[:it]Risultati immagini per immagine denaroLa Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°19345/16, è ritornata sull’annosa questione relativa alla debenza dell’assegno divorzile in caso di creazione da parte del beneficiario di una nuova famiglia.

La vicenda trae origine dall’impugnazione della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio con cui il Tribunale di Latina aveva disposto l’affido condiviso della prole, disponendo la loro residenza presso il padre e onorando quest’ultimo del relativo mantenimento, rigettando tuttavia la domanda di assegno divorzile avanzata dalla madre, in quanto la stessae aveva iniziato una stabile convivenza more uxorio con altro uomo.

La donna decide pertanto di appellare la sentenza, sostenendo, in particolare, la sussistenza dei requisiti astratti e concreti del proprio diritto all’assegno divorzile a seguito dell’intervenuta cessazione della predetta convivenza. A fronte del rigetto del gravame, l’ex moglie decide pertanto di proporre ricorso per cassazione.

La suprema Corte, tuttavia, richiamando due recenti pronunce – sentenze n°6855 del 3 aprile 2015 e n°2466 dell’8 febbraio 2016 – dà torto alla ricorrente, partendo dalle seguenti condivisibili premesse:

  • la famiglia, come prevista dall’art. 2 Cost. è “…una formazione stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole”;
  • …l’instaurazione di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale fa venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge…”;
  • la scelta di costituire una famiglia, è caratterizzata altresì necessariamente dal “…l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto”, anche con riferimento ad una nuova famiglia nata dalle ceneri del matrimonio.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ritiene, conseguentemente, che la scelta consapevole della donna di iniziare una nuova convivenza e l’accettazione del rischio della sua cessazione abbia comportato il venir meno del diritto all’assegno divorzile. La nuova convivenza, infatti, esclude tout court tale diritto, a nulla rilevando l’intervenuta effettiva cessazione della nuova convivenza, non potendosi legittimamente ritenere che lo stesso sia meramente entrato in stato di acquiescenza.[:]

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Rosso tramonto... cuore infrantoUn uomo agisce davanti all’autorità giudiziaria italiana competente – la Corte d’appello – per il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica anche per la legge dello Stato.

La Corte d’appello respingeva la domanda,  ritenendo che le parti avevano convissuto per tre anni nel periodo successivo alla celebrazione del matrimonio e la circostanza ostava al riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica. La convivenza triennale “come coniugi” è, infatti, una situazione di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.

La prima sezione della Corte di cassazione,  con sentenza 4 ottobre 2016  n. 19811, tuttavia, rileva, che la convivenza triennale “come coniugi”, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa della delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di una eccezione in senso stretto non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

E di tale circostanza di fatto dovrà tenere conto la Corte d’appello, destinata a pronunciarsi nuovamente sulla richiesta presentata dall’uomo come giudice del rinvio[:]

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Unioni civili e convivenze di fatto – legge 20 maggio 2016 n. 76

In data 5 giugno 2016 entrerà in vigore la Legge 20 maggio 2016 n. 76 ( G.U . 21.5.2016 S.G.. n. 118)  riguardante la: “ Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

Nei successivi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge  saranno stabilite, con Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’Interno, le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi  che, nei sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge, dovranno essere adottati dal Governo al fine di adeguare i testi di legge vigenti al nuovo istituto.

La legge è formata da un unico articolo, composto a sua volta da 69 commi così suddivisi:

  • dal comma 1° al comma 35° sono regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso:
  • dal comma 36° al comma 65° sono regolamentate le convivenze di fatto, riguardanti indistintamente coppie omosessuali che eterosessuali .

LE UNIONI CIVILI

Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile, resa alla presenza di due testimoni.

L’ufficiale di stato civile provvede successivamente alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile.

Altra modalità di costituzione dell’unione civile riguarda quei casi in cui, a seguito a una rettificazione di sesso, i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili.

  • Cause impeditive:

Non è possibile costituire unioni civile nel caso in cui sussista:

  1. per una delle parti, un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso;
  2. l’interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l’istanza d’interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda il procedimento di costituzione dell’unione civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull’istanza non sia passata in giudicato;
  3. tra le parti legate dai rapporti di cui all’articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
  4. la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la procedura per la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento
  • Il regime patrimoniale:

Al momento della costituzione dell’unione civile le parti avranno la possibilità di scegliere il regime della separazione dei beni; in mancanza di diversa convenzione patrimoniale , il regime patrimoniale sarà costituito dalla comunione dei beni.

Successivamente alla costituzione dell’unione, le parti potranno pervenire alla modifica delle convenzioni e saranno a loro applicate le norme in materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali

  • Il cognome

Alle parti costituenti l’unione civile viene data la possibilità di stabilire di assumere per la durata dell’unione civile un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi, mediante dichiarazione all’ufficiale dello stato civile.

La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale dello stato civile

  • Diritti e doveri

Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri Dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.

  • Residenza e indirizzo della vita familiare

Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.

  • Diritto agli alimenti

All’unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile relative agli obblighi alimentari.

  • Diritti successori

Il comma 21 estende parzialmente la disciplina sulle successioni riguardante la famiglia contenuta nel libro secondo del codice civile.

  • In caso di decesso

In caso di decesso di una delle parti dell’unione civile che sia prestatore di lavoro andranno corrisposte al partner sia l’indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).

  • Scioglimento dell’unione civile

L’unione civile  si scioglie per morte di una delle parti. All’unione civile si applica gran parte della normativa relativa alle cause di divorzio, sia in relazione alle cause di scioglimento che per quel che riguarda le conseguenze patrimoniali. Sarà applicabile alle stesse unioni civili la disciplina semplificata dello scioglimento del matrimonio mediante negoziazione assistita o per accordo innanzi al sindaco quale ufficiale di stato civile.

  • Chi ha contratto matrimonio all’estero

Per coloro che hanno contratto matrimonio o unione civile o istituto analogo all’estero è prevista l’applicazione della disciplina dell’unione civile previa modifica delle norme in materia di diritto internazionale privato . Occorrerà a riguardo attendere l’emanazione dei decreti legislativi emessi dal Governo.

LE CONVIVENZE DI FATTO

La convivenza di fatto è un istituto che riguarda sia coppie omosessuali che eterosessuali composte da persone maggiorenni: – unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile; – coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.

Le istruzioni ministeriali chiariranno con quale modalità i soggetti interessati dovranno formalizzare presso l’ufficio anagrafe l’intenzione di costituire una convivenza di fatto

  • Diritti

I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario.

In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

  • Potere di rappresentanza

Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:

  1. in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
  2. in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

La designazione di cui sopra è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.

  • Diritti inerenti la casa

In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, in ogni caso per un periodo non superiore ai cinque anni.

Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

Il diritto di abitazione viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

Nel caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

  • Diritti all’assegnazione della casa popolare

Nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.

  • Impresa familiare

Si prevede che al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

  • Interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno

E’ esteso al convivente di fatto la possibilità di essere nominato tutore o curatore o amministratore di sostegno del convivente.

  • Risarcimento del danno

In caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile al convivente superstite si applicheranno gli stessi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

  • Il contratto di convivenza

I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Il contratto, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Copia dell’accordo sarà trasmesso all’ufficio anagrafe ai fini dell’opponibilità ai terzi con modalità che saranno indicate nelle istruzioni ministeriali successive.

  • Contenuto del contratto

Il contratto può contenere:

  1. l’indicazione della residenza;
  2. le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  3. il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, modificabile in qualunque momento in corso della convivenza.
  • Nullità del contratto di convivenza

Il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse:

  1. in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di altro contratto di convivenza;
  2. in mancanza di uno dei requisiti di cui al comma 36 (esempio: presenza di rapporti di parentela, affinità, adozione o assenza di un legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale o materiale);
  3. minore età di uno dei conviventi;
  4. interdizione di una delle parti;
  5. condanna di una delle parti per omicidio consumato o tentato del coniuge dell’altra parte;
  • Risoluzione del contratto di convivenza

Il contratto di convivenza si risolve per:

  1. accordo delle parti;
  2. recesso unilaterale;
  3. matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  4. morte di uno dei contraenti.

La risoluzione per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme dell’ atto pubblico o con firma autenticata da notaio o avvocato

  • Il diritto agli alimenti

In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora esso versi in stato di bisogno o non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438 secondo comma del c.c. (in proporzione ai bisogni di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Gli stessi non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale).

Il giudice può obbligare l’ex convivente a corrispondere gli alimenti solo nel caso in cui tutte le altre categorie previste dall’art. 433 cc. non siano in grado di farlo.

In base all’articolo citato i conviventi si situano al penultimo posto, prima dei fratelli.[:]

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L’infedeltà – così come il diniego di assistenza, o il venir meno della coabitazione – viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143, secondo comma, cod. civ.) così da infirmare, alla radice, l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione. È quindi la premessa, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi (art. 151, primo comma, cod. civ.).

Non per questo, tuttavia, tale regolarità causale può assurgere a presunzione assoluta.

L’evento dissolutivo può rivelarsi già “prima facie“- e cioè, sulla base della stessa prospettazione della parte – non riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla condotta antidoverosa di un coniuge: come ad esempio, nell’ipotesi di un isolato e remoto episodio d’infedeltà (ma anche di mancata assistenza, o allontanamento dalla casa coniugale), da ritenersi presuntivamente superato a seguito del prosieguo della convivenza.

Va da sé, infatti, che occorre l’elemento della prossimità (“post hoc, ergo propter hoc“): la presunzione opera quando la richiesta di separazione personale segua, senza cesura temporale, l’accertata violazione del dovere coniugale.

Diversamente, nel caso – infrequente, ma non eccezionale – di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma (come nel regime – secondo la definizione invalsa nell’uso – dei “separati in casa“), si prospetta un fatto secondario, accidentale e atipico, che contrasta con l’applicabilità della regola generale di causalità, onde, il relativo onere probatorio incumbit ei qui dicit. Spetterà quindi all’autore della violazione dell’obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale: sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse, in una parola, in una crisi del rapporto matrimoniale già in atto (Cass., sez. I^, 14 febbraio 2012, n°2059).

Tale riparto dell’onere probatorio oltre a palesarsi rispettoso del canone legale (art. 2697 cod. civ.) è altresì aderente al principio empirico della vicinanza della prova; laddove, riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l’altrui infedeltà si risolverebbe nella probatio diabolica che in realtà il matrimonio era sempre stato felice fino alla vigilia dell’adulterio (o dell’omissione di assistenza, o dell’interruzione della coabitazione).

Alla luce di tali principi la suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 25 maggio 2016, n°10823, ha ritenuto la motivazione della corte territoriale immune da censure, in punto di diritto.[:]

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Un lavoratore, dipendente di banca, viene collocato in una postazione tale da essere isolato rispetto ai colleghi, con conseguente aggravamento della sua già precaria condizione psichica.

La relazione del consulente tecnico di ufficio, disposta in corso di causa, accertava che l’isolamento in cui era stato posto il bancario poteva aver influito negativamente sul suo stato psichico. La condizione di isolamento, in altri termini, aveva comportato l’aggravamento della malattia, caratterizzata da crisi d’ansia, da cui era affetto l’uomo.

Di qui il risarcimento del danno biologico riconosciuto in primo e in secondo grado a favore del lavoratore a causa dalle scelte effettuate dall’istituto di credito.

La società datrice di lavoro ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello, in Corte di Cassazione, sottolineando come gli accertamenti del C.T.U. avevano escluso che il luogo di lavoro in cui operava il dipendente potesse ritenessi una concausa del danno alla salute e che l’aggravamento della malattia era quindi da ricondurre esclusivamente alla decisione del lavoratore di sospendere la terapia medica.

La Cassazione, con sentenza del 13 maggio 2016,  n°9899, confermando la sentenza dei colleghi di merito, ha operato delle puntualizzazioni sul nesso di causalità fra l’emarginazione messa in atto nei confronti del lavoratore e l’evento della patologia.

Nel concetto di mobbing, afferma la Corte,  rientrano un insieme di condotte che consistono sia in continue critiche all’operato del lavoratore, nell’assegnazione di compiti dequalificanti, o che si estrinsecano in una emarginazione del lavoratore attraverso la non comunicazione e l’ostilità. Tutte queste forme di mobbing in definitiva tendono a mortificare la sua personalità, ledendone quindi l’integrità psicofisica. Ne può conseguire quindi l’insorgenza di una situazione di costante tensione e stress nel dipendente che può altresì causare la nascita di una patologia o l’aggravamento di una già preesistente.

Quando si procede alla liquidazione del danno (da mobbing, da infortunio, da malattia professionale), verificatosi nel luogo di lavoro, è necessario fare riferimento all’art. 41 del cod. pen. Detta norma enuncia il cosiddetto principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo cui deve essere riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che ha contribuito alla produzione dell’evento danno in via anche indiretta. In tal senso la presenza di altre cause ritenute idonee a determinare il danno (es. una malattia) non esclude il diritto al risarcimento. Deve applicarsi il principio di cui all’articolo 41 cod. pen. anche nel caso di danno biologico provocato dell’esclusione lavorativa in cui si è venuto a trovarsi il lavoratore; danno biologico che, come noto, si connota per essere un danno conseguenza, disfunzionale, che prescinde dalla capacità economica del danneggiato e che consiste nel risvolto negativo che la deminutio della salute determina sulla vita del soggetto.

Ad avviso dei giudici di legittimità è ben vero che la sospensione della terapia medica da parte del lavoratore poteva aver contribuito a determinare un peggioramento della malattia; tuttavia, l’isolamento cui quest’ultimo era stato posto aveva influito altresì negativamente sul suo stato psichico. La ratio sottesa a tale motivazione è da ricondurre quindi al presupposto dell’applicabilità al caso di specie – e in generale alla materia degli infortuni-malattie sul lavoro – del principio di equivalenza delle concause lavorative nella verificazione dell’evento dannoso. Inoltre, ad avviso della Suprema Corte il nesso causale fra l’evento e il danno non era stato interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento ed in particolare dalla circostanza della sospensione della terapia decisa dal lavoratore.

Di qui il rigetto del ricorso del datore di lavoro e la  conferma del risarcimento a favore del lavoratore per il danno biologico subito.

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Risultati immagini per dipinto padre figlio figlio adolescenteIn sintonia con le indicazioni provenienti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. causa Santilli/Italia del 17.12.2013 e Bondavalli/Italia del 17.11.2015), affinché il principio della bigenitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione al diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter comma 1 c.c.) deve specularmente riconoscerci anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli, in quanto corrispondente all’interesse ultimo dello stesso figlio a una crescita serena ed equilibrata e affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole (art. 147, 315 bis e 316 c.c.).

Tuttavia, l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere il legame con i figli deve avvenire avendo sempre come parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore, non potendo altresì prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell’età del figlio minore.

In particolare, come la stessa Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare, la coercizione per il raggiungimento dell’obiettivo di mantenimento del legame familiare deve essere utilizzata con estrema prudenza e misura e deve tenere conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte e in particolare dell’interesse superiore del minore (cfr. CEDU Santilli/Italia cit. §67; CEDU Volesky/ Rep. Ceca del 29.06.2004, § 118).

Conseguentemente, ad avviso del Tribunale Torino (sentenza del 4 aprile 2016) nel caso di minore quindicenne che esprima in modo fermo la volontà di non frequentare il genitore secondo parametri fissi e rigidi, non può questa volontà essere dal tribunale superata, nemmeno attraverso una CTU.[:]

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Ove uno dei coniugi acquisti in regime di comunione o effettui la costruzione di un edificio su suolo comune ad entrambi, tanto il primo cespite quanto il secondo, diventano, pro quota, di proprietà di entrambi i coniugi.

Il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto deve ritenersi litisconsorte necessario nelle controversie in cui si chiede al giudice una pronuncia destinata ad incidere direttamente e immediatamente sul diritto costituente oggetto del trasferimento, dovendosi, viceversa, ritenere escluso tale litisconsorzio in tutte le vicende processuali volte ad ottenere una decisione che incida direttamente e immediatamente sulla validità o sulla efficacia del negozio traslativo (Cass. S.U. n°9660/2009).

Conseguentemente la domanda di demolizione di opere illegittimamente costruite sul fondo, proposta dal confinante nei confronti del proprietario del fondo contiguo, ha natura reale.

Nel caso in esame, essendo il confinante coniugato in regime di comunione legale sussiste il litisconsorzio necessario con il coniuge, in quanto l’eventuale accoglimento della domanda inciderebbe sul contenuto del diritto di proprietà dell’immobile e sulle facoltà di godimento e di disposizione di esso, di cui sono titolari entrambi i comproprietari del bene, a prescindere dall’autore dell’opera illegittimamente realizzata (v. Cass. n°8441/2008);

Per le suesposte ragioni, la Corte di Cassazione, con sentenza 28 aprile 2016 n°8468, ha accolto il ricorso con rinvio ad altro giudice territoriale.[:]

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consegna immobileLa III^ Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2506 del 9 febbraio 2016  è tornata a trattare il tema del comodato sorto per esigenze familiari. Riprendendo quanto già affermato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nella pronuncia 20448/2014, è stato sostenuto come debba essere compiuta, con riferimento alla fattispecie concreta, in primo luogo una distinzione in ragione al tipo di comodato stipulato tra le parti. Difatti, qualora si tratti di un comodato destinato a soddisfare le esigenze di cui si è detto, esso dovrà protrarsi fino al perdurare di dette esigenze familiari, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 1809 c.c. In tale ipotesi non è ammissibile, da parte del comodante, far valere il proprio diritto di recesso, fatta salva l’eventualità dell’estinzione dei bisogni de quo. Al contrario, quando si versa nell’ipotesi di comodato sorto senza l’apposizione di un termine, neppure implicito, ovvero senza l’esplicita destinazione del bene a casa familiare, la disciplina applicabile sarà quella indicata dall’art. 1810 c.c., il quale consente il c.d. recesso ad nutum del comodante.

In particolar modo questi principi devono essere applicati con cautela e rigore in caso di separazione dei coniugi. La Suprema Corte precisa che: «le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che
“il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno del coniugi (. ..) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (..) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile”».

Nel caso di specie il contratto veniva stipulato tra l’attrice e il fratello affinché quest’ultimo potesse vivere nell’appartamento insieme alla moglie dalla quale, tuttavia, si separava qualche anno dopo. Il tribunale assegnava, quindi, la casa coniugale alla moglie giacché questa diveniva affidataria dei tre figli minori. Sulla scorta di quanto detto in precedenza, la Corte di Cassazione, rilevando la provvisorietà della concessione in godimento dell’immobile e il conseguente errore in cui la Corte territoriale è incorsa applicando l’art. 1809 c.c., ha cassato la sentenza con rinvio disponendo espressamente l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1810 c.c.. Infatti, parte attrice aveva stipulato il contratto di comodato con il fratello e la moglie al fine di permettere a questi di poter vivere nell’appartamento esclusivamente per il tempo necessario a trovare una sistemazione definitiva.

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L’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di liquidazione ad un coniuge in ordine alla registrazione del trasferimento della proprietà di un immobile avvenuto a seguito degli accordi di separazione con la moglie. Il coniuge che aveva effettuato il trasferimento proponeva, allora, ricorso contro l’avviso di accertamento. L’Agenzia fiscale, costituendosi in giudizio, sosteneva che il trattamento agevolato era usufruibile solo per gli atti posti in essere in attuazione degli obblighi relativi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge.

I giudici di merito accoglievano il ricorso del contribuente, affermando che l’interpretazione estensiva del beneficio fiscale dell’esenzione deve applicarsi agli ex coniugi e ai figli, ed è finalizzata ad agevolare l’adempimento delle obbligazioni gravanti sui coniugi.

L’Agenzia delle Entrate, proponeva allora ricorso in  Cassazione, deducendo l’erroneità in diritto della decisione della Corte d’Appello, proprio perché al caso di specie doveva applicarsi il regime di tassazione ordinaria, ma senza successo.

La Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, con sentenza 17 febbraio 2016 n. 3110 ha confermato la nullità dell’avviso di liquidazione, affermando che sono esenti dall’imposta di registro tutti gli atti relativi ai procedimenti di separazione e di divorzio. E ciò in quanto anche gli accordi che prevedano, nel contesto di una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, devono essere ricondotti nell’ambito delle “condizioni della separazione” di cui all’art. 711, comma 4, c.p.c., in considerazione del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, attribuendo quindi a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi.

La decisione segue la recente introduzione delle disposizioni degli artt. 6 e 12. del D. L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, che hanno, rispettivamente, esteso il procedimento di negoziazione assistita da avvocati alla separazione consensuale, al divorzio ed alla modifica delle condizioni di separazione e di divorzio (art. 6), drasticamente riducendo l’intervento dell’organo giurisdizionale in procedimenti tradizionalmente segnati da vasta area di diritti indisponibili legati allo status coniugale ed alla tutela della prole minore, attribuendo al consenso tra i coniugi un valore ben più pregnante rispetto a quello che, anche a seguito dell’introduzione del divorzio a domanda congiunta delle parti, aveva pur sempre indotto unanimemente dottrina e giurisprudenza ad escludere che nel nostro ordinamento giuridico potesse avere cittadinanza il c.d. divorzio consensuale.

Ne consegue il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, presumibilmente dopo pochi mesi, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge.

In tale contesto deve affermarsi che detti negozi debbano essere considerati “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, in quanto tali, possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della L. n. 74/1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154/1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cadente a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.

Si ricorda, inoltre, che la stessa Agenzia delle Entrate, nel ribadire l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 19 della L. n. 74/1987, come modificato per effetto delle succitate sentenze della Corte costituzionale, per quanto qui rileva, a “tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi” ai procedimenti di separazione e divorzio, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 10 del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, con la circolare n. 2/2014 (pagg. 62-63)  richiamando i precedenti documenti di prassi in materia (circolare e n.27/2012, pag. 10, e circolare n. 18/2013, pagg. 38-41), non opera più alcuna distinzione al riguardo tra accordi, comportanti trasferimenti immobiliari, integranti il contenuto essenziale della separazione ed accordi analoghi tra i coniugi stipulati in occasione della separazione.

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scuola materna: Illustrazione del ragazzo e ragazza Bambini in possesso di un grande sacchetto cattura ABC e 123 delÈ sempre causa di scontro tra i genitori l’annosa questione del rimborso delle spese straordinarie sostenute dal genitore, affidatario o collocatario che sia, per i bisogni e le necessità dei figli.

La Suprema Corte è ripetutamente intervenuta sulla questione, da ultimo con l’ordinanza 3 febbraio 2016 n°2127, dando ragione alla madre e, quindi, condannando il padre al rimborso delle spese straordinarie sostenute per i figli sulla base del seguente condivisibile indirizzo giurisprudenziale: “… non esiste a carico del coniuge affidatario dei figli un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli.

Nell’ipotesi di rifiuto il giudice dovrà soltanto “… verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori”.

Nel caso in esame la Corte ha statuito che il padre dovesse rimborsare il 50% delle spese sostenute dalla madre per la retta dell’asilo privato delle figlie, essendo stata la decisione assunta concordemente da entrambi quando erano ancora conviventi, senza che fosse necessario un nuovo accordo dopo l’autorizzazione a vivere separati.

In senso analogo si era già espressa la Cassazione, con la sentenza n°16175/2015, rigettando il ricorso di un padre che si era rifiutato di pagare il 50% delle spese straordinarie per la cameretta nuova della figlia e per lo stage all’estero della stessa per imparare l’inglese. Inutilmente l’uomo aveva lamentato che gli esborsi non erano né urgenti né indifferibili e comunque non erano stati concordati preventivamente tra i due ex coniugi.

La Suprema Corte, con sentenza n°19607/2011 ha poi precisato che per la partecipazione alle spese straordinarie per l’educazione e l’istruzione dei figli “… non esiste a carico del coniuge affidatario dei figli un obbligo di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli”.

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