[:it]Risultati immagini per immagine conflitto tra genitori

Condivisibile decisione del Tribunale di Reggio Emilia.

Nel caso in cui sussista un insanabile conflitto tra i genitori tale da escludere la capacità in capo a padre e madre di assumere concordemente le decisioni di maggiore importanza per il figlio – nel caso in esame, affetto da autismo – il Tribunale, con sentenza dell’11 giugno 2015, pur disponendo l’affidamento condiviso, ha designato, ai sensi dell’art. 337-ter c.c., in favore del figlio, una figura alternativa cui rimettere le decisioni di maggior rilievo in ordine al fanciullo sino al conseguimento della maggiore età.

Per le suesposte ragioni è stato rimesso al servizio pubblico specialistico locale di assumere le decisioni in ordine alla salute del minore.[:]

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La costituzione di una nuova famiglia non rappresenta solo una mera scelta personale, trattandosi di un diritto fondamentale, garantito a livello costituzionale (sent. Cass. 6289 del 19.03.2014). Il nuovo nucleo familiare costituito dopo un provvedimento di separazione o divorzio, non può considerarsi “di serie B” rispetto al primo, dovendo invece godere della medesima tutela.

Conseguentemente, ritiene la Corte di Cassazione, con sentenza 28 settembre 2015 n. 19194, che  «ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve valutare le potenzialità reddituali di entrambe le parti e, pertanto, tenere conto degli oneri e delle ulteriori responsabilità dell’obbligato, in conseguenza della nascita di un figlio da una successiva unione».

In altri termini, partendo dal presupposto che la creazione di una nuova famiglia rappresenta un vero e proprio diritto, il Giudice dovrà tenere conto delle maggiori spese derivanti dalla nascita di un figlio. In linea di massima, se il patrimonio complessivo dell’obbligato ha una consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri, difficilmente una richiesta di riduzione del mantenimento potrà essere accolta.

In caso contrario, qualora il coniuge tenuto al versamento in questione percepisca uno stipendio medio e disponga – ad esempio – di un immobile sul quale grava un mutuo ipotecario, non vi è dubbio che gli oneri derivanti dalla nuova paternità saranno rilevanti e ciò potrà legittimare una richiesta di revisione o modifica dell’assegno in precedenza stabilito.

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[:it]Così si esprime Sezione VI/2 della Corte di Cassazione, con ordinanza 16 ottobre 2015 n. 21028, affermando che in tema di oneri condominiali va effettuata una distinzione tra le spese occorrenti per la conservazione dell’immobile e le spese funzionali al godimento dello stesso, avendo ciascuna di essere una diversa funzione ed esigenza.

Le spese per la conservazione del bene condominiale sono dovuti in ragione dell’appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendentemente dal vantaggio soggettivo connesso alla destinazione della parte comune alle esigenze di singoli piani o porzioni di essi, in quanto necessarie a custodire e preservare il bene comune in modo che perduri nel tempo senza deteriorarsi.

Diversamente le spese d’uso traggono origine dal godimento soggettivo e personale, ripartendosi in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell’appartenenza, riguardando l’utilità che la cosa comune offre in concreto.

Nel caso di specie, quindi, i giudici di merito avevano correttamente identificato l’esatta natura dei costi di manutenzione di una facciata qualificandoli come spese di conservazione, la cui ripartizione prescinde dall’effettivo utilizzo.

DI qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente a pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (ex art. 13 D.P.R. n. 115/2002).[:]

[:it]In sede di divorzio, resta quasi sempre da sciogliere il nodo relativo al mantenimento del coniuge.

Nel caso in esame, la posizione della moglie era di assoluta tranquillità economica, dato che risultava proprietaria della casa in cui viveva, titolare di un reddito da lavoro sufficiente ad assicurarle un’esistenza dignitosa. Ma, soprattutto, la donna non aveva dimostrato di aver goduto, durante il matrimonio, di un più elevato tenore di vita.

Per tali ragioni, al momento del divorzio, veniva revocato l’assegno di mantenimento riconosciuto alla donna in sede di separazione.

Chiarisce sul punto la VI^/1 Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza 23 settembre 2015 n. 18816, che nel caso in cui una donna lavori ed disponga di un proprio reddito, non ha diritto a ottenere l’assegno di mantenimento o quello divorzile, a meno che non dimostri di aver goduto, durante il matrimonio, di un tenore di vita più elevato.

L’assegno divorzile, infatti, mira a eliminare le sproporzioni di reddito tra i due ex coniugi e a garantire, a quello che sta economicamente peggio, di mantenere la stessa capacità di spesa di cui si era avvantaggiato quando la coppia viveva ancora insieme.

È chiaro, però,  che se, in sede di separazione, è stato riconosciuto il diritto al mantenimento, ma successivamente la disparità tra i redditi dei due coniugi si è livellata non si ha diritto all’assegno divorzile.[:]

[:it]Lui la saluta a un passo dal matrimonio.

La  ragazza aveva ovviamente già comprato l’abito da sposa, si era fatta carico degli arredi per la casa coniugale, di proprietà di lui, aveva fatto eseguire,  quasi in toto a sue spese, i lavori di ristrutturazione della casa, da lei stessa condotti come geometra.

Per la Cassazione – sentenza 15 ottobre 2015 n. 20889/15 – è giusto che lui paghi e risarcisca anche i danni.

Secondo la sentenza, il fidanzato, non avendo dato una valida motivazione per il suo comportamento, deve rifondere alla donna € 16.000,00, per il costo dell’abito, degli arredi e della ristrutturazione della futura abitazione coniugale perché si tratta di esborsi legati da un nesso eziologico all’ingiustificato inadempimento della promessa.

Si tratta, infatti, di esborsi tutti collegati in un rapporto di causa-effetto con le nozze mandate a monte e la responsabilità dell’uomo si configura per l’ingiustificato inadempimento alla promessa di matrimonio.

Inutilmente l’uomo, che avrebbe confessato alla futura sposa – a pochi giorni dalle nozze – di avere un’altra relazione, per evitare il risarcimento, ha tentato di far accreditare la tesi secondo cui sarebbe lei ad avere un’altra relazione: c’era perfino un teste pronto a confermare di aver visto la ragazza in atteggiamenti compromettenti con un’altra persona.[:]

[:it]Un uomo,  in qualità di erede di una defunta, sosteneva che quest’ultima aveva pagato sine titulo ad un signore, convenuto in giudizio, un’ingente somma di denaro a mezzo assegno bancario. Chiedeva, pertanto, al Tribunale la condanna della controparte alla restituzione di tale pagamento indebito, limitatamente alla propria quota ereditaria.

Il convenuto si costituiva in giudizio contestando che il pagamento ricevuto dalla defunta fosse privo di titolo in quanto quest’ultima  gli aveva corrisposto detto importo a titolo di prezzo, a fronte della la vendita di alcuni arredi alla madre di lui e pagata con assegno che per volontà della stessa creditrice, era stato tratto dalla debitrice all’ordine del figlio.

Il giudice di primo grado rigettava con sentenza la domanda di indebito proposta dall’erede e quest’ultimo proponeva appello.

Il giudice di secondo grado accoglieva ritenendo: – che l’attore aveva allegato che il pagamento del convenuto era nella sostanza una donazione nulla per mancanza di forma; che, quindi, in assenza di un atto scritto spettava al convenuto fornire la prova di una valida causa solvendi diversa dalla donazione; il convenuto, tuttavia, non aveva assolto quest’onere, sicché la domanda di indebito andava accolta.

La III^ Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 6 ottobre 2015 n. 19902, confermava la decisione di appello.

In particolare, l’attore assumeva che il pagamento era avvenuto a titolo di mutuo o donazione e nel contempo, aveva sostenuto l’invalidità di ambedue i suddetti contratti. Quindi, nel primo caso, la somma concessa in mutuo andava comunque restituita per obbligo contrattuale, mentre nel secondo eccepiva la nullità della donazione perché stipulata in forma orale.

A fronte della predetta prospettazione spettava al convenuto: o di provare l’avvenuto pagamento del contratto di mutuo secondo la regola di riparto dell’onere probatorio dettata dall’art. 1218 c.c.; o di provare che la donazione era stata stipulata per atto pubblico; ovvero di provare che la somma corrisposta era stata pagata per altro e valido titolo giustificativo. Non avendo dunque, il convenuto fornito nessuna di tali prove, per i giudici di legittimità, correttamente la Corte di Appello ha accolto la domanda attorea.

In altri termini: l’azione di  indebito  è accordata al solvens sia quando abbia effettuato un pagamento sulla base di un titolo invalido ab initio o divenuto invalido in seguito; sia quando abbia effettuato un pagamento senza alcun titolo, come nel caso di  indebito  oggettivo.

Chi chiede la ripetizione dell’ indebito  dunque, a fondamento della propria domanda può prospettare sia l’invalidità, sia l’inesistenza d’una iuxta causa obligationis. Se nella prospettazione attorea si assuma che il pagamento dell’ indebito  sia avvenuto in assenza totale di qualsiasi titolo giustificativo, l’attore non avrà alcun onere di allegare e provare che un titolo di pagamento formalmente esista, ma sia invalido. In questo caso il solo onere dell’attore è allegare l’inesistenza d’un giusto titolo dell’obbligazione. Sarà poi il convenuto, in ossequio al principio c.d. di vicinanza della prova, a dover dimostrare che il pagamento era sorretto da una giusta causa. L’unico limite che l’attore incontra nella prospettazione dei fatti posti a fondamento della domanda di  indebito è il restare silente sull’esistenza o sull’inesistenza del titolo del pagamento. Se, infatti, l’attore nel giudizio di  indebito  dichiarasse addirittura di ignorare se il pagamento di cui chiede la restituzione sia sorretto da un titolo, la citazione andrebbe dichiarata nulla ex art. 164 c.p.c., a causa della mancata esposizione della causa petendi.[:]

[:it]Una volta presa la decisione di separarsi, bisogna comunicarlo al bambino. Si tratta di un momento delicato, da gestire bene per renderlo una circostanza accettabile e non un evento troppo doloroso.

Quando mamma e papà decidono di separarsi, non devono mai perdere di vista l’irrinunciabile necessità di proteggere la serenità del figlio. Con questa premessa , psichiatra e psicoterapeuta a Roma, volto noto per diverse partecipazioni tv, offre una bussola ai genitori in un momento così delicato e doloroso della loro vita.

Fino a che età è meglio che la separazione avvenga e basta, senza alcuna spiegazione ai figli?

In modo indicativo, fino ai tre-quattro anni di età non occorre formalizzare la separazione con le parole. Nei primi anni di vita i bambini non hanno gli strumenti per comprendere pienamente il significato di “separazione dei genitori”. Di conseguenza, anche selezionando con la massima cura ogni singola affermazione, la comunicazione potrebbe creare solo disorientamento, senza peraltro raggiungere l’obiettivo di “far capire”.

Se il bambino è molto piccolo, come ci si deve comportare allora?

Bisogna continuare a garantirgli la possibilità di stare spesso anche con il genitore non affidatario, che di solito è il papà. Con il passare del tempo il bambino apprenderà che il papà non dorme più con la mamma, non mangia, non fa la doccia, non guarda più la televisione in casa, però c’è ancora, c’è sempre. Il papà arriva ed è affettuoso. Gioca, ascolta, scherza, solo che per stare insieme a lui bisogna andare in un’altra casa. La “casa del papà”, appunto. Di solito, i bambini piccoli si adattano ben presto alle nuove consuetudini senza risentirne. A patto, però, di non esporli a scenate, urla, giochi al massacro, guerriglie.

E’ vero che una volta separati i genitori non dovrebbero ricreare occasioni per stare tutti e tre insieme, in quanto potrebbero generare false illusioni nel bambino?

Non c’è una risposta che vale in assoluto. Tutto dipende dal rapporto che c’è tra i genitori. Se i genitori hanno mantenuto un legame amichevole va benissimo che almeno qualche volta stiano entrambi insieme al bambino, per dargli un’ulteriore prova di amarlo in modo equivalente. Se, invece, tra i genitori ci sono ancora conflitti e rancori è meglio evitare incontri a tre in quanto il bambino quasi certamente avvertirebbe una negatività che potrebbe turbarlo.

Quando il bambino è già in grado di comprendere, come gli si deve spiegare che ci si separa?

Con semplicità gli va detto che i genitori, pur volendosi bene, non desiderano più abitare nella stessa casa. Immediatamente dopo si deve sottolineare che l’affetto che entrambi provano per lui rimarrà invariato, che entrambi per lui ci saranno sempre e sempre potrà contare su entrambi. Questa “dichiarazione di intenti” dovrà in seguito essere confermata dai fatti.

I genitori devono parlare al bambino insieme e nello stesso momento oppure separatamente?

E’ diffusa la convinzione che sia meglio che i genitori comunichino insieme l’intenzione di separarsi. Invece può essere più opportuno che ciascun genitori parli a tu per tu con il bambino. In questo modo si elimina il cosiddetto “effetto triangolo” che trova la sua più deleteria espressione nell’impulso del bambino di allearsi con uno dei genitori a discapito dell’altro.

Basta un nulla: uno sguardo più triste, un’inflessione di voce più accorata e il bambino può schierarsi con il genitore che si dimostra più debole.

Quando questo succede il genitore messo da parte può sviluppare sentimenti di autocommiserazione (o di estrema ostilità nei confronti dell’ex coniuge) che possono suggerirgli atteggiamenti sbagliati e controproducenti. E’ ovvio però che il contenuto della conversazione deve essere prima concordato: i due genitori dovranno cioè dire più o meno la stessa cosa, sia pure in momenti diversi.

Qual è l’errore più grave che si può commettere quando si comunica al bambino la decisione di separarsi?

Gli errore gravissimi, che possono gettare il bambino in uno stato di vero sconforto sono due: – mettere in cattiva luce l’altro genitore; – cercare di tirare il bambino dalla propria parte, incoraggiandolo a prendere le distanze dall’altro genitore. Non bisogna mai dimenticare che il bambino ama entrambi i genitori allo stesso modo e che esercitare su di lui una pressione psicologica affinché in qualche modo parteggi per l’uno o per l’altro, all’interno di una sfida che non può comprendere, è una violenza.

Bisogna dire subito che il papà abiterà in un’altra casa?

Sì, con i bambini è giusto sottolineare l’ovvio. Va quindi detto che siccome la mamma e il papà non staranno più insieme il papà andrà a stare in un’altra casa (oppure lui e la mamma o lui e il papà cambieranno casa).

E’ opportuno che dopo la separazione dei genitori il bambino rimanga nella stessa casa di prima?

Sì, se è possibile sarebbe meglio non far trasferire il bambino in un’altra casa perché un simile cambiamento può comportare un forte stress. Nel momento della separazione è bene eliminare qualsiasi ulteriore fonte di tensione emotiva.

Nella “casa del papà” il bambino dovrebbe avere una stanza tutta per sé?

Sarebbe bene che il bambino anche nella casa del papà avesse una stanzetta tutta per sé. In questo modo è meno probabile che nella casa del padre si senta un ospite. Se non è possibile mettergli a disposizione una camera, bisogna almeno offrirgli qualche spazio che gli consenta di sentirsi comunque non solo ben accolto, ma anche atteso.

Dovrebbe quindi avere un cassetto tutto suo con dentro qualche capo di abbigliamento e di biancheria, un cesto dove tenere i giocattoli da lasciare nella casa del papà, una piccola scrivania con album, pastelli, librettini.

Nel momento in cui subentra un’altra persona nella vita di uno o di entrambi i genitori si deve dire fin da subito al bambino?

La conoscenza di un nuovo compagno o una nuova compagna dei genitori deve avvenire in modo il più possibile graduale. Si può cominciare vedendosi fuori casa, per esempio ai giardini pubblici. Poi si può organizzare un cinema o una pizza. Non bisogna in nessun caso forzare la mano, ma attendere con pazienza che i tempi siano maturi.

Come si deve comportare il nuovo compagno?

Il nuovo compagno o la nuova compagna dovrebbero essere spontanei e poco invadenti. Esagerare in attenzioni sarebbe sbagliato: il bambino, con le sue specialissime antenne, coglierebbe l’artificiosità di un atteggiamento troppo compiacente, troppo teso ad accaparrarsi consensi e simpatia e potrebbe mettersi sulle difensive. Apertura e disponibilità sono d’obbligo, ma ogni eccesso è da bandire.

Come va spiegata la presenza di un’altra persona a fianco di uno o di entrambi i genitori?

Bisogna dire che ci si sentiva molto soli e che questo nuovo amico (o amica) è la soluzione a questa solitudine. Va fatto presente che si tratta di una persona di cui fidarsi e su cui anche lui, il bambino, può contare. Il legame affettivo verrà poi: anche su questo fronte è meglio non fare pressioni. Si deve comunque precisare che quel signore o quella signora non prendono il posto di nessuno: diversamente il bambino potrebbe percepirli come usurpatori, a svantaggio del futuro rapporto.[:]

[:it]Se il coniuge continua con la relazione extraconiugale facendo credere, con atteggiamenti equivoci e mistificatori, che la crisi è superata, deve pagare un cospicuo risarcimento alla moglie, perché così facendo ha leso la sua dignità cagionandole uno stato di depressione.

Lo afferma la Cassazione, Sez. VI – 1 con ordinanza, 28/09/2015, n. 19193

Aggiunge poi la Corte, nello stesso provvedimento che l’assegnazione della casa coniugale al coniuge non proprietario è legittima solo ove correlata all’affidamento dei figli minori, ovvero alla convivenza con i figli maggiori di età non ancora autosufficienti, e al loro interesse alla conservazione dell’habitat familiare anche dopo la separazione dei genitori.

Ergo la predetta assegnazione non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole.[:]

Il Tribunale per i minorenni di Trieste 21 agosto 2013 afferma i seguenti condivisibili principi:

–     l’Amministrazione penitenziaria deve farsi carico nel governo delle dislocazioni dei detenuti e dei custoditi, di garantire quanto più possibile, salva ogni eventuale contraria disposizione dell’Autorità giudiziaria, l’effettività della frequentazione tra genitori detenuti e figli minori, effettività che attiene al rispetto dei diritti personali e inalienabili di entrambi.

–     E’ preferibile che sia lo stesso minore, che dovrà essere emotivamente sostenuto dai Servizi Sociali, a crearsi nel tempo un proprio giudizio sul genitore detenuto, fondato sulla conoscenza diretta di ogni elemento, piuttosto che derivato da eventuali silenzi e/o da racconti più o meno orientati da parte di terzi.

–     Tanto non potrà realizzarsi senza che sia recuperata la possibilità, a partire da subito, perlomeno di un contatto genitore-figlio ad esempio mediante un’iniziale approccio epistolare o in altra forma protetta, compatibile con lo stato di detenzione e con l’interesse del bambino (in questo caso di soli 5 anni) a non essere esposto all’improvviso e senza preparazione al diretto contatto con l’ambientazione carceraria (si può pensare, sempre a titolo di esempio, a propedeutici contatti via webcam o videotelefono, presenziati dal personale di custodia e/o sociale. In seguito, entro tempi contenuti, il bambino potrà essere accompagnato ad incontrare il genitore in carcere, come già accade per altre migliaia di bambini, in tutto il mondo, quando hanno un genitore in stato di detenzione);

–     Del pari, il bambino, in assenza di specifiche controindicazioni vagliate ed eventualmente esplicitate dall’Autorità giudiziaria, ha diritto a instaurare e mantenere i suoi contatti e i suoi rapporti con i parenti del genitore detenuto.

–     Un’eventuale pronuncia decadenziale non ne sortirebbe alcuna automatica inibizione dei rapporti (né degli incontri) genitore-figlio, atteso il perpetuo favor normativo alla ricostruzione della diade (ciascun) genitore-figlio, evincibile dal combinato disposto delle norme che garantiscono al figlio il diritto alla bigenitorialità e al genitore, sia pur decaduto, quello a chiedere la propria “riabilitazione” genitoriale (artt. 30 e 31 cost.; 155, co. I e 332, cod. civ.);

–     Trattasi di diritti in entrambi i casi afferenti ai diritti della persona (ergo imprescrittibili), ecco perché si è parlato di “perpetuo favor normativo”.

–     E’ stato quindi disposto, in favore del minore, il suo affidamento al servizio sociale per attività di sostegno nel guidarne la ripresa dei contatti col genitore detenuto e per controllo dell’adempimento dell’altro genitore, con onere del detto Servizio di segnalazione alla Procura minorenni competente di ogni condotta genitoriale lesiva dei diritti del minore.

–     Nessuna specie faccia la sovrapposizione lessicale dei due affidamenti, che si tratta di mera coincidenza di lemmi, ma non di concetti: quello esclusivo del genitore affidatario concerne l’esercizio della sua potestà; quello al Servizio sociale – ai limitati fini sopra delineati – attiene alla (modesta) limitazione autoritativa che questo Tribunale (quale provvedimento conveniente ex combinato disposto degli artt. 333 cod. civ. nella denominazione tradizionale derivata dall’art. 25 R. D. n. 1404/1934) commina al genitore il quale, al di fuori di tale limitazione, rimane libero nel determinarsi nelle sue scelte di potestà.

–     Il genitore detenuto ha diritto ad esser tenuto regolarmente al corrente della vita di suo figlio da parte dell’altro, il quale dovrà osservare, a scanso delle sanzioni – anche pecuniarie – di cui all’art. 709 ter, n. 4 cpc, le prescrizioni cogenti stabilite dal Consiglio.

–     Il diritto del genitore detenuto a poter continuare a svolgere un suo ruolo nei confronti del figlio si fondi, nonostante il suo stato di attuale detenzione, sul suo diritto alla genitorialità, di cui all’art. 30, co I, Cost. Tale diritto non deve essere violato dall’altro genitore per decisione unilaterale non giustificata e prima di determinare una qualsiasi interruzione nei rapporti dovrà invece rivolgersi al giudice, sottoponendogli le proprie ragioni.

–     In caso di violazione il conseguente danno non patrimoniale del genitore sarà risarcito secondo determinazione equitativa (artt. 2056 e 1226 cod. civ.).

–     Nella fattispecie in esame, prendendo a base di tale valutazione equitativa il range sanzionatorio di cui al n. 4 dell’art. 709 cit, il Tribunale ha ritenuto che esso, in considerazione del lungo tempo già trascorso (oltre 2 anni e mezzo) di “congelamento” dei diritti genitoriali paterni, il danno debba trovare un ristoro pari al massimo di quel range (€ 5.000,00), da intendersi in moneta attuale.

–     La somma, che potrebbe apparire fin troppo contenuta, sembra invece equa se si tiene conto sia del fatto che lo stato di detenzione avrebbe comunque giocato un suo proprio ruolo nell’affievolimento dei contatti padre-figlio, sia della opinata reversibilità dell’attuale cesura.

–     Ove, viceversa, dovessero malauguratamente verificarsi -quale fatto nuovo- ulteriori ingiustificate condotte interdittive od ostruzionistiche materne che rendessero impossibile la ricostruzione di quel rapporto, si potrebbe configurare un danno nuovo e maggiore (consistente nella irreversibilità del distacco del figlio dal padre), il cui risarcimento andrebbe equitativamente quantificato ex novo, verosimilmente sui parametri assimilabili a quelli comunemente utilizzati per il risarcimento di un genitore dal danno derivante dalla perdita da morte del figlio.

–     Costituisce preciso orientamento di questo Tribunale il confidare nell’effetto self-executing di una pronuncia risarcitoria e, in generale, in quello propiziato dall’opportuna applicazione dall’art. 709 ter cpc, quale mezzo indiretto per indurre le parti alla fattiva attuazione del provvedimento, senza ricorso a mezzi coercitivi diretti, spesso inattuabili, specie nei confronti di minorenni.

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In tempi record è stato adottato il regolamento (UE) n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (pubblicato sulla GUUE L 343/10 del 29 dicembre 2010).

Il regolamento, frutto della prima applicazione della cooperazione rafforzata nel settore della cooperazione giudiziaria civile, individua norme uniformi sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, attribuendo ampio spazio alla volontà delle parti.

Il regolamento pubblicato ieri è il frutto di un lungo lavoro avviato già a partire dal 2006 ed è stato approvato soltanto in seguito alla decisione di avvalersi della cosiddetta procedura di cooperazione rafforzata; ciò vuol dire che il nuovo testo normativo si applica soltanto agli Stati che hanno esplicitamente deciso di aderirvi (sono 14 su 27: Belgio, Bulgaria, Germania, Spagna, Francia, Italia, Lettonia. Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Portogallo, Romania e Slovenia).

E’ consentito ai coniugi scegliere in accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti:

  1. di legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo;
  2. di legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo;
  3. di legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo;
  4. di legge del foro.

Il regolamento, che ha carattere universale, si occupa, all’articolo 8, anche della legge applicabile in caso di mancata scelta, oltre a disciplinare questioni generali come il rinvio ad ordinamenti plurilegislativi e il problema del rinvio.

Precisa l’articolo 2 del regolamento che esso non si applica alle seguenti materie (anche se si presentano semplicemente come questioni preliminari nell’ambito di un procedimento di divorzio o separazione personale): capacità giuridica delle persone fisiche; esistenza, validità e riconoscimento di un matrimonio; annullamento di un matrimonio; nome dei coniugi; effetti patrimoniali del matrimonio responsabilità genitoriale; obbligazioni alimentari; trust e successioni.
Per quanto riguarda l’applicabilità del nuovo regolamento, l’articolo 18 specifica che esso si applica ai procedimenti avviati e agli accordi tra i coniugi sulla legge applicabile conclusi a decorrere dal 21 giugno 2012; producono tuttavia effetti anche gli accordi tra coniugi conclusi prima di tale data, a condizione che siano conformi alle prescrizioni stabilite negli articoli 6 e 7 del regolamento (relativi al consenso e alla validità formale e sostanziale dell’accordo).

Sono comunque fatti salvi gli accordi sulla scelta della legge applicabile conclusi conformemente alla legge di uno Stato membro partecipante la cui autorità giurisdizionale sia stata adita prima del 21 giugno 2012.

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