Con la recente sentenza del 9 dicembre 2024, il Tribunale civile di Isernia si è pronunciato sulla richiesta di rimessione in pristino e risarcimento danni spiegata da un condomino in danno del conduttore di un appartamento posto nel medesimo condominio che aveva costruito illegittimamente un gradino sul suolo condominiale, occupandolo mediante fioriere e tavolini, nonché del locatore e proprietario dell’immobile.

Quest’ultimo resisteva eccependo la sua carenza di legittimazione passiva.

Il Tribunale di Isernia, tuttavia, rigetta l’eccezione preliminare di carenza di legittimazione rilevando che il locatore sia comunque gravato dall’onere di garantire, nel confronti del condominio, il rispetto da parte del conduttore del regolamento condominiale e che il comportamento di quest’ultimo non arrechi disturbo agli altri condomini nel godimento della cosa comune.

Il locatore, come chiarito, non è responsabile quindi solo delle proprie condotte e violazioni delle norme regolamentari ma anche di quelle commesse dal conduttore del suo bene,  “…essendo tenuto non solo a imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, ma altresì a prevenirne le violazioni e a sanzionarle, anche mediante la cessazione del rapporto” (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 8239/1997).

Il Tribunale civile di Torino, con la recente sentenza n°3247/2024, depositata in cancelleria in data 8 giugno 2024, si è pronunciato sull’impugnazione di una delibera condominiale con cui l’assemblea aveva approvato, con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma II, c.c., di sostituire il vetusto impianto citofonico con un più moderno video citofono, scegliendo peraltro un preventivo diverso da quello allegato alla convocazione assembleare.

A detta di parte attrice, infatti, la sostituzione con un video-citofono avrebbe integrato un’innovazione e non un’innovazione straordinaria, con conseguente necessità di approvazione con le maggioranze previste dall’art. 1136, comma V, c.c., nel caso di specie mancanti.

Il Tribunale torinese, con una condivisibile motivazione, rigetta tuttavia le domande attoree, in quanto:

  • integra un’innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. “non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria”;
  • come già affermato dalla Corte d’Appello di Genova “La previsione del videocitofono non comporta un’innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche. Il concetto di innovazione impone una trasformazione, un’introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l’impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all’evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia“;
  • in ogni caso “L’approvazione di un preventivo diverso e con prezzi maggiori rispetto a quelli allegati alla lettera di convocazione dell’assemblea, ma in ogni caso illustrato in sede assembleare e oggetto della discussione, attiene alle scelte discrezionali di merito dell’assemblea che non sono sindacabili dall’autorità giudiziaria”.

Cliccare qui per il testo del provvedimento

[:it]White and blue concrete building

L’Agenzia delle Entrate, con circolare n°30/E del 22 dicembre 2020, ha offerto ulteriori preziosi chiarimenti in merito alla “Detrazione per interventi di efficientamento energetico e di riduzione del rischio sismico degli edifici prevista dall’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto Rilancio)”.

Tra di essi, si segnala:

  • la definizione di “accesso autonomo all’esterno”, introdotto dal comma 1-bis della legge n°104 del 14 agosto 2020, da intendersi quale “…accesso indipendente, non comune ad altre unità immobiliari, chiuso da cancello o portone d’ingresso che consenta l’accesso dalla strada o da cortile o da giardino anche di proprietà non esclusiva”;
  • l’inclusione, tra i soggetti beneficiari delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), delle organizzazioni di volontariato (OdV), delle associazioni di promozione sociale(APS), delle associazioni e società sportive dilettantistiche, limitatamente ai lavori destinati ai soli immobili o parti di immobili adibiti a spogliatoi;
  • l’inclusione tra i soggetti beneficiari dei titolari dell’impresa agricola, degli altri soggetti (affittuari, conduttori, ecc.) dei soci o degli amministratori di società semplici agricole (persone fisiche) di cui all’articolo 9 del decreto legge n. 557 del 1993, nonché dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda, unicamente in relazione “alle spese sostenute a condizione che gli interventi siano effettuati su fabbricati rurali ad uso abitativo e, pertanto, diversi dagli immobili rurali “strumentali” necessari allo svolgimento dell’attività agricola”;
  • l’inclusione degli interventi effettuati dagli Istituti autonomi case popolari (IACP), con applicazione anche alle spese sostenute dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2022;
  • il chiarimento relativo al riferimento normativo al “condominio” da intendersi relativo “agli interventi realizzati sulle parti comuni di un edificio in “condominio”, nella accezione giuridica prevista dal codice civile all’articolo 1117 e che, invece, sono esclusi quelli realizzati su edifici composti da più unità immobiliari di un unico proprietario o di comproprietari”;
  • l’esclusione dal Superbonus degli immobili non residenziali anche se posseduti da soggetti che non svolgono attività di impresa, arti o professioni”.

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[:it]Brown and black concrete building under white clouds

Il Tribunale civile di Roma, sez. V^, con la sentenza in oggetto, ha chiarito che il termine di 30 giorni per l’impugnazione di una delibera condominiale, di cui all’art. 1137 co. 2° c.c., deve ritenersi interrotto (e non sospeso) dalla proposizione dell’istanza di mediazione, con conseguente sua decorrenza, di nuovo e per intero, dalla data di sottoscrizione del verbale negativo di mediazione.

Il caso

Due condomini evocavano in giudizio il condominio per ottenere l’annullamento di una delibera condominiale. Il condominio, costituitosi in giudizio, eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione in quanto tardivamente proposta ritenendo, erroneamente, che “…a seguito del deposito del verbale negativo di mediazione, il termine ex art. 1137 c.c. riprenda a decorrere per i giorni che rimanevano al momento in cui si è verificata la sospensione”.

Ad avviso di parte convenuta, infatti, “… tra la data della comunicazione del verbale dell’assemblea impugnata (16.10.14) e la data dell’istanza di mediazione (13.11.14) erano trascorsi 27 giorni, e tra la data di deposito del verbale negativo (3.6.15) e quella della notifica della citazione (1.7.15) erano trascorsi altri 28 giorni, superandosi così il termine di 30 giorni fissato dall’art. 1137 c.c.”.

La decisione

Di diverso avviso il Tribunale di Roma, che respinge l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per decadenza ex art. 1137, co. 2, c.c. in quanto:

  • in base al disposto normativo (art. 5 co. 6 del D.Lgs. n. 28 del 2010 laddove afferma che la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ed “impedisce” la decadenza) si deve infatti ritenere che si determini un effetto di tipo interruttivo e non sospensivo, per cui il termine per impugnare, dopo il deposito del verbale negativo, è, di nuovo e per intero, quello di trenta giorni previsto dall’art. 1137 co. 2 c.c. (v. Tribunale di Milano, sentenza n. 13360/2016 pubbl. il 02/12/2016 RG n. 17984/2015; Tribunale di Monza, sentenza 65/2016 del 12/1/2016)”;
  • “…la fattispecie costituisce, pertanto, deroga al principio sancito dall’art. 2964 cod. civ., il quale esclude che la decadenza possa essere soggetta alla disciplina interruttiva, invece valevole per la prescrizione e dettata dai precedenti articoli 2934 e ss. cod. civ”..

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[:it]White concrete building under blue sky

Come noto, ai sensi dell’art. 1, comma 10 del D.L. 33 del 16 maggio 2020 è espressamente previsto che “Le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Dal 18 maggio 2020, pertanto, appare possibile lo svolgimento, accanto alle c.d. assemblee “da remoto” – mediante video conferenze – anche di quelle in presenza.
Dubbi, tuttavia, sono sorti circa la possibilità di ricomprendere nella nozione di “riunione” anche quella di assemblea condominiale, caratterizzata, come noto, anche dall’intervento di soggetti terzi. Dubbi che, si spera, verranno fugati dai chiarimenti che fornirà il Governo sul proprio sito istituzionale.
In attesa dei predetti chiarimenti, è indubbio che le assemblee in presenza siano subordinate all’adozione da parte dell’amministratore di condominio di misure idonee a scongiurare i rischi di contagio. E proprio al fine di guidare amministratori e condomini nella ripresa dello svolgimento delle assemblee condominiali, Confedilizia – Confederazione italiana proprietà edilizia ha da poco pubblicato sul proprio sito – https://www.confedilizia.it/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/ – le proprie Linee Guida per lo svolgimento delle assemblee condominiali “in presenza” contenenti condivisibili indicazioni e suggerimenti con particolare riguardo:
– alle diffusione delle linee guida tra i condomini;
– alla preparazione, organizzazione e convocazione delle assemblee;
– alle modalità di svolgimento delle predette.

[:en]Come noto, ai sensi dell’art. 1, comma 10 del D.L.33 del 16 maggio 2020 è espressamente previsto che “Le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Dal 18 maggio 2020, pertanto, appare possibile lo svolgimento, accanto alle c.d. assemblee “da remoto” – mediante video conferenze – anche di quelle in presenza.
Dubbi, tuttavia, sono sorti circa la possibilità di ricomprendere nella nozione di “riunione” anche quella di assemblea condominiale, caratterizzata, come noto, anche dall’intervento di soggetti terzi. Dubbi che, si spera, verranno fugati dai chiarimenti che fornirà il Governo sul proprio sito istituzionale.
In attesa dei predetti chiarimenti, è indubbio che le assemblee in presenza siano subordinate all’adozione da parte dell’amministratore di condominio di misure idonee a scongiurare i rischi di contagio. E proprio al fine di guidare amministratori e condomini nella ripresa dello svolgimento delle assemblee condominiali, Confedilizia – Confederazione italiana proprietà edilizia ha da poco pubblicato sul proprio sito – https://www.confedilizia.it/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/ – le proprie Linee Guida per lo svolgimento delle assemblee condominiali “in presenza” contenenti condivisibili indicazioni e suggerimenti con particolare riguardo:
– alle diffusione delle linee guida tra i condomini;
– alla preparazione, organizzazione e convocazione delle assemblee;
– alle modalità di svolgimento delle predette.
[:fr]Come noto, ai sensi dell’art. 1, comma 10 del D.L.33 del 16 maggio 2020 è espressamente previsto che “Le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Dal 18 maggio 2020, pertanto, appare possibile lo svolgimento, accanto alle c.d. assemblee “da remoto” – mediante video conferenze – anche di quelle in presenza.
Dubbi, tuttavia, sono sorti circa la possibilità di ricomprendere nella nozione di “riunione” anche quella di assemblea condominiale, caratterizzata, come noto, anche dall’intervento di soggetti terzi. Dubbi che, si spera, verranno fugati dai chiarimenti che fornirà il Governo sul proprio sito istituzionale.
In attesa dei predetti chiarimenti, è indubbio che le assemblee in presenza siano subordinate all’adozione da parte dell’amministratore di condominio di misure idonee a scongiurare i rischi di contagio. E proprio al fine di guidare amministratori e condomini nella ripresa dello svolgimento delle assemblee condominiali, Confedilizia – Confederazione italiana proprietà edilizia ha da poco pubblicato sul proprio sito – https://www.confedilizia.it/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/ – le proprie Linee Guida per lo svolgimento delle assemblee condominiali “in presenza” contenenti condivisibili indicazioni e suggerimenti con particolare riguardo:
– alle diffusione delle linee guida tra i condomini;
– alla preparazione, organizzazione e convocazione delle assemblee;
– alle modalità di svolgimento delle predette.
[:es]Come noto, ai sensi dell’art. 1, comma 10 del D.L.33 del 16 maggio 2020 è espressamente previsto che “Le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Dal 18 maggio 2020, pertanto, appare possibile lo svolgimento, accanto alle c.d. assemblee “da remoto” – mediante video conferenze – anche di quelle in presenza.
Dubbi, tuttavia, sono sorti circa la possibilità di ricomprendere nella nozione di “riunione” anche quella di assemblea condominiale, caratterizzata, come noto, anche dall’intervento di soggetti terzi. Dubbi che, si spera, verranno fugati dai chiarimenti che fornirà il Governo sul proprio sito istituzionale.
In attesa dei predetti chiarimenti, è indubbio che le assemblee in presenza siano subordinate all’adozione da parte dell’amministratore di condominio di misure idonee a scongiurare i rischi di contagio. E proprio al fine di guidare amministratori e condomini nella ripresa dello svolgimento delle assemblee condominiali, Confedilizia – Confederazione italiana proprietà edilizia ha da poco pubblicato sul proprio sito – https://www.confedilizia.it/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/linee-guida-per-lo-svolgimento-delle-assemblee-condominiali/ – le proprie Linee Guida per lo svolgimento delle assemblee condominiali “in presenza” contenenti condivisibili indicazioni e suggerimenti con particolare riguardo:
– alle diffusione delle linee guida tra i condomini;
– alla preparazione, organizzazione e convocazione delle assemblee;
– alle modalità di svolgimento delle predette.
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In tema di balconi aggettanti, afferma la seconda sezione della Corte di Cassazione con sentenza 2 marzo 2018 n. 5014, ai fini della corretta imputazione e ripartizione delle relative spese di manutenzione, occorre verificare se l’intervento manutentivo coinvolga la struttura portante, di proprietà esclusiva del titolare dell’appartamento, o il rivestimento che, se assolve ad una funzione estetica, costituisce invece bene comune di tutti i condomini.

Tra gli elementi decorativi, possono annoverarsi: i frontalini, intendendo per tali la parte terminale della struttura armata del balcone semplicemente perchè visibile guardando il balcone, a volte a filo, a volte sporgente dallo stesso; il rivestimento – in marmo o con intonaco – della fronte della soletta dell’aggetto, i cielini, le piantane, le fasce marcapiano, le aggiunte sovrapposte con malta cementizia, le balaustre, le viti in ottone, i piombi, le cimose, i basamenti, i pilastrini.

Inoltre, senza che tale elencazione possa reputarsi esaustiva, all’interno dei balconi, possono eventualmente anche ricorrere elementi decorativi che costituiscono un ornamento della facciata, assimilabili, per tale loro funzione, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., alle parti comuni dell’edificio, dovendosi tuttavia reputare che l’individuazione di tali elementi, la loro funzione architettonica ed il conseguente regime di appartenenza-condominiale, che devono essere orientati dal canone ermeneutico costituito dalla loro idoneità ad assolvere alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, non possono essere oggetto di un riscontro in astratto, ma devono essere frutto di una verifica in concreto, in base al criterio della loro funzione precipua prevalente.

Qui di seguito il testo del provvedimento:

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con atto di citazione notificato il 17-5-2002 A.G. impugnava dinanzi al Tribunale di Bologna la Delib. adottata in data 9 aprile 2002 dall’assemblea del Condominio di Via (OMISSIS).
L’attrice affermava che tale delibera era illegittima nella parte in cui aveva disposto la ripartizione della spesa in base ai millesimi di proprietà anche per le parti dei balconi visibili dall’esterno, in quanto detti balconi, come previsto anche dall’art. 7 del regolamento condominiale, appartenevano per l’intero ai proprietari dei piani ai quali accedevano. L’ A., inoltre, censurava la statuizione con la quale era stato accordato all’amministratore un compenso ad hoc per l’assistenza prestata in occasione del citato intervento di manutenzione straordinaria.
Nel costituirsi, il Condominio contestava la fondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
Con sentenza in data 23-8-2005 il Tribunale rigettava l’impugnazione.
Avverso la predetta decisione proponeva appello l’attrice.
Con sentenza in data 20-5-2008 la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame. La Corte territoriale, in particolare, rilevava che dalla documentazione fotografica acquisita si evinceva che le proiezioni esterne delle balconate cui accedevano le balaustre e le solette, con la loro forma geometrica e la loro simmetrica disposizione, conferivano alla facciata dell’edificio una particolare connotazione, che si traduceva nel decoro architettonico del fabbricato stesso. Ciò posto, essa osservava che il riferimento contenuto nell’art. 7 del regolamento del condominio alla “manutenzione delle finestre e balaustre dei balconi”, posta a carico dei rispettivi proprietari, doveva intendersi effettuato nei limiti della descrizione della proprietà comune, che, all’art. 2, contemplava, tra l’altro, tutte le parti costitutive dell’edificio e i suoi accessori, richiamando, in ogni caso, le previsioni dell’art. 1117 c.c..
In considerazione, poi, della tutela che l’art. 4 dello stesso regolamento accordava all’estetica ed alla simmetria esterna dell’edificio, una corretta interpretazione sistematica del citato art. 7, secondo il giudice del gravame, induceva a ritenere che tale norma non poteva riferirsi alle parti esterne dei balconi, le quali, acquistando rilievo sotto il profilo estetico-funzionale nei riguardi della facciata, erano da considerarsi comuni. Ad avviso della Corte di Appello, pertanto, svolgendo le parti esterne dei balconi, oggetto di delibera, una funzione estetica estesa all’intero edificio, del quale accrescevano il pregio, ed essendo, quindi, parti comuni dello stesso ai sensi dell’art. 1117 c.c., la spesa per la relativa riparazione doveva ricadere a carico di tutti i condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno. Quanto alla decisione di attribuire un compenso a parte all’amministratore, la Corte territoriale rilevava che la stessa rientrava nelle attribuzioni dell’assemblea e costituiva il legittimo esercizio del potere discrezionale alla stessa spettante in materia.
Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso A.G. sulla base di quattro motivi.
Il Condominio intimato resisteva con controricorso.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3939 del 26 febbraio 2015 dichiarava il ricorso inammissibile per difetto del requisito della sommaria esposizione dei fatti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 osservando che, pur essendo dedicato in ricorso un paragrafo intitolato allo “Svolgimento del processo” nello stesso erano riportate le sole conclusioni rassegnate, mancando invece una sia pur sintetica descrizione dei fatti e della vicenda processuale, essendo omessa ogni indicazione in merito al contenuto dell’atto di citazione, alla data di proposizione della domanda, all’autorità giudiziaria adita, alle difese svolte dalla controparte, alla decisione resa in prime cure, allo svolgimento del processo nelle sue varie articolazioni. Alla dichiarazione d’inammissibilità conseguiva altresì la condanna alle spese di lite.
2. A.G. proponeva ricorso per revocazione avverso la sentenza di questa Corte ex art. 391 bis c.p.c., assumendo che la stessa fosse affetta da errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte non si sarebbe avveduta che l’esposizione sommaria dei fatti di causa era contenuta alla pag. 3 del ricorso originario, prolungandosi sino all’inizio della successiva pagina 4.
Il Condominio ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c. in prossimità dell’udienza.
… Omissis …

5. Il primo motivo è infondato.
La sentenza di appello in motivazione ha adeguatamente ricostruito i termini giuridici della questione concernente la natura comune o meno dei balconi, richiamando i precedenti di questa Corte, che nel corso degli anni hanno avuto modo di chiarire, e spesso proprio in relazione al tema che qui viene in discussione, della legittimità del riparto delle spese di manutenzione tra tutti i condomini, entro quali limiti possa attribuirsi natura condominiale a elementi dei balconi.
Sul punto, e volendo sommariamente ripercorrere le opinioni espresse sul punto, va ricordato che l’approdo al quale è pervenuta questa Corte è nel senso che gli elementi esterni, quali i rivestimenti della parte frontale e di quella inferiore, e quelli decorativi di fioriere, balconi e parapetti di un condominio, svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3), con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (cfr. ex plurimis, Cass. civ., sez. 2, 30 aprile 2012, n. 6624; Cass. n. 21641/2017).
Nella fattispecie, in cui pacificamente si controverte in materia di balconi aggettanti, i quali, non assolvendo ad alcuna funzione di sostegno/copertura, costituiscono un mero prolungamento della corrispondente unità immobiliare, si è precisato che occorre verificare se l’intervento manutentivo abbia interessato la struttura portante, di proprietà esclusiva dal titolare dell’appartamento, o il rivestimento che, se ha una funzione estetica, costituisce bene comune di tutti i condomini. Tra i summenzionati elementi decorativi, possono annoverarsi – alla luce delle vicende oggetto di precedenti di questa Corte appunto i frontalini (intendendo per tali la parte terminale della struttura armata del balcone semplicemente perchè visibile guardando il balcone, a volte a filo, a volte sporgente dallo stesso), il rivestimento (in marmo o con intonaco) della fronte della soletta dell’aggetto, i cielini, le piantane, le fasce marcapiano, le aggiunte sovrapposte con malta cementizia, le balaustre, le viti in ottone, i piombi, le cimose, i basamenti, i pilastrini.
Tuttavia, e senza che questa elencazione possa reputarsi esaustiva, all’interno dei balconi, possono eventualmente anche ricorrere elementi decorativi che costituiscono un ornamento della facciata, assimilabili, per tale loro funzione, ai sensi dell’art. 1117 c.c., alle parti comuni dell’edificio, dovendosi però reputare che l’individuazione di tali elementi, la loro funzione architettonica e il conseguente regime di appartenenza – condominiale, che devono essere orientati dal canone ermeneutico costituito dalla loro idoneità ad assolvere alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, non possono essere oggetto di un riscontro in astratto, ma devono essere frutto di una verifica in concreto, in base al criterio della loro funzione precipua e prevalente.
In tale prospettiva, ad esempio, si è ritenuto: che le spese di rifacimento dei frontalini sono relative a lavori eseguiti sui balconi dell’edificio, e da considerare beni comuni in quanto elementi che si inseriscono nella facciata e concorrono a costituire il decoro architettonico dell’immobile (Cass. civ., sez. 2, 30 gennaio 2008, n. 2241); il rivestimento del parapetto e della soletta possono essere beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata (Cass. civ., sez. 2, 21 gennaio 2000, n. 637); i cementi decorativi relativi ai frontalini ed ai parapetti, svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3), con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (Cass. civ., sez. 2, 19 gennaio 2000, n. 568); i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano, quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini, sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio (Cass. civ., sez. 2, 7 settembre 1996, n. 8159); deve essere riconosciuta la natura comune dei frontalini di marmo, riguardo all’esclusa loro funzione protettiva od ornamentale dei balconi ed alla rilevata efficacia decorativa dell’intero edificio nonchè all’utilizzazione come gocciolatoi (Cass. civ., sez. 2, 3 agosto 1990, n. 7831).
Risulta altresì confortata la soluzione per la quale la valutazione circa la natura comune delle parti dei balconi interessate dai lavori di manutenzione non è suscettibile di una soluzione aprioristica, ma richiede una valutazione in concreto che evidentemente, ed in maniera tendenzialmente insindacabile, è demandata al giudice di merito.
Nel caso in esame, la sentenza della Corte distrettuale ha osservato che sulla scorta della documentazione fotografica in atti, la forma geometrica e la simmetrica disposizione delle proiezioni esterne delle balconate, cui accedono le balaustre e le solette, conferiscono alla facciata del fabbricato una particolare connotazione che si traduce in una peculiare conformazione del decoro architettonico.
A tal fine ha valorizzato il rapporto tra la forma di parallelepipedo dei balconi posizionati in posizione centrale e quella dei balconi posti ai lati delle facciate, laddove le balaustre di tali balconi assumono forma semicircolare, al fine di assicurare un apprezzabile raccordo stilistico, smussando l’angolo retto che si verrebbe a formare in loro assenza.
La sentenza ha altresì evidenziato che le balaustre dei balconi hanno un rivestimento in intonaco che si colloca in armonia con quello della restante facciata, e che la loro complessiva superficie impegna una parte considerevole della facciata, venendone quindi a costituire un elemento integrante.
Con valutazione tipicamente in fatto, e logicamente argomentata, e come tale insuscettibile di censura in questa sede, i giudici di merito hanno ritenuto che le balaustre dei balconi, ivi inclusi quelli prospicienti l’unità immobiliare della ricorrente, avessero natura comune, in quanto destinate a contribuire nel loro insieme all’aspetto estetico del fabbricato assicurando l’euritmia architettonica della facciata.
La decisione in esame, lungi dall’avere pretermesso la valutazione circa la natura comune del singolo balcone alla luce dei criteri sopra esposti, ha invece motivatamente considerato la complessiva conformazione del fabbricato, atteso che solo dalla visione unitaria della facciata è possibile stabilire quale sia la nozione di decoro dello stesso, e quindi di poter apprezzare la natura ornamentale e decorativa dell’elemento del singolo balcone.
Il motivo deve pertanto essere disatteso.
6. Quanto al secondo motivo di ricorso, va in primo luogo rilevata la mancanza di specificità del medesimo ai sensi della previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 avendo parte ricorrente, pur a fronte del dichiarato intento di denunciare la non corretta interpretazione delle clausole del regolamento condominiale, omesso di riportare il contenuto degli articoli (2, 4 e 7), che sulla scorta della interpretazione offertane dal giudice di merito consentivano di ritenere corretta la decisione assembleare di ripartire tra tutti i condomini le spese di rifacimento delle parti esterne dei balconi, in quanto ritenute beni comuni.
Tale omissione impedisce quindi di poter apprezzare, sulla base della lettura del ricorso, la stessa decisività della critica mossa. A tali considerazioni va poi aggiunto che costituisce orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Corte quello secondo cui (cfr. da ultimo Cassazione civile, sez. 2, 08/01/2016, n. 138) non è censurabile in Cassazione l’interpretazione del regolamento di condominio compiuta dai giudici di merito i salvo che per violazione dei canoni ermeneutici o per vizi di motivazione (conf. Cassazione civile, sez. 2, 23/05/2012, n. 8174; Cassazione civile, sez. 2, 04/04/2011, n. 7633).
Inoltre, e proprio in relazione all’interpretazione del regolamento condominiale di origine contrattuale, si è ribadito che (cfr. Cassazione civile, sez. 2, 19/10/2012, n. 18052) ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicchè le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato.
Una volta ribadita la necessità di fare applicazione delle regole legali di interpretazione in materia di contratti anche al caso in esame, va altresì ricordato che costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità, quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 e ss. cod. civ., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.
In tale prospettiva appare altresì incensurabile la soluzione ermeneutica alla quale sia pervenuto il giudice del merito laddove sia una delle possibili interpretazioni (cfr. Cass. 7500/07; Cass. 24539/09), non essendo, quindi, necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile (Cass. 4178/07; Cass. n. 10131/06).
Tornando alla formulazione del motivo di ricorso, va osservato che la condomina non ha in alcun modo dedotto la violazione di regole ermeneutiche legali, essendosi limitata a censurare la decisione solo sotto il profilo della correttezza della motivazione, senza peraltro adeguatamente addurre elementi idonei ad inficiare la logicità del ragionamento della Corte d’Appello, che ha offerto una lettura delle previsioni regolamentari tale da conciliare la regolamentazione in punto di spese per la manutenzione delle finestre e delle balaustre con quella in tema di individuazione dei beni comuni, addivenendo alla conclusione che la prima previsione sia invocabile solo per quelle parti dei balconi che non assolvano anche ad una funzione ornamentale, come in precedenza esplicitata. Nè appare sostenibile che a voler seguire la tesi dei giudici di merito le stesse previsioni regolamentari in punto di riparto delle spese perderebbero ogni rilevanza, non potendosi giammai addivenire ad un’attribuzione delle spese di manutenzione delle finestre e della balaustre dei balconi a carico dei condomini, non emergendo dagli atti che i balconi per cui è causa siano gli unici presenti nell’edificio condominiale, sicchè in assenza di tale dimostrazione, ben potrebbe sostenersi che le diposizioni di cui al regolamento sarebbero destinate a trovare applicazione per quei diversi balconi, che non assumono la connotazione di beni comuni ex art. 1117 c.c., secondo la ricostruzioni in fatto operata dalla sentenza gravata.
7. Va parimenti disatteso il terzo motivo di ricorso con il quale si denuncia l’inadeguatezza della motivazione in ordine al rigetto del motivo di impugnativa concernente il riconoscimento di un compenso straordinario all’amministratore per i lavori di manutenzione straordinaria.
Infatti, è pur vero che questa Corte ha avuto modo di precisare che (cfr. Cass. n. 10204/2010) l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali e non esorbitante dal mandato con rappresentanza – le cui norme sono applicabili nei rapporti con i condomini, deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale e non deve, perciò, essere retribuita a parte (conf. Cass. n. 3596/2003, richiamata anche dalla difesa della ricorrente), ma trattasi di principi che non attengono alla diversa ipotesi, qui ricorrente, in cui un compenso straordinario non sia preteso in maniera unilaterale dall’amministratore, ma sia stato oggetto di un’espressa delibera da parte dell’assemblea.
In tal senso valga il richiamo a Cass. n. 22313/2013 (non massimata) che, proprio facendo riferimento ai precedenti sopra indicati, ha per converso precisato che gli stessi appaiono correttamente applicabili alle ipotesi in cui manchi una specifica delibera condominiale che abbia invece ritenuto di dover autonomamente remunerare l’attività straordinaria dell’amministratore, non ravvisando sufficiente il compenso forfettario in precedenza accordato.
La sentenza di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio avendo per l’appunto ribadito che rientra nelle competenze dell’assemblea ex art. 1135 c.c. anche quella di riconoscere un compenso straordinario all’amministratore, costituendo oggetto di una valutazione esclusivamente riservata all’organo assembleare, la cui decisione non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, dovendosi escludere quindi anche la ricorrenza del denunciato vizio della motivazione (tale modus operandi va ritenuto sicuramente conforme a legge in relazione alla fattispecie in esame, sviluppatasi in epoca anteriore alla riforma di cui alla L. n. 220 del 2012, dovendosi in relazione al novellato testo dell’art. 1129 c.c., tenere in debita considerazione la previsione che impone all’amministratore all’atto dell’accettazione della nomina, di dovere analiticamente specificare, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso, ben potendosi ipotizzare che in tale indicazione debbano includersi anche i compensi legati all’esecuzione di eventuali attività straordinarie).
8. Quanto al quarto motivo, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato, dovendosi reputare, alla luce dei precedenti di questa Corte che il rinvio che il D.M. n. 127 del 2004, art. 6 fa alle norme del codice di procedura civile ai fini della determinazione del valore della controversia, fa sì che la causa in esame rientrasse nello scaglione di valore fino ad Euro 5.200,00, ai fini della liquidazione dei compensi professionali.
In tal senso si è, infatti, affermato che (cfr. Cass. n. 16898/2013), sebbene ai fini della determinazione della competenza per valore, riguardo all’impugnativa della deliberazione dell’assemblea condominiale di approvazione del rendiconto annuale e di ripartizione dei contributi, e seppure l’attore abbia chiesto la dichiarazione di nullità o l’annullamento dell’intera Delib., deducendo l’illegittimità di un obbligo di pagamento a lui imposto, occorre far riferimento soltanto all’entità della spesa specificamente contestata (conf. Cass. n. 18283/2015).
Trattasi peraltro di orientamento che può ritenersi ormai costante negli ultimi anni, a seguito della sentenza di questa Corte n. 6363/2010, la quale nell’affermare che occorre porre riguardo al “thema decidendum”, invece che al “quid disputandum”, per cui l’accertamento di un rapporto che costituisce la “causa petendi” della domanda, in quanto attiene a questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull’interpretazione e qualificazione dell’oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa, la quale è intervenuta proprio al fini di dirimere i contrasti in precedenza manifestatisi, dovendosi quindi escludere che la questione sia, oggetto di attuali contrasti presso questa Corte.
Orbene, avendo peraltro parte ricorrente denunciato la violazione dei massimi tariffari, la censura risulta fondata, essendo evidente come la liquidazione alla quale si è attenuta la sentenza di appello risulta palesemente in violazione dei detti massimi, e frutto dell’erronea liquidazione sulla scorta di uno scaglione di riferimento evidentemente difforme da quello imposto dalla legge neo caso in esame.
L’accoglimento del motivo, con la conseguente riforma della sentenza d’appello in parte qua, consente però a questa Corte di poter addivenire in ogni caso ad una decisione nel merito attesa la necessitò di dover rivalutare le complessive statuizioni in punto di spese di lite alla luce dell’esito del processo, a che in conseguenza del limitato accoglimento del ricorso.
Ad avviso del Collegio, la obiettiva complessità dell’accertamento in punto di natura comune o meno del balconi, che non può prescindere da una valutazione di merito e che è legata alla particolare conformazione della facciata, come si ricava anche dalla approfondita motivazione di appello, la obiettiva difficoltà di pervenire ad un’interpretazione che renda compatibile l’accertamento in ordine alla natura dei balconi con le previsioni regolamentari, la fondatezza del quarto motivo di ricorso e la stessa fondatezza del motivo di revocazione avverso la precedente sentenza di questa Corte, costituiscono tutti elementi che complessivamente apprezzati inducono il Collegio a dover pervenire all’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello e delle due fasi di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per revocazione ed annulla la sentenza di questa Corte n. 3939/2015, e decidendo sul ricorso proposto da A.G. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 792 del 20 maggio 2008, rigetta i primi tre motivi, accoglie il quarto, cassa nei limiti di cui in motivazione la sentenza impugnata, e decidendo nel merito dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di appello e delle due fasi di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 10 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2018

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[:it]Risultati immagini per immagine termosifoneLa questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 cod. civ. come modificata dalla L. n°220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc. dd. riforma dei condominio.

Tale normativa ha ammesso espressamente la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini.

Il condomino che intende distaccarsi deve, quindi, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini“, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale.

Detti principi sono stati ribaditi dalla sezione 6/2 della Corte di Cassazione, con sentenza 3 novembre 2016, n. 22285, sottolineando anche che l’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno, come bene ha evidenziato la stessa sentenza impugnata, soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto

Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o aggravi per i restanti condomini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante.

Né, ed è bene precisarlo, l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.

Nota bene: Qualora l’amministratore porti in assemblea l’assemblea può:

– o vietare il distacco motivando espressamente a verbale il divieto (ovvero che non è stata data prova dei presupposti tecnici che legittimano l’esercizio del diritto al distacco);

– o richiedere la perizia di cui sopra.

È importante motivare l’eventuale opposizione al distacco in quanto la delibera che, in presenza delle condizioni di legge, vieta il distacco per la Cassazione è nulla (Cass. 3 aprile 2012, n. 5331, Cass. 22 marzo 2011 n. 6481, Cass. 30 marzo 2006 n 7518). Nel mentre è possibile che sia, a contrario, ritenuta valida la delibera che vieta il distacco in assenza della prova delle condizioni previste dalla legge.

Se il distaccante fornisce la perizia, l’amministratore che riceve dal condomino la comunicazione di distacco anche se accompagnata dalla perizia, deve comunque darne notizia al Condominio nella competente sede assembleare per consentire a quest’ultimo di valutare se sussistono i presupposti tecnici per l’esercizio del richiamato diritto ex art. 1118 c.c..

La perizia deve essere redatta da un tecnico abilitato, secondo quanto prescritto dal D.M n°37/2008, cui rimanda anche il D.P.R. n°74/2013, che ha ridisegnato il tema della conduzione e dei controlli degli impianti termici.

Qualora il condomino, cui l’assemblea ha vietato il distacco in assenza della prova delle condizioni richieste dall’art. 1118, comma 4, c.c., si distacchi lo stesso, il condominio ben potrà diffidarlo a ripristinare la situazione quo ante (riallaccio) e promuovere, altresì, una causa per far accertare la illegittimità del distacco.

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La Corte di Cassazione, a sezioni unite, con sentenza del 10 maggio 2016 n. 9449 chiarisce la natura della responsabilità e le relative conseguenze sulla ripartizione delle spese nella frequente ipotesi di infiltrazioni dal terrazzo all’appartamento sottostante.
Ad avviso dei Giudici, in tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono:
– sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.,
– sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.).
Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.
La conseguenza di questa tesi è quella di rendere possibile l’applicazione dell’articolo 1126 del cod. civ., che ne mette un terzo a carico del proprietario o del titolare di uso esclusivo e i restanti due terzi a carico del condominio.
Pertanto, in assenza della prova della riconducibilità del danno alla condotta del proprietario (o, comunque, del titolare di diritto esclusivo) e tenuto conto che l’esecuzione delle opere di riparazione necessita della sua collaborazione e di quella del condominio, il criterio di riparto delle spese costituisce «un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto correlata all’uso e alla custodia della cosa nei termini delineati».
L’attrazione del danno da infiltrazione nell’ambito della responsabilità extracontrattuale produce effetti sulla imputazione della responsabilità che sui termini di prescrizione:
– risponde del danno, nelle proporzioni sopradescritte, chi era titolare del diritto di uso esclusivo al momento del danno e non invece il successivo acquirente dell’immobile;
– il danneggiato può agire anche singolarmente nei confronti del singolo condomino nei limiti della quota imputabile al condominio, essendo applicabile la disciplina sulla responsabilità solidale;
– la prescrizione sarà quinquiennale.

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Afferma la Corte di Cassazione con sentenza 4 febbraio 2016 n. 2195  che l’ex marito è tenuto sia al pagamento delle spese (condominiali straordinarie) poste a suo carico dalle condizioni di separazione dei coniugi, e sia al pagamento di quelle (la cui disciplina è appunto prevista dall’art. 1110 c. c.) relative alla conservazione del bene e al suo mantenimento in condizioni tali da permetterne l’utilizzo a tutti i comunisti.

E ciò in quanto  «in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l’obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti in quanto appartenenti alla comunione ed in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso “pro quota” delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell’art. 1110 cod. civ., le cui prescrizioni debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale, Invero, le spese per la conservazione, nel caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e di esse può essere chiesto il rimborso».

Nella specie la natura necessaria delle spese (sostituzione della serranda del box, rotta a seguito di tentativo di furto e taglio degli alberi che stavano rovinando sulle autovetture) era stata accertata dal giudice del merito con apprezzamento in fatto incensurabile in sede di legittimità.

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[:it]Così si esprime Sezione VI/2 della Corte di Cassazione, con ordinanza 16 ottobre 2015 n. 21028, affermando che in tema di oneri condominiali va effettuata una distinzione tra le spese occorrenti per la conservazione dell’immobile e le spese funzionali al godimento dello stesso, avendo ciascuna di essere una diversa funzione ed esigenza.

Le spese per la conservazione del bene condominiale sono dovuti in ragione dell’appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendentemente dal vantaggio soggettivo connesso alla destinazione della parte comune alle esigenze di singoli piani o porzioni di essi, in quanto necessarie a custodire e preservare il bene comune in modo che perduri nel tempo senza deteriorarsi.

Diversamente le spese d’uso traggono origine dal godimento soggettivo e personale, ripartendosi in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell’appartenenza, riguardando l’utilità che la cosa comune offre in concreto.

Nel caso di specie, quindi, i giudici di merito avevano correttamente identificato l’esatta natura dei costi di manutenzione di una facciata qualificandoli come spese di conservazione, la cui ripartizione prescinde dall’effettivo utilizzo.

DI qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente a pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (ex art. 13 D.P.R. n. 115/2002).[:]

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