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Il fatto

La Corte d’Appello di Genova, nonostante le parti fossero addivenute ad un’intesa stragiudiziale all’esito dell’espletata CTU espletata nel giudizio di appello, si pronunciava sul merito dell’impugnazione rigettandola e condannando l’appellato al pagamento delle spese non imponibili sostenute dalla controparte in primo grado nonché al pagamento delle spese legali dell’appello.

Avverso tale decisione l’appellato proponeva ricorso per cassazione dolendosi, inter alia “…della circostanza che la Corte d’appello abbia deciso il gravame nel merito, anziché dichiarare l’intervenuta cessazione della materia del contendere” ed evidenziando:

  • che “…la corte territoriale avrebbe, in motivazione, accertata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere e, tuttavia, in dispositivo ha pronunciato il rigetto dell’appello”;
  • che, pertanto, sussisterebbe un “…insanabile contrasto fra motivazione e dispositivo denunciato dal ricorrente”.

La decisione

La Suprema Corte, accogliendo le doglianze del ricorrente, con la pronuncia in oggetto:

  • ha confermato che “…l’intervenuta transazione dell’oggetto della lite determina l’obiettivo venir meno dell’interesse delle parti alla pronuncia giurisdizionale”;
  • ha chiarito che è dovere del giudice rilevare detta carenza anche d’ufficio, a prescindere dall’atteggiamento delle parti;
  • ha conseguentemente cassato “…con rinvio alla Corte d’appello di Genova, affinché, prendendo atto della sopravvenuta cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda principale, valuti se sussistono i presupposti per pronunciarsi sull’appello incidentale, nonché sulla soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese del secondo grado. Tale statuizione determina l’assorbimento degli altri motivi di ricorso”.

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La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 7940 del 12 settembre 2019, ha ribadito il principio, ormai cristallizzato dagli Ermellini, secondo il quale la deroga posta dal secondo comma dell’art. 2721 c.c. è ammissibile solo se giustificata da una concreta valutazione delle ragioni per cui la parte, incolpevolmente, non sia in possesso di documentazione scritta.

I fatti di cui è causa

La vicenda trae origine da un procedimento di ingiunzione promosso da un avvocato nei confronti di una cliente, nel quale il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 2478/2012, rigettava l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo.

Il credito azionato in via monitoria – della somma di euro 8.860,72 – aveva ad oggetto il compenso per l’attività professionale prestata nella causa di risarcimento danni da sinistro stradale, definito in via transattiva.

Dolendosi di tale decisione, la cliente ricorreva alla Corte d’Appello di Cagliari che, all’esito del giudizio, riformava la decisione del giudice di prime cure e condannava l’avvocato – previa revoca del decreto ingiuntivo – a restituire alla controparte la somma di euro 789,95. La Corte territoriale calcolava tale importo dalla differenza tra quanto già corrisposto dalla cliente a titolo di acconto, grossolanamente considerando attendibili le dichiarazioni dei genitori della medesima, e il compenso parametrato all’importo attribuito alla cliente a titolo risarcitorio, sulla scorta delle tariffe dettate dal D.M. 8 aprile 2004, vigente ratione temporis.

Il ricorso per cassazione  

Il difensore, vista la decisione della Corte d’Appello, adiva la Suprema Corte dolendosi, in particolare, di come il giudice di secondo grado avesse ritenuto provato il pagamento di acconti su prove testimoniali – peraltro fornite dai genitori – “senza giustificare la deroga al divieto previsto per i contratti ed esteso ai pagamenti di valore superiore ad euro 2,58”.

Il giudizio della Suprema Corte

Con la decisione in commento, la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso limitatamente alla suesposta doglianza, ha ribadito il consolidato principio secondo il quale “poiché ai sensi dell’art. 2726 cod. civ. le norme stabilite per la prova testimoniale si applicano anche al pagamento e alla remissione del debito, è ammessa la deroga al divieto della prova testimoniale in ordine al pagamento delle somme di denaro eccedenti il limite previsto dall’art. 2721 cod. civ., ma la deroga è subordinata ad una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l’esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non abbia curato di predisporre una documentazione scritta (ex plurimis, Cass. 14/07/2003, n. 10989; Cass. 25/05/1993, n. 5884; Cass. 18/03/1968, n. 879).  

Di qui, la decisione della Suprema Corte di cassare in parte qua la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione, affinché si conformi al principio di diritto sopra richiamato.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Terella

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cdc-c4ibsscuwiu-unsplash-1Dal 1° aprile 2020 sono disponibili sul sito http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel028-2020.pdf, i chiarimenti offerti dalla Corte di Cassazione sul contenuto e la portata delle misure adottate dal Governo per il contrasto al diffondersi del corona virus, di cui al D.L. n°18/2020.

In particolare:

  • il rinvio d’ufficio delle udienze deve essere inteso come “un mero rinvio ex lege e non di una sospensione dei processi, sicché non si applica l’art. 298, primo comma, c.p.c., a tenore del quale ‘durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento’”;
  • la sospensione dei termini processuali deve essere inteso come operante tutti gli atti processuali, compresi quelli necessari per avviare un giudizio di cognizione o esecutivo (atto di citazione o ricorso, ovvero atto di precetto), come per quelli di impugnazione (appello o ricorso per cassazione)”;
  • con riferimento alla sospensione che riguardi termini a ritroso che ricadano in tutto o in parte nel periodo di sospensione, “…è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine, in modo da consentirne il pieno rispetto” e non già la mera sottrazione dal relativo computo, come avveniva durante il periodo feriale;
  • ai sensi dell’art. 83, comma 10 del D.L. n°18/2020, per tutti i procedimenti in cui vi sia stato un rinvio d’udienza, non si terrà conto, ai fini dell’equa riparazione di cui all’art. 2, della l. 89/01 (legge Pinto) del periodo compreso tra il 08/03/2020 e il 30/06/2020;
  • ai sensi del comma 20 dell’art. 83 del D.L. n°18/2020, la sospensione dei procedimenti di mediazione, di negoziazione assistita e di risoluzione stragiudiziale delle controversie, riguarderà quelli promossi entro il 9 marzo 2020, senza alcuna espressa previsione per quanto riguarda quelli eventualmente promossi successivamente a tale data;
  • la sospensione, di cui all’art.83, comma 8, dei termini sostanziali “comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto” appare poter essere invocata da chi ne abbia interesse unicamente per il periodo dal 16 aprile al 30 giugno e subordinata alla presenza di due condizioni: “a) che siano stati adottati i provvedimenti organizzativi che spettano ai capi degli uffici (e solo durante il periodo di loro efficacia); b) che si tratti di diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento di attività processuali precluse;
  • la sospensione di tutti termini, siano essi processuali o sostanziali, non opera per quelle controversie che rientrano nell’elencazione di cui all’art. 83, comma 3, lett. a), del d.l. n. 18 del 2020.

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condor-airplane-on-grey-concrete-airport-163792Il giudizio a quo

 

Una cittadina ceca a seguito di un ritardo di oltre 4 ore su un volo della Primera Air Scandinavia A/S (una società commerciale di trasporto aereo con sede in Danimarca), acquistato all’interno di un pacchetto “tutto compreso” mediante Agenzia di Viaggi della sua città, proponeva ricorso dinnanzi al giudice nazionale al fine di ottenere il risarcimento da parte della compagnia aerea dei relativi danni ai sensi del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91 (GU 2004, L 46, pag. 1).

Il Giudice adito, tuttavia, si dichiarava incompetente:

  • alla luce dell’inapplicabilità del regolamento CE 44/2001, alla Danimarca, Paese di bandiera della compagnia aerea;
  • in considerazione dell’assenza di alcun contratto concluso tra la ricorrente e la compagnia aerea.

La sig.ra Králová interponeva appello avverso la predetta pronuncia di incompetenza, che, tuttavia, veniva rigettato dal giudice del Gravame, ad avviso del quale il regolamento CE 44/01, nonostante fosse astrattamente applicabile alla Danimarca, non consentiva di fondare nel caso di specie la competenza dei giudici cechi.

La signora, lungi da darsi per vinta, ricorreva sino in Cassazione, che, con decisione del 15 settembre 2015, annullava le ordinanze, rinviando al giudice di primo grado al fine di verificare la competenza del giudice adito ai sensi dell’articolo 5, punto 1, e degli articoli 15 e 16 del regolamento n. 44/2001.

Le domande pregiudiziali poste alla Corte di Giustizia

Il giudice del rinvio decideva di sospende il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

  1. «Se la convenuta sia legittimata passiva ai fini dell’esercizio dei diritti derivanti dal regolamento [n. 261/2004]».
  2. «Se tra la ricorrente e la convenuta sia intercorso un rapporto contrattuale ai sensi dell’articolo 5, punto 1, del regolamento [n. 44/2001], ancorché le medesime non abbiano stipulato l’una con l’altra alcun contratto e il volo facesse parte di un servizio “tutto compreso” fornito sulla base di un contratto concluso dalla ricorrente con un terzo (un’agenzia di viaggi)».
  3. «Se sia possibile qualificare tale rapporto nell’ambito di un contratto concluso da consumatori ai sensi [degli] (…) articoli da 15 a 17 del [regolamento n. 44/2001]».

Le risposte della Corte di Giustizia

1) L’irrilevanza dell’acquisto del biglietto all’interno di un pacchetto “tutto compreso” ai fini dell’applicabilità del regolamento 261/2004

Il Giudice comunitario, pronunciandosi sulla prima questione – “se la convenuta sia legittimata passiva ai fini dell’esercizio dei diritti derivanti dal regolamento [n. 261/2004]” -, preliminarmente chiarisce:

  • che, ai sensi dell’art. 3, par. 5 del regolamento 261/2004, il vettore, che non abbia stipulato un contratto con il passeggero, è comunque tenuto al rispetto del predetto regolamento, in quanto “…si considera che esso agisca per conto della persona che ha stipulato un contratto con tale passeggero (sentenza del 7 marzo 2018, flightright e a., C-274/16, C-447/16 e C-448/16, EU:C:2018:160, punto 62)”;
  • conseguentemente, “…il passeggero di un volo ritardato può avvalersi del regolamento n. 261/2004 contro il vettore aereo operativo, anche se il passeggero e il vettore aereo operativo non hanno stipulato tra loro alcun contratto.

Ciò premesso, la Corte di Giustizia ritiene irrilevante, ai sensi dell’art. 3, par. 6 del regolamento 261/2004, che il biglietto aereo sia stato acquistato mediante pacchetto “all inclusive”, ai fini dell’esercizio dei diritti derivanti dalla direttiva 90/314; e ciò in quanto:

  • se da un lato la previsione da parte dell’art. 8, par. 2 del regolamento 261/2004 “… che il diritto al rimborso del biglietto si applica anche ai passeggeri i cui voli rientrano in un servizio «tutto compreso», ad esclusione del caso in cui un simile diritto sussista a norma della direttiva 90/314” implica “…che la semplice esistenza di un diritto al rimborso, sussistente a norma della direttiva 90/314, è sufficiente per escludere che un passeggero, il cui volo faccia parte di un viaggio «tutto compreso», possa chiedere il rimborso del suo biglietto aereo, in forza del regolamento n. 261/2004, al vettore aereo operativo (sentenza del 10 luglio 2019, Aegean Airlines, C-163/18, EU:C:2019:585, punto 31)”;
  • dall’altro, gli “…articoli 6 e 7 del regolamento n. 261/2004, ai sensi dei quali la passeggera di cui trattasi nel procedimento principale ha presentato il proprio ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria, non prevedono una deroga equivalente a quella contemplata per il rimborso del biglietto all’articolo 8, paragrafo 2, di detto regolamento, oggetto della causa che ha dato luogo alla sentenza del 10 luglio 2019, Aegean Airlines (C-163/18, EU:C:2019:585)”;
  • e, pertanto, “…il diritto a compensazione pecuniaria di cui all’articolo 7 di detto regolamento è applicabile in una situazione in cui il volo acquistato da un passeggero faccia parte di un viaggio «tutto compreso», senza che ciò incida sugli eventuali diritti sussistenti a norma della direttiva 90/314”.

Alla luce delle predette considerazioni, la Corte dichiara, pertanto, “…che il regolamento n. 261/2004 deve essere interpretato nel senso che un passeggero di un volo ritardato di tre o più ore può proporre un ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria ai sensi degli articoli 6 e 7 dello stesso regolamento nei confronti del vettore aereo operativo, anche se tale passeggero e tale vettore aereo non hanno stipulato tra loro alcun contratto e il volo di cui trattasi fa parte di un viaggio «tutto compreso» rientrante nella direttiva 90/314”.

2)   L’applicabilità del regolamento 44/01 alla domanda di risarcimento proposta in forza del regolamento 261/04 alla luce delle obbligazioni liberamente assunte inter partes

Passando alla seconda questione – “se l’articolo 5, punto 1, del regolamento n. 44/2001 debba essere interpretato nel senso che un ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria, proposto, in forza del regolamento n. 261/2004, da un passeggero nei confronti del vettore aereo operativo, rientri nella nozione di «materia contrattuale» ai sensi di tale disposizione, anche se tra dette parti non è stato concluso alcun contratto e il volo effettuato da tale vettore aereo era previsto da un contratto di viaggio «tutto compreso», comprensivo anche di alloggio, stipulato con un terzo”, la Corte rileva preliminarmente come:

  • “…l’articolo 5 del regolamento n. 44/2001 prevedeva, al suo punto 1, che la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita”;
  • la giurisprudenza comunitaria ha interpretato la nozione di «materia contrattuale» “…in modo autonomo, al fine di garantire l’applicazione uniforme della stessa in tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2018, flightright e a., C-274/16, C-447/16 e C-448/16, EU:C:2018:160, punto 58 e giurisprudenza ivi citata)”, chiarendo che “…la conclusione di un contratto non costituisce una condizione di applicazione dell’articolo 5, punto 1, del regolamento n. 44/2001”;
  • ai sensi del predetto art. 5, in mancanza di un contratto concluso inter partes, “…è indispensabile ai fini della sua applicazione individuare un’obbligazione, dato che in forza di tale disposizione la competenza giurisdizionale è determinata in relazione al luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita”.

Alla luce dei predetti chiarimenti, la Corte:

  • afferma pertanto l’applicabilità dell’art. 5, punto 1, del regolamento n°44/01 anche in mancanza di un contratto sottoscritto purché “…esista alcun obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti di un’altra” e ciò in quanto basata “…sulla causa dell’azione in giudizio e non sull’identità delle parti”, tale dovendosi ritenere il rapporto tra “…un vettore aereo, che non abbia concluso alcun contratto di trasporto con il passeggero e che abbia operato un volo previsto da un contratto di viaggio «tutto compreso» stipulato da un terzo”;
  • risponde conseguentemente al quesito “…dichiarando che l’articolo 5, punto 1, del regolamento n. 44/2001 dev’essere interpretato nel senso che un ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria proposto in forza del regolamento n. 261/2004 da un passeggero nei confronti del vettore aereo operativo rientra nella nozione di «materia contrattuale», ai sensi di tale disposizione, anche se tra dette parti non è stato concluso alcun contratto e il volo operato da tale vettore aereo era previsto da un contratto di viaggio «tutto compreso», inclusivo anche di alloggio, stipulato con un terzo”.

3)   Il ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria proposto da un passeggero nei confronti del vettore aereo operativo, con il quale tale passeggero non ha concluso alcun contratto, non rientra nell’ambito di applicazione dei citati articoli relativi alla competenza speciale in materia di contratti conclusi dai consumatori

Passando all’ultima questione postale – “se sia possibile qualificare tale rapporto nell’ambito di un contratto concluso da consumatori ai sensi [degli] (…) articoli da 15 a 17 del [regolamento n. 44/2001]” – la Corte preliminarmente, chiarisce:

  • che le norme sulla competenza menzionate al capo II, sezione 4, del regolamento n. 44/2001, che comprende gli articoli da 15 a 17 di tale regolamento, permettono ad un consumatore di scegliere se intentare la sua azione dinanzi al giudice del proprio domicilio oppure dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliata l’altra parte del contratto”;
  • dette norme – che derogano “…alla regola generale di competenza giurisdizionale sancita dall’articolo 2, paragrafo 1, di tale regolamento, che attribuisce la competenza ai giudici dello Stato membro sul territorio del quale il convenuto è domiciliato, quanto alla regola di competenza giurisdizionale speciale in materia di contratti, dettata dall’articolo 5, punto 1, del medesimo regolamento” – devono necessariamente essere oggetto di un’interpretazione restrittiva”;
  • affinché siano applicabili è necessario che siano soddisfatte cumulativamente tutte e tre distinte condizioni previste dall’art. 15, par.1, ovvero:
    1. una parte contrattuale abbia la qualità di consumatore e agisca in un contesto che può essere considerato estraneo alla sua attività professionale”;
    2. il contratto tra il consumatore e un professionista sia stato effettivamente concluso”;
    3. tale contratto rientri in una delle categorie di cui al paragrafo 1, lettere da a) a c), di detto articolo 15.”

Alla luce di quanto sopraesposto la Corte:

  • nega l’applicabilità delle norme sulla competenza di cui agli articoli 15-17 del citato regolamento in quanto, in relazione al rapporto giuridico tra un passeggero e il vettore aereo, qualora essi non abbiano stipulato tra loro alcun contratto, difetta il condizione dell’esistenza di un contratto concluso inter partes;
  • risponde alla seconda questione “dichiarando che gli articoli da 15 a 17 del regolamento n. 44/2001 devono essere interpretati nel senso che un ricorso per il riconoscimento di una compensazione pecuniaria, proposto da un passeggero nei confronti del vettore aereo operativo, con il quale tale passeggero non ha concluso alcun contratto, non rientra nell’ambito di applicazione dei citati articoli relativi alla competenza speciale in materia di contratti conclusi dai consumatori”.

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home-real-estate-106399Di seguito una disamina delle più recenti massime estratte dai provvedimenti emanati dalle Corti di merito e dalla Suprema Corte in punto di:

1) Responsabilità esclusiva dell’appaltatore per vizi dell’opera

  • Corte d’Appello Milano Sez. IV^ Sent., 17/01/2020 (O. S.P.A c. A. s.p.a e altri): “L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità, soltanto, se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. In mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”.
  • Corte d’Appello Torino Sez. IV^, Sent., 26/02/2018 (F. S.r.l. c. R.E. e altri): “L’appaltatore, ovvero il subappaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”. 
  • Cass. civ. Sez. I^, Ord., 09/10/2017, n°23594 (I. c. A.): “L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”.
  • Tribunale di Monza, Sez. II^, 02/07/2015: “In tema di appalto, dovendo l’appaltatore assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica, relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, laddove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”.

2) Responsabilità del direttore lavori nella fase di progettazione

  • Cass civ. Sez. III^ Ord., 27/09/2018, n°23174 (C. c. S.): “In tema di appalto, quando si tratti di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, il direttore dei lavori, dinanzi a situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, è tenuto, in adempimento dei propri obblighi di diligenza, ad intraprendere le opportune iniziative per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento ai lavori di edificazione di una cantina di imbottigliamento, aveva ritenuto i direttori dei avori corresponsabili della frana verificatasi nell’area di scavo, per non avere adeguatamente considerato, durante la fase di progettazione delle opere, i profili inerenti alla stabilità del pendio su cui la costruzione sarebbe dovuta sorgere, tanto più al cospetto di una relazione geologica carente dei dati tecnici necessari per la verifica di stabilità del pendio)”. 
  • Reggio Emilia Sez. II, 27/06/2014 (R.T e G.F. c. S.T. P. e altri): “Il direttore dei lavori risponde nei confronti del committente non solo nel caso in cui i vizi dell’opera derivino dal mancato rispetto del progetto, posto che tra gli obblighi del direttore stesso vi è quello di riscontrare la progressiva conformità dell’opera al progetto; ma risponde anche, in solido con progettista e appaltatore, anche nel caso i vizi derivino da carenze progettuali, posto che è suo obbligo quello di controllare che le modalità dell’esecuzione dell’opera siano in linea non solo con il progetto, ma anche con le regole della tecnica, fino al punto di provvedere alla correzione di eventuali carenze progettuali”.

3) Responsabilità del direttore lavori per omessa vigilanza sulla conformità nell’esecuzione opera e per l’omessa verifica dell’ottemperanza alle modalità d’esecuzione 

  • Tribunale Padova Sez. II Sent., 05/08/2019 (C.M. e altri c. V.I. e altri): “In tema di appalto, il direttore dei lavori è responsabile nel caso in cui ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni circa la conformità delle modalità di esecuzione dell’opera al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente”.
  • Cass. civ. Sez. II^ Ord., 14/03/2019, n°7336 (T.P. c. G.M. e altri): “Non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente; in particolare, l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta, comunque, il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e, pertanto, l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (…) In ordine alla responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con rifermento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”; rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Non si sottrae, dunque, a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente. In particolare, l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati”.
  • Tribunale Ravenna Sent., 18/04/2019 (S.D.E. SRL c. G. SRL e altri): “In tema di appalto il direttore dei lavori non va esente da responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le necessarie disposizioni al riguardo, nonché trascuri di verificarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente”.
  • Tribunale Milano Sez. I^, Sent., 01/03/2019 (V.D c. M.B. e altri): “In materia di appalto, il principio dell’esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli. Il direttore dei lavori è, invero, gravato dall’obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera appaltata al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica”.
  • Tribunale di Padova, 19/06/2017: “In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, l’attività del direttore dei lavori si concreta nell’alta sorveglianza dei lavori, la quale, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione delle singole attività edificatorie nelle loro varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati”.

4) Concorso di responsabilità extracontrattuale del direttore dei lavori e/o del progettista e/o dell’appaltatore e/o del committente ex art. 1669 c.c. per gravi vizi o rovina dell’edificio

  • Tribunale Brescia Sez. II^ Sent., 11/07/2019 (G.M. c. E.C. S.r.l. e altri): “In tema di appalto, le infiltrazioni di umidità negli ambienti importano problemi di insalubrità e abitabilità che rientrano fra i gravi vizi, valutabili ai sensi dell’art. 1669 c.c.Detta norma, infatti, individua una responsabilità di natura extracontrattuale avente, perciò, ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione ed opera anche a carico del direttore dei lavori, eventualmente in concorso con l’appaltatore e i subappaltatori e/o il progettista secondo la natura dei vizi e la fase di realizzazione dell’opera (progettuale, direttiva o esecutiva), ponendo così a carico di essi una responsabilità diretta verso il danneggiato, soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1669 c.c. e fondata su una presunzione di colpa fino a prova della impossibilità della prestazione per caso fortuito o forza maggiore o per fatto esclusivo di terzi, concorrente con il generale titolo della responsabilità extracontrattuale ex  2043 c.c. soggetto a propri termini di prescrizione e a ordinario regime dell’onere della prova”.
  •  Tribunale La Spezia Sent., 21/02/2019 (T.I. e altri c. L.C. e altri): “L’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 cod. civ.in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione, che fa riferimento soltanto all’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente. Il suo presupposto risiede quindi, in ogni caso, nella partecipazione alla costruzione dell’immobile in posizione di “autonomia decisionale”.
  • Corte d’Appello Palermo Sez. III Sent., 18/02/2019 (G.P. c. G.S.): “L’art. 1669 c.c.è una sorta di responsabilità extracontrattuale, analoga a quella aquiliana, nella quale possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore-costruttore del fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, anche tutti quei soggetti, che prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano comunque contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione”.
  • Tribunale Savona, 06/04/2018 (P.B. c. E. s.r.l. e altri): “L’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 cod. civ.in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione”.

 

 

5) Concorso di responsabilità (solidale) del direttore dei lavori e/o del progettista e/o dell’appaltatore ex artt. 1667-8 c.c. per difetti e difformità dell’opera

  • Tribunale Milano Sez. VII^, Sent., 10/07/2019 (M.d.S. S.P.A c. A.B.): “In caso di difetti di costruzione rispondono a titolo di concorso con l’appaltatore tutti quei soggetti, quali il progettista ed il direttore dei lavori che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale, alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione”.
  • Cass. civ. Sez. III^, Ord., 09/07/2019, n°18342 (R. c. G.): “In tema di contratto d’opera per la redazione di un progetto edilizio, pur trattandosi di una fase preparatoria rispetto all’esecuzione dell’opera, il professionista (che nella specie abbia cumulato l’incarico di progettista e di direttore dei lavori), deve assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da prevenire la soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente. Ne consegue che ne sussiste la responsabilità per l’attività espletata sia nella fase antecedente all’esecuzione delle opere in relazione alla scelta del titolo autorizzativo occorrente per il tipo di intervento edilizio progettato sia in quella successiva di controllo e verifica della difformità dell’opera progettata rispetto a quella eseguita, non costituendo la riscontrata difformità di per sè indice di un accordo illecito volto alla realizzazione di un abuso edilizio, trattandosi di un obbligo del professionista giustificato dalla specifica competenza tecnica necessariamente richiesta a chi abbia assunto l’incarico del progetto e della direzione dei lavori”. 
  • Cass. civ. Sez. III^, Ord., 18/06/2019, n°16288 (P.U. c. F.U.): “Sussiste la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, ex  1176 e 2230 c.c., ove il professionista non appronti la dichiarazione di fine lavori prima della scadenza della DIA o non avvisi il committente dell’obbligo della sua presentazione, così contravvenendo agli obblighi informativi a proprio carico. In mancanza della presentazione del modulo di fine lavori, attestante la ultimazione, anche solo parziale delle opere oggetto di autorizzazione, soprattutto in assenza di tempestivo aggiornamento catastale in relazione ai lavori eseguiti (come nella specie), non è, invero, possibile accertare la regolarità del bene ai fini della sua commerciabilità. (In concreto, peraltro, la responsabilità del professionista va affermata anche per aver egli certificato la regolarità delle opere senza porsi il problema della mancanza della dichiarazione di ultimazione dei lavori.)”.
  • Tribunale Roma Sez. XI Sent., 31/01/2019 (V. SRL c. A. SRL e altri): “In tema di appalto, nell’ipotesi di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, non può ritenersi esente dalla responsabilità medesima il direttore dei lavori che, nell’ambito del suo ruolo tecnico-professionale, ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente, in ciò concretandosi quell’alta sorveglianza delle opere implicante il regolare ed assiduo controllo, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e stati di avanzamento”.
  • Cass. civ.,  sez. II^, Ord.14/11/2018, n°29338: “Nell’ambito del contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse”.
  • Corte d’Appello Campobasso, 25/09/2018: “In materia di contratto di appalto, l’irrealizzabilità dell’opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto, dà luogo ad un inadempimento dell’incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento. Laddove, invece, l’opera sia affetta da vizi e difformità che non ne comportano la radicale inutilizzabilità, ed il committente non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore dell’opera, chiedendo invece il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento, come detti vizi non escludono il diritto dell’appaltatore al corrispettivo, così non escludono neppure il diritto al compenso in capo al progettista ed al direttore dei lavori per l’opera professionale prestata”.
  • Corte d’Appello Torino, 10/07/2018 (M.D. c. T.A.P. e altri): “In tema di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori (o del progettista), entrambi rispondono solidalmente dei danni, purché le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse”.
  • Tribunale Udine Sez. lavoro Sent., 01/03/2018 (INAIL e altri c. O.M. SRL e altri): “In tema di appalto, con riferimento alla responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di una obbligazione di mezzi e non di risultati, ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di particolari e peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam” in concreto. Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera e la segnalazione all’appaltatore di tutte le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d’opera”.
  • Cass. civ. Sez. II^, Ord., 06/12/2017, n°29218 (R. c. M.): “In tema di appalto, qualora l’opera sia affetta da vizi e difformità che non ne comportano la radicale inutilizzabilità, ed il committente non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore, limitandosi, invece, a chiedere il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento, i detti vizi non escludono il diritto al compenso in capo al progettista ed al direttore dei lavori per l’opera professionale prestata, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela. (…) In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale del progettista e direttore dei lavori e dell’appaltatore per i difetti della costruzione che avevano determinato infiltrazioni d’acqua, ponendo a carico del primo l’identica obbligazione risarcitoria del secondo, avente ad oggetto le opere necessarie all’eliminazione dei vizi ed all’esecuzione dell'”opus” a regola d’arte)”.
  • Trib. Grosseto, 06/05/2017: “In tema di appalto, in merito alla responsabilità in solido con la ditta appaltatrice del direttore dei lavori, va evidenziato come quest’ultimo presta per conto del committente un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente – preponente si aspetta di conseguire in modo conforme alle normative ed alle tecniche dell’arte, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera in base al progetto assentito, sia delle modalità dell’esecuzione di essa in relazione al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera conformemente al progetto e senza difetti costruttivi. Pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore; in particolare l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, la conformità delle opere ed il rispetto delle indicazioni progettuali.”
  • Cass civ. Sez. II^, Sent., 24/02/2016, n°3651 (C. c. A.): “In tema di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori (o del progettista), entrambi rispondono solidalmente dei danni, purché le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse.”

6) Responsabilità penale del direttore dei lavori e dell’appaltatore per abusi edilizi

  • Cass. pen. Sez. III^, 13/06/2019, n°38479 (Ca.Al. e altri): “In tema di reati edilizi, l’assenza dal cantiere da parte del direttore dei lavori non esclude la penale responsabilità di quest’ultimo per gli abusi commessi, atteso che sullo stesso ricade l’onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all’incarico”(…) In tema di reati edilizi, l’obbligo di vigilanza sulla conformità delle opere al permesso di costruire, gravante sul direttore dei lavori ai sensi dell’art. 29, comma 1, P.R. 6 giugno 2001, n°380, cui consegue la responsabilità penale del predetto nel caso di reati commessi da altri senza che intervenga la sua dissociazione ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, permane sino alla comunicazione della formale conclusione dell’intervento o alla rinunzia all’incarico e non viene meno in caso di adozione dell’ordinanza di sospensione dei lavori, salvo che – e fintanto – che il cantiere sia sottoposto a sequestro”. 

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La Suprema Corte di Cassazione – con la sentenza, n°2394/20 del 10 settembre 2019, depositata in cancelleria il 3 febbraio 2020 – ha recentemente chiarito, attraverso una ricostruzione ermeneutica e letterale dell’art. 168 bis c.p.c., le conseguenze del differimento dell’udienza di comparizione sul termine di costituzione del convenuto, con particolare riferimento all’ipotesi eccezionale in cui il decreto di differimento ex art. 168 bis, co. 5, c.p.c. sia intervenuto dopo lo scadere del termine di costituzione di cui all’art. 166 c.p.c.

Come noto l’art. 168 bis c.p.c. prevede al comma 4, il differimento dell’udienza di comparizione alla prima udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato, nell’evenienza in cui “…nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza…”. A differenza della previsione di cui al successivo comma 5, il predetto differimento:

  • non viene comunicato dalla cancelleria alle parti costituite;
  • non comporta alcuna conseguenza sul termine di costituzione del convenuto.

Il caso

La Suprema Corte, nel caso in esame, si è pronunciata sulle conseguenze del differimento d’udienza ex art. 168 bis, co. 5, emesso successivamente allo scadere dei termini di costituzione di cui all’art. 166 c.p.c., in una singolare vicenda in cui il ricorrente aveva eccepito l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a seguito dell’omessa riassunzione del giudizio conseguente alla sua asserita interruzione, dipendente dalla cancellazione del difensore dall’albo costituito nella fase monitoria, ancorchè intervenuta successivamente alla notificazione dell’atto introduttivo.

I chiarimenti e il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte

A tal fine, gli Ermellini offrono preliminarmente i seguenti condivisibili chiarimenti:

  • il differimento del termine di costituzione del convenuto di cui all’art. 166 c.p.c. avviene unicamente in caso di differimento di udienza disciplinato dal comma 5° dell’art. 168 bis c.p.c., e non anche nella diversa ipotesi disciplinata dal comma 4° del predetto articolo;
  • la ratio della predetta previsione risiede da un lato nell’innecessarietà di costringere il convenuto a costituirsi “…in una data che potrebbe essere anche molto anteriore a quella in cui si terrà effettivamente l’udienza di prima comparizione” e, dall’altro, di riservare al G.I. “…la facoltà di indicarne una diversa da quella fissata dall’attore allo scopo di consentire una più efficiente organizzazione dei ruoli di udienza e per rispondere all’esigenza fondamentale di porre il giudice in condizione di conoscere l’effettivo thema decidendum fin dal momento iniziale della trattazione della causa…”;
  • il differimento di udienza previsto dal 5° comma dell’art.168 bis c.p.c. dovrebbe essere emesso entro 5 giorni dalla presentazione del fascicolo e dovrebbe disporre un rinvio non superiore al 45 giorni;
  • i predetti termini, tuttavia, hanno natura ordinatoria e non perentoria, di talché quandanche il decreto di differimento sia stato emesso dopo il termine di 5 giorni e/o preveda una dilazione superiore ai predetti 45 giorni, lo stesso conserva “…l’effetto di fissare di fatto la prima udienza di comparizione alla nuova data indicata dal giudice”;
  • nell’ipotesi eccezionale in cui il decreto di differimento sia emesso successivamente allo scadere dei termini per la costituzione del convenuto di cui all’art. 166 c.p.c., tuttavia, questo non determina alcuna rimessione in termini rispetto alle eventuali già maturate decadenze di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c. poiché, in caso contrario, determinerebbe un’illegittima alterazione della posizione di parità delle parti nel processo, ponendosi manifestamente in contrasto con importanti valori costituzionali, quali quelli enunciati dagli articoli 3, 24 e 111, comma 2°, della Costituzione.

Alla luce dei predetti chiarimenti la Suprema Corte ha enunciato il seguente condivisibile principio di diritto: “nel caso in cui il differimento della prima udienza di comparizione da parte del giudice istruttore, ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 5, intervenga dopo che sia già scaduto il termine di cui all’art. 166 c.p.c., per la costituzione del convenuto, il differimento stesso non determina la rimessione in termini del convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico, ai sensi dell’art. 167 c.p.c.”.

Sulla base del predetto principio, la Suprema Corte esclude pertanto, nel caso di specie, “…che si sia determinata l’interruzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in primo grado”.

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downloadIl caso

Una società propone opposizione avverso un atto di precetto notificatole in forza di un decreto ingiuntivo esecutivo, deducendone la nullità in quanto privo dell’indicazione del provvedimento dichiarativo dell’esecutorietà del provvedimento monitorio.

Il Tribunale, ritenendo sufficiente l’indicazione nel precetto dell’apposizione della formula esecutiva al decreto ingiuntivo non opposto, ha rigettato l’opposizione.

Nel caso esaminato, nell’atto di precetto erano stati indicati il numero, la data e l’autorità giudiziaria che aveva emesso il decreto ingiuntivo, la mancata opposizione e l’apposizione della formula esecutiva, mentre non risultava menzionato, neppure indirettamente, il provvedimento di dichiarazione di esecutorietà del suddetto decreto.

La società intimata, interponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenze del Tribunale deducendo, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 645, comma 2, c.p.c., avendo, secondo la prospettazione della ricorrente, il Tribunale errato non rilevando la mancanza della menzione nel precetto del provvedimento dichiarativo dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo azionato.

La decisione

Con la decisione in commento, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha osservato che:

  • come già affermato dagli stessi giudici di legittimità in altri arresti, l’indicazione nel precetto del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, unitamente a quella dell’apposizione della formula esecutiva, ha la funzione di evitare che il creditore debba procedere alla nuova notifica del titolo, integrando, con finalità di semplificazione, la precedente notificazione effettuata, facendo decorrere il termine per l’opposizione, nel momento in cui l’ingiunzione era ancora priva di efficacia esecutiva (ex multis Cass. civ. n°843 del 15 marzo 1969; Cass. civ. n°12731 del 30 maggio 2007; Cass. civ. n°10294 del 5 maggio 2009);
  • nel caso in cui vengano omesse entrambe le menzioni, l’atto di precetto è nullo in quanto si configurerebbe una situazione simile a quella dell’ipotesi di notifica dell’intimazione non preceduta da quella del titolo e non è suscettibile di sanatoria alcuna, ma solo di stabilizzazione qualora la parte intimata non proponga opposizione nei termini ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e la suddetta omissione non è rilevabile d’ufficio;
  • ai fini dell’accertamento della sussistenza nel precetto della duplice menzione non sono richieste prescrizioni formali d’indicazione, dovendosi assicurare la conoscenza dell’ingiunto interpretando il precetto alla luce del principio della conservazione degli atti;
  • l’indicazione nel precetto del provvedimento con cui è stata disposta l’esecutorietà del decreto ingiuntivo e quella dell’apposizione della formula esecutiva, sono menzioni distintamente previste dal legislatore che corrispondono a due diverse attività e garanzie dell’ingiunto: l’una, del giudice, che, dichiarando l’esecutorietà, attesta di aver verificato la regolarità della notificazione e il legale decorso dei termini per l’opposizione, l’altra, del cancelliere, che autorizza il richiedente legittimato all’utilizzo del documento contenente il titolo a fini coattivi, ovvero ad avvalersi, per quello, dell’organo esecutivo.

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downloadLa Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°22951 del 13 settembre 2019, chiarisce nuovamente i presupposti per ottenere la condanna ex art. 96 c.p.c. nonché illegittimità della compensazione delle spese di lite a seguito del rigetto della domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. proposta dai convenuti totalmente vittoriosi sul merito della lite.

Il caso

La vicenda trae origine dalla sentenza con cui Tribunale di Pesaro aveva rigettato sia le domande principali degli attori sia la richiesta di condanna per lite temeraria, avanzata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., co. 1, dai convenuti, con compensazione delle spese di lite, giustificata alla luce della soccombenza reciproca.

I convenuti proponevano appello dinanzi alla Corte anconetana dolendosi del mancato accoglimento della richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c.. La Corte d’Appello di Ancona, tuttavia confermava la sentenza di primo grado, ritenendo la domanda degli appellanti carente in punto di prova del pregiudizio lamentato, condannandoli alla rifusione delle spese del secondo grado di giudizio.

I convenuti decidevano quindi di ricorrere sino in Cassazione contestando tanto il rigetto della domanda risarcitoria quanto la compensazione delle spese di lite.

I presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c.

La Suprema Corte, attraverso la pronuncia in esame, giudica infondata la prima doglianza, chiarendo quanto segue:

  • la responsabilità aggravata per lite temeraria ha natura extracontrattuale;
  • è conseguentemente onere della parte che richiede il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1 dedurre e comprovare sia l’an che il quantum debeatur;
  • “… il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario”.

Nel caso di specie, conclude la Corte, la Corte d’Appello, ha rilevato, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, che “…nella specie la deduzione del danno conseguito al fatto che i convenuti sarebbero stati costretti, per effetto del giudizio instaurato nei loro confronti, a sottrarre tempo, da dedicare alla causa, alle ordinarie occupazioni (in particolare il D. alla sua attività lavorativa di design nel settore dei mobili) non sono accompagnate da concreti elementi atti a consentire un’attendibile liquidazione del lamentato pregiudizio, così come del tutto generica è l’allegazione dello stato continuo di stress e di apprensione originato dalla pendenza della lite, e ciò anche alla luce delle numerose controversie intercorse tra le parti (aspetto questo desumibile dal contenuto delle difese svolte dagli stessi appellanti)”.

Sulla compensazione delle spese di lite a seguito del rigetto della domanda di condanna ex art. 96 c.p.c.

La Suprema Corte, invece accoglie, il secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti avevano lamentato l’ingiusta compensazione delle spese di lite a fronte del rigetto della loro richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c..

Ad avviso degli ermellini, infatti non può condividersi l’orientamento minoritario – da ultimo da Cass. sez. VI^-2, sentenza n°20838 del 14 ottobre 2016 – che riteneva configurata un’ipotesi di soccombenza reciproca ai sensi dell’art. 92 c.p.c. a seguito dell’imputabilità, sulla base del principio di causalità, “…a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato istanze infondate”.

Bisogna, di contro, aderire al successivo e maggioritario orientamento che fa discendere dalla natura meramente accessoria della domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. la non configurabilità di alcuna parziale e/o reciproca soccombenza.

La Corte conclude confermando che “ha pertanto errato la Corte d’appello a confermare la compensazione delle spese processuali disposta dal Tribunale, sul presupposto – qui disatteso – che il rigetto della domanda di condanna per lite temeraria proposta dai convenuti totalmente vittoriosi sul merito della lite determinasse una loro soccombenza reciproca”.

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downloadCome noto, la legge n°247 del 2012, all’art. 13, co. 10[1], ha affidato al D.M. n°55 del 2014 la determinazione della misura massima della somma dovuta per il rimborso delle spese forfettarie, da quest’ultimo successivamente fissato, ai sensi dell’art. 2, co. 2, “…di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione…[2].

La predetta formulazione è stata di recente oggetto d’interpretazione da parte della Suprema Corte a seguito della dedotta violazione di legge di una sentenza con cui il Tribunale aveva liquidato il compenso oltre alle spese forfettarie, senza tuttavia determinarne l’ammontare.

La Suprema Corte di Cassazione, sez. I^, con ordinanza n°9385 del 26 aprile 2018, depositata in cancelleria il 4 aprile 2019, fornisce i seguenti condivisibili chiarimenti, partendo dall’interpretazione letterale ed ermeneutica dell’art. 2, co. 2 D.M. n°55/14.

Gli Ermellini, in particolare, ritengono che, dall’utilizzo dell’espressione “di regola”, contenuta nell’art. 2, co. 2, D.M. n°55/14, derivi che all’avvocato spetti la liquidazione delle spese forfettarie nella misura del 15% “…in mancanza di diversa determinazione giudiziale, con due conseguenze:

  • sul piano motivazionale, qualora il giudice voglia derogare alla predetta regola, dovrà darne atto “…direttamente o indirettamente in relazione alla complessità della prestazione e al suo pregio”, essendo necessaria un’apposita motivazione perché la predetta misura possa essere derogata in peius;
  • “…sul piano presuntivo, relativa alla doverosità della lettura del provvedimento giudiziale, che non rechi la determinazione percentuale del rimborso o addirittura nulla dica in ordine alla sua spettanza, nel senso che il provvedimento stesso abbia implicitamente recepito la regola e, quindi, abbia riconosciuto il rimborso nella misura del 15%”.

Alla luce di quanto sopraesposto, la Suprema Corte afferma il seguente condivisibile principio di diritto: “Il provvedimento giudiziale di liquidazione delle spese processuali che non contenga la statuizione circa la debenza o anche solo l’esplicita determinazione della percentuale delle spese forfettarie rimborsabili ai sensi dell’art. 13 comma 10 della I. n. 247 del 2012 e dell’art. 2 del d.m. n. 55 del 2014 è titolo per il riconoscimento del rimborso stesso nella misura del 15% del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice”.

[1] Legge n°247 del 2012, all’art. 13, co. 10: “…oltre al compenso per la prestazione professionale, all’avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e contributi eventualmente anticipati nell’interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima è determinata dal decreto di cui al comma 6…

[2] Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (D.M. n°55/2014), art. 2, co. 2: “Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso Rassegna Forense – 2/2014 439 D.M. 10 marzo 2014, n. 55 di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta.”

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autoveloxLa Suprema Corte di Cassazione è recentemente intervenuta chiarendo quali siano le condizioni richieste dall’art. 142, comma 6 bis del Codice della Strada affinchè possa ritenersi legittimamente accertato l’eccesso di velocità mediante l’utilizzo dell’autovelox.

La vicenda trae origine dalle contestazioni di un caparbio automobilista, disposto a ricorrere sino in Cassazione ritenendo, a ragione, che fosse illegittimo l’accertamento della violazione mediante autovelox qualora, nonostante la regolare segnalazione dell’autovelox, la postazione di controllo non fosse chiaramente visibile.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, censura la decisione del giudice d’appello chiarendo che, condizioni per la legittimità dell’accertamento della violazione dell’art. 142, comma 6 C.d.S. sono:

  • non solo la presenza di un cartello che segnali la presenza dell’autovelox, posto a regolare distanza;
  • ma anche “…visibilità della postazione di controllo per il rilevamento della velocità”.

In difetto di detti requisiti, conclude la Suprema Corte, la sanzione deve ritenersi nulla.

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