che lo lega alla madre e per evitare il diradamento degli incontri con il padre in un momento in cui ha invece bisogno di rafforzare ed identificare il rapporto con tale figura genitoriale”.

La Suprema Corte conferma, pertanto, il provvedimento impugnato, ritenendo prevalente l’interesse del minore al trasferimento, nonostante la volontà contraria del figlio e della madre.

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Risultati immagini per immagine assegno divorzileChiarisce la Corte di Cassazione, sez. VI^-1, con ordinanza  15 novembre 2016, n°23263, che l’assegno di divorzio – trovando la propria fonte nel nuovo “status” delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva – decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio, tuttavia, ha introdotto un temperamento l’art. 4, comma decimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, così come sostituito dall’art. 8 della legge 6 marzo 1987 n. 74, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio: peraltro il giudice, ove si avvalga di tale potere, è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione. Nella specie dal complessivo esame della motivazione relativa al presupposti attributivi dell’assegno divorzile, risulta che lo squilibrio reddituale ed economico accertato sussisteva già al momento della proposizione della domanda.

Cioè a dire: se la disparità economica delle parti era chiara già all’epoca della domanda di divorzio ciò comporta che l’obbligo dell’uomo parte da quel momento.

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Mantenimento-figli-spese-600x342Con sentenza n°21241 del 20 ottobre 2016, la Suprema Corte ritorna sull’annosa questione del rimborso delle spese sostenute dal genitore collocatario per la prole, chiarendo:

  • se il verbale di separazione possa costituire titolo esecutivo posto alla base di un precetto di pagamento per il pagamento delle spese ordinarie e straordinarie sostenute da uno dei genitori per il mantenimento della prole;
  • e se l’onere di allegazione della documentazione comprovante tali spese (e la loro corretta quantificazione) debba essere assolta già nello stesso atto di precetto ovvero anche successivamente nell’eventuale giudizio di opposizione agli atti esecutivi.

La vicenda trae origine dall’opposizione agli atti esecutivi presentata da un padre avverso un atto di precetto con cui la moglie, da cui si era consensualmente separato, gli aveva intimato il pagamento delle spese ordinarie e straordinarie dalla stessa sostenute in favore dei figli, allegando unicamente il verbale di separazione consensuale e non anche la documentazione giustificativa delle suddette spese.

Il Tribunale di Imperia, investito della questione, accoglieva detta opposizione:

  • rilevando l’esistenza di un contrastante orientamento giurisprudenziale sulla natura (o meno) di valido titolo esecutivo da riconoscersi al verbale di separazione: “…uno “rigoroso”, secondo cui il verbale di separazione non può costituire titolo esecutivo per il pagamento degli oneri di mantenimento della prole successivamente maturati, se questi non sono stati accertati e quantificati con altro titolo giudiziale; ed un secondo orientamento “liberale”, secondo cui il verbale suddetto può costituire valido titolo esecutivo, se il precettante alleghi ad esso la documentazione giustificativo degli esborsi di cui chiede il ristoro”;
  • ritenendo, tuttavia, in ogni caso inefficace l’atto di precetto de quo a seguito della mancata allegazione di alcuna documentazione di spesa.

Avverso il suddetto provvedimento, ricorre per cassazione la madre, sostenendo, inter alia:

  • di aver debitamente documentato le spese sostenute per il mantenimento della figlia allegando la relativa documentazione alla comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio di opposizione;
  • l’assenza di un obbligo di allegazione della suddetta documentazione al precetto, sanzionabile con l’inefficacia di quest’ultimo.

La Suprema Corte, investita della questione, dà torto alla madre, reputando infondate le suddette censure alla luce dei seguenti condivisibili principi:

  • “…il provvedimento con il quale, in sede di separazione, si stabilisce che il genitore non affidatario paghi pro quota le spese ordinarie per il mantenimento dei figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del giudice in sede di cognizione, ma ciò solo a condizione che il genitore creditore ‘possa allegare e documentare l’effettiva sopravvenienza degli esborsi indicati nel titolo e la relativa entità” (così Cass. civ., sez. III^, sentenza del 21 aprile – 23 maggio 2011, n°11316)’”;
  • Detto onere di allegazione e documentazione che va compiuto già nell’atto di precetto “e non già nel successivo e solo eventuale giudizio di opposizione all’esecuzione, per l’ovvia considerazione che il debitore deve essere messo in condizioni di potere sin da subito verificare la correttezza o meno delle somme indicate nell’atto di precetto”;
  • La circostanza che il precetto non solo non alleghi, ma nemmeno indichi i documenti (successivi alla formazione dei titolo esecutive giudiziale) in base ai quali è stato determinato l’importo del credito azionato in executivis non può essere sanata dal creditore procedente nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi”;
  • Quest’ultimo, infatti, ha lo scopo di verificare la correttezza del quomodo dell’esecuzione, e non può costituire una rimessione in termini atipica a favore del creditore, per sanare le mende dell’atto di precetto”.

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[:it]Risultati immagini per immagine termosifoneLa questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 cod. civ. come modificata dalla L. n°220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc. dd. riforma dei condominio.

Tale normativa ha ammesso espressamente la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini.

Il condomino che intende distaccarsi deve, quindi, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini“, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale.

Detti principi sono stati ribaditi dalla sezione 6/2 della Corte di Cassazione, con sentenza 3 novembre 2016, n. 22285, sottolineando anche che l’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno, come bene ha evidenziato la stessa sentenza impugnata, soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto

Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o aggravi per i restanti condomini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante.

Né, ed è bene precisarlo, l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.

Nota bene: Qualora l’amministratore porti in assemblea l’assemblea può:

– o vietare il distacco motivando espressamente a verbale il divieto (ovvero che non è stata data prova dei presupposti tecnici che legittimano l’esercizio del diritto al distacco);

– o richiedere la perizia di cui sopra.

È importante motivare l’eventuale opposizione al distacco in quanto la delibera che, in presenza delle condizioni di legge, vieta il distacco per la Cassazione è nulla (Cass. 3 aprile 2012, n. 5331, Cass. 22 marzo 2011 n. 6481, Cass. 30 marzo 2006 n 7518). Nel mentre è possibile che sia, a contrario, ritenuta valida la delibera che vieta il distacco in assenza della prova delle condizioni previste dalla legge.

Se il distaccante fornisce la perizia, l’amministratore che riceve dal condomino la comunicazione di distacco anche se accompagnata dalla perizia, deve comunque darne notizia al Condominio nella competente sede assembleare per consentire a quest’ultimo di valutare se sussistono i presupposti tecnici per l’esercizio del richiamato diritto ex art. 1118 c.c..

La perizia deve essere redatta da un tecnico abilitato, secondo quanto prescritto dal D.M n°37/2008, cui rimanda anche il D.P.R. n°74/2013, che ha ridisegnato il tema della conduzione e dei controlli degli impianti termici.

Qualora il condomino, cui l’assemblea ha vietato il distacco in assenza della prova delle condizioni richieste dall’art. 1118, comma 4, c.c., si distacchi lo stesso, il condominio ben potrà diffidarlo a ripristinare la situazione quo ante (riallaccio) e promuovere, altresì, una causa per far accertare la illegittimità del distacco.

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